Page images
PDF
EPUB

perchè, quando gli uomini sono al Governo si trovano in mezzo alle difficoltà, che prima non apparivano loro innanzi, devono combattere contro necessità imprevedute, sentono una responsabilità assai maggiore di quella che avevano prima, è perciò modificano i loro giudizj, e sono più cauti nell' operare. Codesto io dissi, o signori, e nulla più.

Il Machiavelli nota a questo riguardo, nelle sue Storie fiorentine, un fatto singolare. Egli narra che il popolo di Firenze, mutando spesso le sue Balie, vedeva che gli eletti quando salivano al Governo, non attuavano quello che avevano innanzi promesso, e diceva con una frase che era divenuta quasi proverbiale: « Costoro hanno un animo in piazza e un altro in palazzo. » Nulla di più semplice, e il Machiavelli stesso lo spiega; e non è vero che costoro avessero un animo diverso in piazza e in palazzo, ma quando erano in palazzo vedevano le cose sotto nuovi riguardi, si trovavano a fronte nuove difficoltà, sentivano la gravità delle risoluzioni assai più di prima.

Pertanto, se per trasformismo s'intende soltanto quel modificarsi di pensieri che nasce, per usare una frase moderna, dall'adattamento all'ambiente nel quale si vive, io credo, come dissi, che questa sia una legge generale.

Se poi per trasformismo s' intende il rinunziare alle idee, ai principj dei quali si è convinti e farlo per ragioni secondarie o interessate, in questo caso io ripudio con tutta la forza dell'animo mio la parola e l'idea del trasformismo.

Ma io, ripeto ancora una volta, se sentissi di venir meno ai principj che ho creduto sostanziali al bene della mia patria ed al buon governo costituzionale dal primo giorno in cui entrai nella vita politica, io preferirei di restare all'opposizione, preferirei di restare solo, preferirei di rinunziare anche alla vita politica, piuttosto che macchiarla di una viltà.

Ma io credo che i punti d'accordo vi siano, non solo nella parte negativa, ma anche nella positiva. E mi spiego. Lo aspetto negativo, nella parte politica, sta nell'opporre una resistenza vigorosa ad ogni insidia, ad ogni assalto contro le istituzioni; l'aspetto positivo sta nell'accettare tutti i progressi, che siano compatibili con lo Statuto; l'aspetto negativo nella parte morale sta nel combattere la corruzione parlamentare sotto ogni sua forma; l'aspetto positivo sta in ciò, che vogliamo che nel Governo vi sia la più alta espressione e l'esempio più fulgente della moralità, la quale su questo esempio deve diffondersi in tutti i rami dell'amministrazione.

Io conchiudo, o signori. Si è detto che le questioni economiche presero un'importanza maggiore delle politiche; ed è vero, perchè oramai quelle questioni che passionano più il paese sono quelle, che si chiamano sociali; ma, al disopra

delle questioni politiche e sociali, sta sempre la questione morale. Le nazioni le più fiorenti sono decadute rapidamente il giorno in cui la loro vita non fu più informata dal principio morale.

Guardate l'Italia nella fine del secolo XV e nel principio del XVI; essa era ricca, potente, aveva abbondanza di commerci e d'industrie, era ammirata, invidiata da tutte le altre nazioni, fiorente di scienze, di lettere, d'arti, ma quest' Italia, dopo 50 anni, voi la trovate calpestata, divisa, serva, vilipesa, spogliata di ogni ricchezza e di ogni bene, nè la tanto vantata abilità e scaltrezza valse a ritardare di un giorno la sua ruina. Imperocchè gli italiani erano allora i più astuti, i più abili diplomatici; principi, ministri, cardinali, ambasciatori italiani erano esaltati dovunque per acutezza d'ingegno, per pratica di affari, per scaltrezza nel maneggiarli; ma nulla di ciò valse, perchè mancava la forza e la moralità.

L'Italia è rimasta per tre secoli in questa misera schiavitù; alfine è risorta, ma come risorta? E risorta forse per virtù di commerci e d'industrie? E risorta per artificj di diplomazia? È risorta per abilità consumata di ministri? No, signori, l'Italia è risorta unicamente pei sacrificj e pei martirj, è risorta per virtù di Principe e di popolo. Badiamo, signori, che quest' edificio che abbiamo con tanta fatica innalzato non abbia a crollare per sostegno manco, cioè per difetto di ciò che è l'anima della vera grandezza, sì nei privati che nelle nazioni. — (Dai Discorsi Parlamentari, vol. VIII, p. 266 e segg.)

GIACOMO ZANELLA. Di umili genitori nacque in Chiampo nel Vicentino ai 9 settembre 1820. Vestitosi chierico, studiò in Vicenza, e ordinato sacerdote nel '43, insegnò nel Seminario. Nel '47 aveva preso la laurea universitaria e nel '50 era stato abilitato ad insegnar filosofia: ma, fattosi conoscere prete di spiriti liberali, nel '53 fu oggetto a perquisizioni e noje dell'autorità austriaca, e dove rinunziare all'insegnamento. Nel '57, tolta l'interdizione che gli era stata inflitta, venne destinato professore liceale a Venezia e a Vicenza, indi direttore del ginnasio liceale di Padova, e in quest'ufficio si trovava quando nel 1866 il Veneto fu ricongiunto all' Italia. Allora fu fatto professore di letteratura italiana nell'università di Padova, della quale fu rettore nel '70-72. Per dispiaceri avuti in cotesta carica, e per la morte della madre, cadde in una profonda malinconia, che gli durò « per tre verni Noiosamente eguali, Amaramente eterni », dalla fine del '72 alla primavera del '76. Riavutosi, chiese ed ottenne il riposo. Col piccolo peculio raccolto, eresse presso Vicenza una villetta, che fu il suo Linterno, alternando il soggiorno in essa con viaggi in varie partí d'Italia, e occupando la vita solitaria con scritture in

verso e in prosa. Dal fiume che bagnava codesto ritiro, intitolò Astichello una raccoltina di versi, di tersissima forma, ai quali prelude il seguente sonetto:

La villa del poeta.

Una villetta fabbricai, che appena
Quindici metri si dilata in fronte,
Ricca, più che di suol, d'aria serena
E di largo, poetico orizzonte.

Quinci dell' Alpi la nevosa schiena
Che vien di monte digradando in monte:
Quindi il cheto Astichel d'argentea vena,
E tinto in rosso sovra l'acque il ponte.
Datur ora quieti in bronzo impresso
Stà sul frontone. È di Virgilio il verso
Là nell'Eneide, ove dal Sonno oppresso

Palinuro ne mostra in mar sommerso.
Naufrago anch'io del mondo e di me stesso
Possa qui ber l'oblio dell' universo!

Mori ai 17 maggio 1889. Vicenza gli eresse una statua ai 9 settembre 1888.

La sua fama, ristretta dapprima al Veneto, si allargò a tutta Italia nel 1868, quando il Barbèra pubblicò in un vol. le sparse sue rime: egli fu allora salutato « nuovo poeta » (v. I. DEL LUNGO, in N. Antologia, settembre 1868) da quanti nella poesia cercano il linguaggio degli alti e miti affetti, più che il grido e il fremito delle passioni. Ebbe contraddittori, che gli negarono ogni pregio; ma ora cessate le dispute, egli è riconosciuto per lirico valente, di forma propria e originale laddove canta le riposte armonie del mondo esterno col mondo morale, e che pur materiando le sue poesie di concetti e sentimenti moderni, sa manifestarli con semplicità e schiettezza classica. Profondamente credente, egli informa i suoi versi ad elevati sensi religiosi e morali: e ammirando i progressi dell'umano ingegno, chiede che di pari passo proceda il miglioramento interno. Lamenta che il fiore della scienza abbia dato all' uomo un « amaro tosco, e che questi salga superbo incontro al cielo: immensa Luce è nei suoi pensieri, Ma la notte del cor si fa più densa»: spera per altro che queste « pallide schiatte Che affanna il pensiero », trovino posa nella fratellanza verace, sentita nei cuori e sperimentata nelle opere. Della patria celebrò le gioje e i dolori, augurando con fede la riconciliazione fra il sacerdozio e la società civile; sicchè volgendosi in uno degli ultimi suoi canti al Pontefice, gli disse: « D'Italia odi la voce: Ed, arra a lei di vita, La Croce sua marita Alla tua Croce ».

Delle sue Poesie la più compiuta raccolta è quella in 2 volumetti, preceduta da una Biografia scritta da F. LAMPERTICO, Firenze,

Le Monnier, 1894: cui però va aggiunto il volumetto Astichello ed altre poesie, Milano, Hopli, 1884, e per le cose tradotte, il volumetto Varie versioni poetiche, Firenze, Le Monnier, 1888. Un volume di Scritti varii in prosa fu stampato dai Succ. Le Monnier nel 1877: ma molte altre cose egli scrisse, fra le quali la Storia della Letterat. ital, dalla metà del settecento ai giorni nostri, Milano, Vallardi, 1880; la Vita di Andrea Palladio, Milano, Hopli, 1880; lo studio Della Letterat. ital. nell'ultimo secolo, Città di Castello, Lapi, 1886; e i Paralleli letterari, Verona, Munster, 1885, nei quali con acume e dottrina mette a paragone fra loro autori italiani e stranieri, come Pope e il Conti, Addisson e il Gozzi, Gessner e il Bertòla, Gray e Foscolo, il Pindemonte e varj poeti inglesi, ec.

[Per la bibliografia, v. S. RUMOR nel 2o vol. della cit. ediz. delle Poesie, Le Monnier, 1894; per la biografia e la critica, G. CHIARINI, in Nuova Antologia, 1 giugno 1888; G. BIADEGO, Commemoraz. di G. Z., Lucca, Giusti, 1888; C. GUASTI, Commemoraz. nella seduta dell'Accad. della Crusca 2 dec. 1888, Firenze, Cellini, 1889; G. MAZZONI, Commemoraz. di G. Z., nell'Università di Padova, Padova, Randi, 1889; M. TABARRINI, Discorso letto a Vicenza, Firenze, Cellini, 1889; A. FOGAZZARO, Discorso letto a Torino, nel Filotecnico, Torino, De Rossi, 1889, e G. Z. e la sua fama, in Nuova Antologia, 1 nov. 1893.]

La conchiglia fossile.

Sul chiuso quaderno
Di vati famosi,
Dal musco materno
Lontana riposi,

Riposi marmorea,
Dell'onde già figlia,
Ritorta conchiglia.

Occulta nel fondo
D'un antro marino
Del giovane mondo
Vedesti il mattino;
Vagavi co' nautili,
Co' murici a schiera:
E l'uomo non era.
Per quanta vicenda

Di lente stagioni,
Arcana leggenda
D'immani tenzoni
Impresse volubile
Sul niveo tuo dorso
De' secoli il corso!

Noi siamo di ieri:

Dell' Indo pur ora
Sui taciti imperi
Splendeva l'aurora;
Pur ora del Tevere
A'lidi tendea
La vela di Enea.
È fresca la polve
Che il fasto caduto
De' Cesari involve.
Si crede canuto
Appena all'Artefice
Uscito di mano
Il genere umano!

Tu, prima che desta
All' aure feconde
Italia la testa
Levasse dall'onde,
Tu, suora de' polipi
De' rosei coralli
Pascevi le valli.

Riflesso nel seno
De' ceruli piani
Ardeva il baleno
Di cento vulcani :
Le dighe squarciavano
Di pelaghi ignoti
Rubesti tremoti.
Nell'imo de' laghi
Le palme sepolte:
Nel sasso de' draghi
Le spire rinvolte,
E l'orme ne parlano
De' profughi cigni
Sugli ardui macigni.
Pur baldo di speme
L'uom, ultimo giunto,
Le ceneri preme
D'un mondo defunto;
Incalza di secoli
Non anco maturi
I fulgidi auguri.

Sui tumoli il piede,
Ne cieli lo sguardo,
All'ombra procede
Di santo stendardo:
Per golfi reconditi,
Per vergini lande
Ardente si spande.

T'avanza, t'avanza, Divino straniero;

« PreviousContinue »