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inganno in che fu tratta la misera che si credea di sposar Paolo, e solo la mattina svegliandosi si accorse di avere accanto il deforme e sciancato Lanciotto, fratello di lui? Perchè una rappresentazione ideale, risponde il Foscolo, non dovea essere sopraccaricata di accidenti reali che ne avrebbero alterata la purezza. E perchè Dante ha uniti insieme nell'inferno i due amanti? Perchè per si lieve fallo non sono a dir propriamente dannati, risponde Ginguené; anzi, corregge il Foscolo, perchè, se il loro fallo è stato assai grave, come si vede dal verso citato qui sotto con che si chiude il racconto, la misericordia di Dio è stata maggiore, il quale volle aver ri guardo a tanto amore e scemare la pena concedendo loro di potersi amare anche nell'inferno. E perchè quel paragone delle colombe? Perchè sono animali lussuriosissimi, salta su un comentatore. E perchè il poeta fa par lare Francesca e non Paolo? Perchè le donne, risponde con poca galanteria il Magalotti, sono di loro natura ciarliere; e perchè, ripiglia il Foscolo, che ha il torto di prendere sul serio tali futilità, le donne quando sono ap passionate sentono il bisogno di parlare e di sfogarsi. E perchè Dante sente tanto dolore, che la mente gli si chiude dinanzi alla pietà de'due cognati? Perchè, risponde insolentemente un frate, egli dovè ricordarsi di aver commesso un peccato simile.

Ecco un esempio dei perchè e dei forse dietro i quali si stillano il cervello i comentatori di Dante. Mi si dice che nelle conferenze pedagogiche tenute a Firenze si sia molto discorso della Francesca da Rimini, e che il segreto della grande bellezza di quel canto sia stato da alcuni posto nel verso tanto comentato da' comentatori:

Quel giorno più non vi leggemmo avante.

E se questo è, bisogna pur dir che la critica ha fatto

così poco cammino in Italia da essere ancora possibili simili discussioni, proprie di cervelli oziosi e vaghi di sciarade, ottusi alle pure e immediate impressioni dell'arte.

Ho ricevuto, è un po' più di un mese, una lettera sottoscritta da tre Alunni del Liceo di Bari. Questi bra vi giovani volevano da me sapere perchè il Petrarca avea scritto il Canzoniere in italiano e non in latino. E mi raccontavano che ci era una scommessa tra loro, sostenendo chi un'opinione e chi un'altra. Ebbi proprio una brutta tentazione. Volevo rispondere che il Petrarca aveva fatto così, perchè Laura non sapeva di latino. Ma parvemi cosa crudele rispondere con uno scherzo a giovani che disputavano con tanta gravità.

Pur, se la mia voce avesse qualche peso sulla nuova generazione, io direi: Lasciate queste dispute agli oziosi da convento o da caffè, e voi gittate via i comenti e avvezzatevi a leggere gli autori tra voi e loro solamente. Ciò che non capite, non vale la pena che sia capito: quello solo è bello che è chiaro. Soprattutto, se volete gustar Dante, fatti i debiti studii di lettere e di storia, legge. telo senza comenti, senz'altra compagnia che di lui solo, e non vi caglia di altri sensi che del letterale. State alle vostre impressioni, e soprattutto alle prime, che sono le migliori. Più tardi ve le spiegherete, educherete il vostro gusto; ma importa che ne'primi passi non vi sia guasta la via da giudizi preconcetti e da metodi artificiali.

Tra' più belli, appunto perchè tra' più chiari, è il canto di Francesca. Ed io domando con che cuore possono i comentatori innanzi ad una creazione così limpida abban donarsi a sciarade e indovinelli e fantasticare su tanti perchè. Io non mi tratterrò a confutare le assurde risposte perchè il torto qui non è di aver fatte quelle risposte, ma di aver poste quelle domande. Il che avviene quando l'impressione estetica è già cancellata, e la mente

raffredda, e il critico non sapendo cogliere la situazione nella sua integrità, si smarrisce ne' particolari. I quali separati dal tronco, ovvero dalla loro unità, in cui è posta la loro ragion d'essere ed il loro significato, si sciolgono nell' arbitrario, e diventano materia di questa o quella supposizione gratuita com'e' salta in capo al primo venuto. Sgombriamo dunque il terreno di questi forse e di questi perchè, ed accostiamoci a questa primogenita figliuola di Dante con non altro sentimento che quello dell'arte, e con non altro intento che di contemplare e di godere. Come Dante fu condotto alla concezione di questa Francesca importa poco. E importa meno il sapere se e che il poeta abbia mutato o alterato della tradizione storica. Ciò che importa è questo, che la Francesca, come Dante l'ha concepita, è viva e vera assai più che non ce la possa dare la storia. Si, certo, Giulietta ed Ofelia e Desdemona e Clara e Tecla e Margherita ed Ermengarda e Silvia hanno una vita più salda e reale che non tutte le donne storiche: perchè l' aridità della cronaca e la gravità della storia toglie a queste tutta la vita intima, ed elle stanno come in lontananza da noi, e le vediamo in piazza e non le conosciamo in casa, e sappiamo le loro azioni ed ignoriamo il loro cuore. Laddove con le altre ci sentiamo a fidanza e quasi familiari, ed elle ci si porgono amabili e con perfetto abbandono ci rivelano tante riposte gioie, tanti arcani dolori. A questa serie di fanciulle immortali appartiene Francesca, anzi è essa la primogenita, la prima donna viva e vera apparsa sull'orizzonte poetico de' tempi moderni.

Francesca non è nata se non dopo una lunga elaborazione nelle liriche de'Trovatori e nella stessa lirica dantesca. Ivi l'uomo riempie di sè la scena; è lui che opera e parla e fantastica; la donna ci sta in lontananza, nominata e non rappresentata, come Selvaggia e Mandetta; ci sta come il riflesso dell' uomo, la sua cosa, la sua

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fattura, l'essere uscito dalla sua costa, senza personalità propria e distinta : concetto che il Leopardi ha rapp.esentato con tanta altezza nell' Aspasia. Talora è un semplice concetto, sul quale il poeta disserta o ragiona come fa spesso il Cavalcanti, e Dante stesso. Poi diviene un tipo nel quale il poeta raccoglie tutte le perfezioni morali, intellettuali e corporali, costruzione artificiale e fredda, assolutamente inestetica. In questo genere la creatura poetica più originale e compiuta è Beatrice, bellezza, virtù e sapienza, un individuo scorporato e sottilizzato non più individuo, ma tipo e genere; non femmina, ma il femminile, l'eterno femminile di Goethe. Concezione ammirabile; ma non è ancora la donna, non è ancora persona schietta. La potente virtù creativa di Dante non è bastata a fondere insieme tanta varietà di elementi che si trovano in lei congregati, si che spesso la ti pare una personificazione e un simbolo, anzi che persona viva. Se in queste costruzioni simboliche, teologiche, scolastiche non troviamo la donna, tanto meno vi troviamo l'amore. Anch'esso è sovente una personificazione, una reminiscenza di Cupido; e quando si sviluppa dal mito, ed opera direttamente come forza naturale, malgrado le lagrime e i sospiri del poeta, ci lascia freddi, perchè troppo idealizzato, e più spesso stima ed ammirazione per le nobili qualità dell' amata e l'eccellenza della forma, anzi che fiamma e furore, come direbbe Ariosto, forza invitt a cieca a cui tutto soggiaccia.

Entro a queste costruzioni artificiali fondate sul culto della donna, posta in cima di ogni perfezione, e simbolo di tutti gli altri ideali che muovono l'uomo, rimane pur sempre il concetto della donna, non solo come il femminile, la bella faccia che l'uomo dà a tutti i suoi ideali, ma come individuo ella medesima, un essere innamorato gentile. Quest' individuo, sviluppato da ogni elemento eterogeneo, non più concetto, o tipo, o personificazione,

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ma vera e propria persona, in tutta la sua libertà, Francesca. Beatrice è più men che donna, quando dice di sè:

E chi mi vede e non se ne innamora
D'amor non ne averà ma intelletto.

Ciascuno presenta in queste forme an senso ulteriore e più vasto e alto che non è il senso etterale. Beatrice qui è più che donna, è angeletta bella e nova, è il divino non umanato, l'ideale non ancora realizzato, la faccia o apparenza di tutto ciò che è bello e vero e buono, che attira a sè tutti quelli che hanno virtù d'intenderlo, che hanno intelletto d'amore. Ma appunto per questo Beatrice è men che donna, è il puro femminile, è il genere o il tipo, non l'individuo. Perciò voi potete contemplarla, adorarla, intenderla, spiegarvela, ma non l'amate, non la possedete con pura dilettazione estetica, anzi ne state a distanza. Il che spiega perchè Beatrice non ha potuto mai divenire popolare, ed è rimasta ma teria inesausta di dispute e di arzigogoli. Francesca al contrario acquistò una immensa popolarità, presso le nazioni anche meno colte, ed anche oggi in moltissimi ella è rimasta la sola figura sopravvivuta della Divina Commedia. Certo, non era questa l'intenzione di Dante, il quale, confondendo poesia e scienza, immaginava che dove fosse maggiore virtù e verità e perfezione, ivi fosse maggiore poesia, e la cosa è tutta al rovescio, perchè la scienza poggia verso l'astratto, l'idea come idea, e l'arte ha per obbiettivo il concreto, la forma, l'idea calata e dimenticata nell'immagine. La scienza è il genere e la specie; l'arte è l'individuo o la persona, e più vi scostate dall'individuo, più sottilizzate e scorporate, e più vi allontanate dall' arte.

Francesca è donna e non altro che donna, ed è una compiuta persona poetica, di una chiarezza omerica. Certo,

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