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* Eccolo." E come ti riusciva a ripiegartici dentro? Vediamo un po', via." - "Adesso i' non ci capisco."—" Provati, carina." Mi sforzerò...." E la serpe assottigliandosi poco per volta, comecché a stento, vi si ficca dentro, e sopra a lei la scimmia getta allora copia di fieno, interrogando con modi ingenui: E così ti ricoperse schermendoti dal freddo?" - *Cosi."

Allora la scimmia, svelta e leggiera, presa una grossa pietra la sovrappone all'orlo del buco, e grida: "Ora che ci sei, stacci; e a rivederci a quaresima."

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Poi voltasi all'uomo, tra beffarda e severa, gli disse queste parole: Non è già che il cane e il cavallo difettassero di ragione: la tua razza malvagia meriterebbe essere cancellata dalla vita: homo sortitus est anima mala. Quale animale senza necessità di fame o di difesa uccide le creature di Dio? Nessuno tranne l'uomo, che per vaghezza o per ozio fa strage delle anime viventi, e dalle voglie omicide ricava argomento di trionfo. Quale animale come l'uomo ha fatto della distruzione un mestiere? Sopra ogni studio, per cui diventa simile a Dio la vostra mente, voi avete nobilitato questo mestiere, e col soccorso delle scienze più sublimi vi siete ingegnati sciogliere il problema di sterminare la maggiore quantità possibile dei proprj simili nel minor tempo possibile. Fu cane o gatto l'inventore della polvere, delle artiglierie, dei razzi alla Congrève, delle mine e simili? Sono eglino bovi e cavalli, Paixhans e gli altri che trovarono il modo di distruggere in minuti un vascello, e la polvere-cotone? Chi può come voi adoperare il riso per dissimulare il pianto, e il pianto per dissimulare il riso? Chi di noi seppe tradire il suo Maestro con un bacio? Chi di noi si avvisò nella espansione dell' amore adattare un laccio al collo alla feminina già amata, e strangolarla? La parola vi tiene luogo di arnese per dare ad intendere il contrario di quello che il cuor vostro pensa. La vostra ragione come un faro infame vi precipita tra lo errore e il delitto. Così poco costumate amarvi e beneficarvi, che al più leggiero benefizio ecco accendete le luminarie e i falò, suonate le campane a distesa, date fiato alle trombe da scoppiarne le gote, sudano i torchj, se ne appiccano i cedoloni su pei muri. Noi altri di una stessa razza non ci facciamo mai male: noi non conosciamo quella tanto onorevole accompagnatura dei sette peccati mortali.... - Omero, Virgilio e gli altri vostri poeti antichi assomigliano qualche uomo micidiale a tigre, a lione, a pantera e simili: ben per loro che sono morti, altrimenti capiterebbero male; e se i poeti romantici hanno smesso questo mal vezzo, nol fecero già perchè queste similitudini sembrassero loro o troppo classiche o troppo viete, ma per avere saputo che questi miei fratelli di bestialità, perduta alfine la pazienza, si erano

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risoluti ad accusarli criminalmente d'ingiurie. La ferocia umana non trova ferocia che la superi, e nemmeno che la uguagli. Come i Romani dicevano di Cartagine, la umanità delenda est. Non date il Santo ai cani; e ogni albero che non fruttifica o fruttifica male va reciso e gettato sul fuoco; - colui che soccorre ai tristi sperpera la sostanza dei buoni, e quando il bisogno li stringe, manca in coloro che li dovrebbero giovare la volontà o la facoltà per levarli di pena. Nè questo è tutto il malvagio, che invece di vedersi vilipeso e punito si vede tenuto in pregio e premiato, indura nella nequizia e raduna forze per continuare nella flagellazione delle creature dabbene. Že serpi non si raccolgono, ma si calpestano. —- Però siccome conosco a prova amore di figli che cosa sia, e mi sento viscere di carità, mi trovai commossa al pensiero del lutto della tua famiglia in sapendoti divorato vivo; e poi il tuo sembiante mi parve di uomo giusto, diverso affatto da quello dei tuoi fratelli, ed ho voluto salvarti. Vatti dunque con Dio, e continua a camminare nella via della carità, perchè quantunque tu possa incontrare qualche cosa che ti riesca molesta, alÎ'ultimo ne avrai rimerito dagli altri, e in ogni caso dalla tua coscienza, suprema premiatrice dei buoni; e forse a rivederci nell' altro mondo, perocchè il sapientissimo re Salomone che cosa abbia detto: - Chi sa se lo spirito delle bestie vada in su od in giù? — Questo noi vedremo dopo...." Ciò detto, la scimmia con salti smisurati fece ritorno alle amate fronde, e più agli amati frutti del fico.

GIUSEPPE MAZZINI. Questo grande agitatore nacque in Genova ai 22 giugno 1805. Fu solenne fra le impressioni della sua giovinezza quella dei capi della rivoluzione piemontese del '21, che, fallito quel moto, salpavano da Genova per la terra d'esilio: ei d'allora votò sè stesso alla patria, al cui amore infiammava i coetanei e condiscepoli. A tale scopo ei volgeva anche gli studj letterarj, in articoli inseriti prima nell' Indicatore Genovese (1828) e nel Livornese, poi anche nell'Antologia, militando risolutamente sotto la innovatrice insegua del romanticismo. Affiliato ben presto ai Carbonari, divenne noto alla polizia, fu incarcerato e quindi bandito. In carcere ideò, voltando le spalle al Carbonarismo, la Giovane Italia, setta, o com'egli volle chiamarla « associazione », fra il mistico e il politico, avente per motto Dio e il Popolo, e diretta a promuovere un rinnovamento insieme morale, religioso e civile, che dovesse produrre l'Unità e la Repubblica in Italia, e la concordia degli uomini nell'Umanità rigenerata. Ei la fondò nel 1832 in Marsiglia, insieme col giornale omonimo, dopo essersi rivolto l'anno innanzi a Carlo Alberto, allora salito sul trono, con una lettera, suo primo scritto politico, ove gli proponeva di essere

il Napoleone della libertà italiana. » L'estendersi della nuova setta in Piemonte, diede origine a condanne capitali, e a quella pur di lui contumace alla morte sulla forca (26 ottobre 1833). Searciato con altri esuli dalla Francia, riparò in Svizzera, ove preparò quella spedizione di Savoia (1834), che, duce il Ramorino, fini nel ridicolo; ma lasciò dietro a sè strascico di nuove vittime di qua dalle Alpi. Sfrattato anche dalla Svizzera, si rifugiò a Londra, ove ordinò le prose politiche e il commento a Dante del Foscolo, e scrisse articoli letterarj, specialmente di argomento italiano, raccolti poi cogli anteriori nei tre volumi di Scritti di un italiano vivente (Lugano, Tip. Svizzera-ital., 1847), e poi nei volumi II e IV degli Scritti editi ed inediti. Ma non intralasciando l'opera sua politica, fondò il giornale l'Apostolato popolare (1840-43), cui poi successe l'Educatore, e continuò per tal modo e colle corrispondenze clandestine a tener desti gli spiriti d'italianità. L'impresa mazziniana di maggior conto allora compiutasi, fu la discesa de' fratelli Bandiera e consorti in Calabria, ove vennero presi e fucilati nel luglio 1844. Quanto egli meditava ed ordiva da Londra, era però sempre risaputo dai governi, e nel piccolo cenacolo dei devoti non mancava mai un traditore: le polizie si comunicavano l'una all' altra ciò che venivano a conoscere de' suoi tentativi, e persino un ministro inglese, Lord Graham, che ne fu aspramente vituperato dal Parlamento e dall'opinione pubblica, comunicava all'Austria il contenuto della corrispondenza del Mazzini, ch' ei violava. Le ripetute effusioni di sangue, gli imprigionamenti e gli esilj degli affiliati al Mazzini in ogni regione d'Italia, a poco a poco, per l'inanità degli effetti, distolsero da lui i più assennati, tanto più che appunto allora il Gioberti diffondeva idee di conciliazione fra principi e popoli, mirando al medesimo fine del risorgimento nazionale con mezzi più pratici. Alle idee giobertiane ei contrapponeva (31 gennaio 1846) l'Associazione nazionale italiana, fondata a Londra in luogo della Giovane Italia. Sorgeva intanto Pio IX, che pareva l'uomo profetato dal Gioberti; e anche a lui il Mazzini dirigeva una lettera (8 settembre 1847), consigliandolo a esser credente e unificatore d'Italia, e a fondare un governo unico in Europa, che distruggerà l'assurdo divorzio fra il potere spirituale e il temporale. » La rivoluzione del febbraio lo richiamò a Parigi, dove, scoppiata anche la rivoluzione lombarda, organizzò una legione di volontarj. Venne a Milano e vi fondò l'Italia del Popolo, sollevando la bandiera repubblicana di fronte a quella di Carlo Alberto, accorso coi figli e coll' esercito a combattere le battaglie dell'indipendenza, e gettando così un germe di discordia, che malauguratamente portò i suoi frutti. Prostrate le armi piemontesi, fu alfiere di una colonna di volontarj condotta da Garibaldi, e si rifugiò a Lugano, ove proclamò esser finita la guerra regia, e cominciarsi ora quella dei popoli. Prevalendo ormai i partiti estremi e dissennati, tornò in Italia, fermandosi a Firenze,

dove imperava l'antico suo amico, il Guerrazzi, col quale ebbe un aspro colloquio; consigliando egli la immediata proclamazione della repubblica e l'unione della Toscana con Roma; l'altro, più scaltro e positivo, contrastandogli ambedue le proposte. A Roma, ove già erasi proclamata la repubblica, fu fatto cittadino, rappresentante alla Costituente, e il 30 marzo 1849 triumviro coll'Armellini e il Saffi. Ma di lì a poco la città era cinta d'assedio dalle armi francesi, che vennero respinte (30 aprile) da Garibaldi; dopo di che il governo francese, celando il bisogno di portar sul luogo nuovi rinforzi, intavolava quelle trattative col mezzo del Lesseps, che a nulla condussero. Caduta Roma, il Mazzini tornò a Londra e fu capo del Comitato rivoluzionario italiano, e parte di quello europeo. Le cartelle di un imprestito da lui iniziato per la redenzione d'Italia, fruttarono l'eccidio del Tazzoli, del Calvi, dello Speri e di altri generosi a Mantova nel 1852: ma nè questo nobil sangue, nè il folle tentativo del 6 febbraio 1853 a Milano lo distolsero da nuove imprese, ch'ei credeva poter compire con pochi danari, pochi fucili e pochi uomini, di che è sempre affannosa inchiesta nella sua corrispondenza: imprese, ch'egli stimava utili, per l'esempio, anche se riuscissero soltanto crudelmente cruente. Né solo erano volte contro l'Austria, ma anche contro il Piemonte, ove pur sventolava il vessillo tricolore; tuttavia, il fatto di Genova del 28 giugno 1857, nel quale al forte del Diamante miseramente perdette la vita, vittima del dovere, il sargente Pastrone, servi a sempre più alienargli gli animi degli Italiani e di gran parte degli esuli ; alcuni dei quali, come Felice Orsini, si staccarono clamorosamente da lui. Anche Garibaldi aderiva alla cavurriana Società nazionale, e irritatissimo contro il Mazzini, diceva: « Se mi capita fra le unghie ! Intanto il Piemonte era entrato in lega colle potenze occidentali e mandava in Oriente i suoi soldati; ai quali dirigevasi (16 febbraio 1855) il Mazzini, consigliandoli a rifiutare di esser « deportati in Crimea;> consiglio, che niun danno poteva arrecare a lui, sicuro in Londra, ma che duramente avrebbe scontato colla vita, oltre il mancar all'onore, chi in Piemonte si fosse indotto a seguirlo. Sempre più irritato dal vedere la nuova piega che prendevan le cose italiane, all' infuori della sua guida e contro i suoi concetti e desideri, pro fetava sciagure, e nel '58 scriveva pubblicamente al Cavour che la politica sua e del D'Azeglio finirebbe col « disfare il Piemonte; e vide giusto, chè dal Piemonte disfatto, e mescolato con tutto il resto, rinacque l'Italia. Fondò un giornale col motto Pensiero e Azione, e vi combattè la politica prevalente, dissuadendo i suoi, che non tutti l'ascoltarono, dal prender parte ai fatti del '59. In que st'anno si aggirò, celato da amici, in Toscana; nel '60 fu a Napoli, dove parve un momento dominar l'animo di Garibaldi inducendolo a procrastinare il plebiscito, ma lo vinse l'opinione dell' universale e l'autorità del prodittatore Pallavicino. Dipoi, fatta ma non com piuta l'Italia, capitaneggiò gli impazienti, intralciando l'azione

del governo sorto dai plebisciti, e propagando le idee repubblicane: per sciogliere le questioni di Venezia e Roma, ebbe trattative, naturalmente infeconde, con Vittorio Emanuele (v. DIAMILLA MULLER, Politica segreta italiana, Torino, Roux, 1880); dopo i fatti di Torino, si congiunse ai malcontenti della Permanente. Eletto deputato di Messina nel 1866, non siedè nella Camera, perchè l'elezione venne annullata, essendo egli sotto il peso della condanna del '57 pei fatti di Genova: rieletto ancora, e confermata l'elezione, mandò le sue dimissioni, non volendo giurare fedeltà alla monarchia, incapace, a parer suo, « di fondare l'unità morale della nazione, se pur era stata capace di fondarne, col suo proprio concorso, l'unità materiale. Nell' agosto del '70 fu arrestato nelle acque di Palermo, condotto a Gaeta, poi rilasciato. L'entrata dell'Italia, o come ei diceva, della monarchia a Roma, ch' era l'impresa suprema del risorgimento, parvegli una profanazione, e come « lo sfumar dell'ideale della sua vita, » perchè ritardava « di dieci anni » il sognato avvenimento della Repubblica. Lo scatenarsi di nuove passioni, specialmente in Francia, lo amareggiò, e gli ultimi suoi lavori (Scritti, vol. XVI-XVIII) furono volti a combattere il socialismo e l'anarchia, il materialismo e l'ateismo. Visse ancor qualche tempo sconfortato e malaticcio, finchè in casa di fidi amici, ove stava celato con nome inglese, mori in Pisa il 10 marzo 1872.

Il nome di Mazzini si va via via innalzando e purificando, e la nuova generazione rammenta di lui sopra tutto l'apostolato unitario. La costanza colla quale difese per si lungo tempo questo concetto, che pareva utopia inattuabile, fa dimenticare com'egli troppo strettamente vi appajasse l'altro di repubblica, e talora questo facesse preponderante, sottoponendo ad una questione di forma, altra ben più rilevante e sostanziale. Spesso l'opera sua riuscì alla divisione, più che alla conciliazione degli animi; e pur cercando di sollevare e nobilitare il carattere italiano, rinvigori, co' suoi andamenti, le male tendenze settarie. Pieno il cuore d'affetto all'Italia e desideroso solo della sua rigenerazione, non sembra, checchè altri dica, nell' indole intrinseca del suo pensiero proseguire la tradizione del pensiero italiano, che ripugna al misticismo filosofico e politico. Dei molti discepoli che ebbe e sui quali generalmente esercitò autorità affascinante, pochi lo seguitarono sino alla fine, nè gli erano, già prima, restati fedeli neppure i Ruffini, e specialmente Giovanni, che col nome di Fantasio lo ritrasse al vivo nel suo Lorenzo Benoni (v. anche il Carteggio dei Ruffini, pubbl. da C. CAGNACCI, Porto Maurizio, Berio, 1894); e neanche i repubblicani odierni, rejetto il suo simbolo essenzialmente religioso, possono dirsi derivare da lui. Sia qualsivoglia il giudizio su lui e sull'opera sua, certo è che per ardor di fede, costanza di propositi, disinteresse di vita, merita il rispetto di tutti; ei fu della tempra, onde si fanno i fondatori di stati o di religioni, e di questi ebbe anche la tenace e fanatica convinzione nella bontà

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