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califfo od un sultano riunisse nelle sue mani il potere spirituale. Dappertutto questa fatale mescolanza ha prodotto gli stessi effetti; tolga adunque Iddio, o signori, che ciò avvenga nella nostra contrada.

Ciò premesso, io credo dover esaminare da tutti i lati la sollevata questione, quella cioè degli effetti che la riunione di Roma all'Italia avrà sulla indipendenza del potere spirituale del pontefice. La prima cosa che io debbo fare si è di esaminare se ora veramente il potere temporale assicuri al pontefice una effettiva indipendenza. In verità, se ciò fosse, se il potere temporale assicurasse ora, come assicurava nei secoli scorsi, l'indipendenza assoluta del pontefice, io esiterei molto a pronunziare la soluzione di questo problema. Ma, o signori, possiamo noi, può alcuno affermare con buona fede che il potere temporale del pontefice, qual è ora costituito, conferisca alla sua indipendenza? No certamente, quando si vogliano considerare le condizioni attuali del governo romano con ispirito di imparzialità. Nei secoli scorsi, quando il diritto pubblico europeo non conosceva quasi nessun altro titolo giuridico di sovranità che il diritto divino; quando i sovrani erano considerati come proprietari assoluti dei paesi che costituivano il loro dominio; quando i varj governi d'Europa rispettavano questo principio, oh io intendo che, pel pontefice, il possesso di alcune provincie, di uno Stato di qualche estensione fosse una garanzia d'indipendenza. In allora questo principio era accettato, o, se volete, subito dalle popolazioni stesse; quindi, volendo o non volendo, simpatico od antipatico che loro fosse quel governo, lo accettavano, lo subivano; perciò io non esito a riconoscere che sino al 1789 il potere temporale fu pel pontefice una garanzia d'indipendenza. Ma ora, o signori, questo diritto pubblico è mutato; quasi tutti i governi civili riposano sul principio del consenso, o tacito od esplicito, delle popolazioni. Noi vediamo questo principio solennemente proclamato in Francia ed in Inghilterra; noi lo vediamo quasi accettato in Prussia; vediamo persino che l'Austria stessa vi si accosta, e che la Russia, se lo contesta ancora, non lo respinge più con quella veemenza con cui lo combatteva l'imperatore Nicolò, il quale aveva quasi innalzato il diritto divino a dogma religioso. Ammesso che il consenso dei popoli al governo che è loro imposto sia necessario, è facile il dimostrare che il potere temporale manca assolutamente di fondamento. Ora, che non vi sia questo consenso, che anzi vi sia stato e vi sia tuttora un antagonismo crescente tra le popolazioni degli antichi dominj del papa ed il governo temporale del sommo pontefice, è cosa evidente

Se questo antagonismo esiste, qual rimedio i fautori del potere temporale possono apportarvi, onde questo stato temporale sia una garanzia della indipendenza del potere

spirituale? Io so che alcuni cattolici, più zelanti che illuminati, non rifuggono dal dire: il potere temporale essendo una necessità assoluta per la società cattolica, esso dev'essere assicurato, avere presidj di truppe somministrate da tutte le grandi potenze cattoliche, e con fondi versati nel tesoro pontificio, quando anche con questo metodo quei paesi debbano essere condannati a duro e perpetuo servaggio. lo non mi fermerò a confutare questi argomenti, degni non gia di uomini professanti la santa religione di Cristo, ma piuttosto di coloro nel cui dogma religioso i sacrifizj umani erano considerati come mezzo opportuno a rendersi propizie le divinità! Certo, o signori, non possono essere i seguaci della religione di Colui, che sacrificò la vita per salvare l'umanità, quelli che vogliono sacrificare un intero popolo, che vogliono condannarlo ad un continuo martirio, per mantenere il dominio temporale del suo rappresentante su questa terra.

Se il potere temporale non assicura l'indipendenza della Chiesa, con quali mezzi, mi si dirà, volete või assicurarla? Ciò vi è stato detto dall'onorevole Audinot in questa tornata prima di me, e me ne compiaccio. Noi riteniamo che l'indipendenza del pontefice, la sua dignità e l'indipendenza della Chiesa possono tutelarsi mercè la separazione dei due poteri, mercè la proclamazione del principio di libertà applicato lealmente, largamente, ai rapporti della società civile colla religiosa. Egli è evidente, o signori, che, ove questa separazione sia operata in modo chiaro, definito e indistruttibile; quando questa libertà della Chiesa sia stabilita, l'indipendenza del Papato sarà su terreno ben più solido che non lo sia al presente. Nè solo la sua indipendenza verrà meglio assicurata, ma la sua autorità diverrà più efficace, poichè non sarà più vincolata dai moltiplici concordati, da tutti quei patti che erano, e sono, una necessità finché il pontefice riunisce nelle sue mani, oltre alla potestà spirituale, l'autorità temporale. Tutte quelle armi, di cui deve munirsi il potere civile in Italia e fuori, diverranno inutili quando il pontefice sarà ristretto al potere spirituale. Epperciò la sua autorità, lungi dall'essere menomata, verrà à crescere assai più nella sfera che sola le compete.

Io credo che questo non ha bisogno di dimostrazione, e penso che ogni sincero cattolico, ogni sacerdote zelante per la religione di cui è ministro, deve preferire di molto questa libertà d'azione nella sfera religiosa, ai privilegj ed anche al potere supremo nella sfera civile. Se altrimenti fosse, converrebbe dire che quei sacerdoti, quei cattolici non sono di buona fede, e vogliono fare del sentimento religioso un mezzo di promuovere i loro temporali interessi. La difficoltà dunque sta in ciò; nè io penso che verun teologo assennato possa contestare questa verità.

Bensi mi si dirà: come assicurerete questa separazione,

questa libertà che promettete alla Chiesa? A parer mio, essa si può assicurare in modo efficacissimo; la Chiesa troverà garanzie potenti nelle condizioni stesse delle popolazioni italiane, nelle condizioni stesse del popolo che aspira all'onore di conservare in mezzo a sè il sommo Capo della societa cattolica. I principj di libertà da me accennati debbono, o signori, essere inscritti in modo formale nel nostro Statuto, debbono far parte integrante del patto fondamentale del nuovo regno d'Italia.

Ma non è questa, a mio avviso, la sola garanzia che la Chiesa può ottenere; la maggior garanzia sta nella indole, nella condizione stessa del popolo italiano. Il popolo italiano è eminentemente cattolico, il popolo italiano non ha mai voluto distruggere la Chiesa, ma volle solo che fosse riformato il potere temporale. Tali furono le opinioni dei più grandi, dei più arditi pensatori di tutti i secoli in Italia: Arnaldo da Brescia, Dante, Savonarola, Sarpi, anche Giannone, almeno per quanto si rileva da' suoi scritti, tutti vollero la riforma del potere temporale, nessuno la distruzione del cattolicismo. Questa riforma è un desiderio ardente dell'Italia, ma quando esso sarà compiuto, io oso affermare che nessun popolo sarà più tenero, più tenace dell'indipendenza del pontefice, dell'assoluta libertà della Chiesa. Questo principio di libertà, io lo ripeto, è conforme all' indole vera della nostra nazione, ed io porto fiducia che, quando le condizioni nostre siano prese ad attento esame dai più caldi fautori dell' indipendenza della Chiesa, saranno astretti a riconoscere la verità di quanto ho già proclamato, e dovranno ammettere, che l'autorità del pontefice, l'indipendenza della Chiesa saranno molto meglio assicurate dal libero consenso di 26 milioni di Italiani, che da alcuni mercenari raccolti intorno al Vaticano, ed anche da truppe valorose ed amiche, ma pur sempre straniere.

Ma, mi si dirà, voi manifestate delle speranze; i fatti però paiono poco conformi alla loro realizzazione. Voi vedete che ogni vostro tentativo di transazione, che ogni offerta di negoziati viene recisamente respinta. Io non credo opportuno, e la Camera approverà la mia riserva, di addentrarmi in minuti particolari delle nostre relazioni colla Corte di Roma; non esiterò però a riconoscere che finora nessun tentativo per aprire negoziati fu accolto da quella Corte; ma debbo altresi dichiarare che il momento per addivenire a trattative su quei larghi principj, che io ho testè proclamati, non era forse ancor venuto, e che quindi ci è lecito di nutrire fiducia che, quando le nostre intenzioni saranno chiaramente conosciute e giustamente apprezzate, le disposizioni della Corte di Roma potranno modificarsi e piegarsi a più miti consigli. Signori, la storia ci offre molti esempi di pontefici che, dopo avere scagliato i loro fulmini contro alcuni sovrani coi quali erano in urto, hanno poi

stretta pace ed alleanza con essi. Voi ricorderete che in tempi nefasti per l'Italia, Clemente VII, dopo aver veduta la sua Roma invasa dalle truppe spagnuole e messa a sacco, dopo aver subito ogni specie di umiliazione per parte di Carlo V, alcuni anni dopo lo sacrò nel tempio di San Petronio e strinse alleanza con lui, col funesto scopo di togliere la libertà a Firenze, sua patria. Ciò posto, o signori, non ci sarà egli lecito sperare che il mutamento che si operò nell'animo di Clemente VII, onde ridurre in servitù la sua terra natia, non possa pure operarsi nell'animo di Pio IX, onde assicurare la libertà all'Italia e alla Chiesa? Ma e se ciò non si avverasse? Se, per circostanze fatali alla Chiesa e all' Italia, l'animo del pontefice non si mutasse, e rimanesse fermo nel respingere ogni maniera di accordo? Ebbene, o signori, non perciò noi cesseremo dal proclamare altamente i principj che qui ora vi ho esposti, e che mi lusingo riceveranno da voi favorevole accoglienza; noi non cesseremo dal dire che, qualunque sia il modo con cui l'Italia giungerà alla Città Eterna, sia che vi giunga per accordo o senza, giunta a Roma, appena avrà dichiarato decaduto il potere temporale, essa proclamerà il principio della separazione, ed attuerà immediatamente il principio della libertà della Chiesa sulle basi più larghe. Quando noi avremo ciò operato; quando queste dottrine avranno ricevuto una solenne sanzione dal Parlamento nazionale; quando non sarà più lecito di porre in dubbio quali siano i veri sentimenti degl' Italiani; quando sarà chiaro al mondo che essi non sono ostili alla religione dei loro padri, ma anzi desiderano e vogliono conservare questa religione nel loro paese, che bramano assicurarle i mezzi di prosperare e di svilupparsi abbattendo un potere, il quale fu un ostacolo non solo alla riorganizzazione d'Italia, ma eziandio allo svolgimento del cattolicismo, io porto speranza che la gran maggioranza della società cattolica assolverà gl' Italiani, e farà cadere su coloro a cui spetta la responsabilità delle conseguenze nella lotta fatale che il pontefice volesse impegnare contro la nazione, in mezzo alla quale esso risiede. Ma, o signori, Dio disperda il fatale augurio! a rischio di essere accagionato di abbandonarmi ad utopie, io nutro fiducia che, quando la proclamazione dei principj, che ora ho fatta, e quando la consacrazione, che voi ne farete, saranno rese note al mondo, e giungeranno a Roma nelle aule del Vaticano, io nutro fiducia, dico, che quelle fibre italiane che il partito reazionario non ha ancora potuto svellere interamente dall'animo di Pio IX, queste fibre vibreranno ancora, e si potrà compiere il più grande atto che popolo mai abbia compiuto. E così sarà dato alla stessa generazione di aver risuscitato una nazione, e d'aver fatto, cosa più grande, più sublime ancora, cosa, la di cui influenza è incalcofabile d' avere cioè riconciliato il Papato coll'autorità

civile; di avere firmata la pace fra la Chiesa e lo Stato, fra lo spirito di religione ed i grandi principj della li

bertà.

ATTO VANNUCCI. Nacque di modesti genitori in Tobbiana, nel contado pistojese, ai 29 dec. 1810. Vesti l'abito ecclesiastico, e fatti gli studj sotto il can. Silvestri, lo seguì a Prato come maestro di umanità nel Collegio Cicognini, attendendo a insegnar altrui e ad erudir sè stesso, mentre all' amore della libertà sempre più s'infiammava sugli scrittori latini. De' quali essendosi impresa in Prato una edizione per le scuole, il Vannucci commentò via via le Metamorfosi, Fedro, Catullo, Tibullo e Properzio, Cornelio Nipote, Sallustio e Tacito, premettendo a ciascuno un suo discorso: questi tutt' insieme furono poi raccolti ed ebbero il titolo di Studi storici e morali sulla letteratura latina (3a ediz., Torino, Loscher, 1886). Di questo tempo sono anche molte biografie inserite nella raccolta del Tipaldo, le Memorie di G. Montani (Capolago, 1843), che danno utili notizie sulla storia del giornale l'Antologia, e quegli studj sulla storia antica di Firenze, che, inseriti allora nella Guida dell'Educatore, diventarono I primi tempi della libertà fiorentina (3a ediz., Firenze, Le Monnier, 1861). In tutti questi lavori appariscono già le qualità più eminenti dello scrittore e dell' uomo : altezza di sensi, schiva di ornamenti artificiosi e falsi, schiettezza d'animo, e vigor di parola. Prese il Vannucci nel '48 viva parte agli avvenimenti italiani e militò nella parte più avanzata: appartenne alla Costituente toscana e rappresentò il Governo provvisorio a Roma. Poi esulò, e stette a Parigi prima, poi a Lugano, professore in quel Liceo, finchè nel '54 gli fu concesso il ritorno in patria. Operosissima fu la sua vita in questi anni: aveva già nel '48 messo fuori un primo saggio delle memorie su I martiri della libertà italiana dal 1794 al 1848, che si accrebbero e migliorarono di edizione in edizione, fino alla nona, postuma (Milano, Carrara, 1882); aveva anche posto mano alla Storia dell' Italia antica, della quale più tardi curò una terza edizione illustrata coi monumenti (Milano, tipogr. edit. lombarda, 1873-76, 4 vol.). Venuto il '59, fu della Consulta di Stato, e nel '60 deputato all'Assemblea toscana, poi nel '61 al Parlamento italiano, e nel '65 Senatore del regno. Era stato anche Bibliotecario della Magliabechiana e professore di Lettere latine dell'Istituto fiorentino. Lavori della sua vecchiaja furono i Proverbi latini illustrati, pubblicati prima sparsamente e poi raccolti in 3 vol. (Milano, tipogr. edit. lomb., 1880-83), ricco tesoro di documenti storici e morali, attinti alla sapienza popolare e al senno degli scrittori. Nel 1865, nell'Accademia della Crusca, di che faceva parte fin dal '48, lesse l' Elogio del Niccolini, che poi accrebbe con documenti e lettere, sì da farne i due vol. di Ricordi della vita e delle opere di G. B. Niccolini (Firenze, Le Monnier, 1866): e nel

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