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ANTONIO ROSMINI-SERBATI. Di nobile e facoltosa famiglia nacque in Rovereto ai 25 marzo 1797. Studiò a Padova, ove si strinse in amicizia col Tommaseo, ed ove per viva vocazione, e sebbene i parenti a dissuaderlo adoprassero anche il padre Cesari, vesti l'abito ecclesiastico nel 1817, essendo poi nel '21 consacrato sacerdote. Supremi amori suoi furono la religione e gli studj filosofici di questi diè saggio pubblicando nel '30 a Roma, dopo altri minori lavori, il Nuovo Saggio sull'origine delle Idee, ch'è forse l'opera sua capitale, com'è il fondamento di tutte le sue alte speculazioni: il suo zelo religioso mostrò col sostenere per due anni in patria (1834-36) l'ufficio di parroco. Ma già, e se ne hanno i primi segni nel '25, ei volgeva in mente il disegno di un nuovo istituto, composto di sacerdoti, e ch' ei denominò della Carità. Ne gettò le prime basi nel '28 a Domodossola, e undici anni dopo, ai 20 settembre 1839, esso venne approvato da Gregorio XVI. L'Istituto della Carità, al quale si aggiunse quello delle Suore della Provvidenza e il Collegio degli educatori elementari per l'istruzione popolare, si diffuse ampiamente, specie in Inghilterra. Ma ei dovette combattere e vincere molti ostacoli; e i Gesuiti, fra gli altri, fieramente avversarono le sue dottrine, che, dopo la sua morte, riuscirono, non senza scandalo, a far condannare. Ai loro assalti ei rispose virilmente: ma non è da approvarsi l'intemperanza ch' egli adoprò in alcune sue scritture contro il Foscolo, il Gioja, il Romagnosi morti, e contro il Mamiani quand'ebbe pubblicato il suo Rinnovamento della antica filosofia italiana. Gli rese la pariglia il Gioberti con tre volumi Degli errori filosofici di A. Rosmini. Ma quando nuovi fati preparavansi all' Italia, tutt'e tre codesti sommi intelletti si trovarono riconciliati e concordi nel giovar la patria: e il Rosmini fu dal Gioberti inviato a Roma, dov'era ministro il Mamiani, per trattarvi della lega de' principi italiani. Ei fu accolto affettuosamente da Pio IX, che gli annunzio la sua volontà di farlo cardinale: ma intanto, a insaputa di lui, che pur era stato chiamato a consultore della Congregazione delIndice, venivano proibiti due suoi libri: Le cinque piaghe di Santa Chiesa, che il pontefice stesso aveva lodato, e La Codituzione secondo la giustizia sociale. Segui il papa a Gaeta; ma i suoi avversarj riuscirono a farlo espellere dal regno. Cercò adienza dal papa, che lo accolse freddo e imbarazzato, e gli disse: Caro abate, non siamo più costituzionali », e lo consigliò di ritirarsi a Firenze: nè più si trattò del cappello. Tal compenso ebbe dalla Corte di Roma questo pio e dotto atleta della religione e della chiesa! Ritiratosi a Stresa, dove stabili la sede sua e dell'Istituto, attese unicamente a diriger questo e a compiere il suo edificio filosofico. Infermatosi per aggravamento di antichi incomodi epatici, fu visitato, tra gli altri, dal Manzoni, che l'aveva in gran reverenza come uomo e come sapiente, e al rammarico espressogli delle sue condizioni e alla dimanda: «Che faremo noi

V.

s'Ella morrà? », rispose, baciandogli la mano: « Adorare, tacere e godere ». Morì il primo luglio 1855.

Grandissimo è il numero delle sue opere letterarie, religiose e filosofiche. Le prime vennero raccolte in un volume (Letteratura e Arti belle, Intra, Bertolotti, 1870), e sono il Saggio sull'Idillio e sulla nuova letterat. italiana; il Ragionamento intorno alla bellezza; il Galateo dei letterati. Alla seconda categoria appartengono il Catechismo secondo l'ordine delle idee; le Regole della dottrina cristiana; le opere varie di Ascetica e di Apologetica ; i Discorsi parrocchiali; la Teodicea; la Storia dell'Amore cavata dalle Sacre Scritture ec. Alla filosofia e alle sue varie applica zioni spettano, oltre il citato Nuovo saggio sull' origine delle idee (5a ediz., Torino, 1852), l'Introduzione alla Filosofia; la Logica; la Psicologia; la Storia comparata intorno al principio della morale ec.; il Supremo principio della metodica; l'Antropologia in servizio della scienza morale ec.; la Filosofia del diritto; la Filosofia della politica; un ragionamento sul Comunismo e il Socialismo ec. Parecchie cose sue sono state pubblicate postume: fra queste due vol. di Epistolario (Torino, 1858). Intelletto di prim'ordine, come l'Italia da gran tempo altro non ne aveva prodotto, abbracció colla sua mente tutto lo scibile, e lo coordinò ad un principio, cavandone tutte le possibili deduzioni e applicazioni. Dell' intrinseco valore del suo sistema e dell'efficace adattabilità sua alle condizioni del pensiero moderno, noi non dobbiam gindicare: certo è che gli spetta un luogo cospicuo nella storia generale della Filosofia. Come scrittore, in tanta e così svariata copia di lavori, è sempre rigoroso e esatto, e nella profondità del concetto, chiaro e proprio.

[V. per la biografia, FR. PAOLI, Della vita di A. R. S., TOrino, Paravia, 1880; G. LOCKHARDT, Vita di A. R., tradotta da L. SERNAGIOTTO, Venezia, Compositori-tipogr., 1888; C. CANTU, Italiani illustri, Milano, Brigola, III, 311; N. TOMMASEO, A. R., nella Riv. Contemp. del 1855; T. MAMIANI, A. R., in Prose Lette rarie, Firenze, Barbèra, 1867, p. 169-88; L. FERRI, Della Filos, del metodo di A. R., nel Cimento del 1855, e Essai sur l'hist. de la Philos. en Italie au XIX siècle, Paris, Didier, 1869, vol. I, ec.]

La libertà e il socialismo. La naturale libertà può considerarsi siccome una natural potenza di fare ciò che si vuole senza coazione e necessità. La quale potenza si risolve in facoltà, funzione ed atti speciali che considerati in relazione alla legge etica che li tutela, prendono natura e nome di

diritti naturali, civili, politici...

Oggidì gli assennati pensano unanimi che il problema sociale « qual sia la miglior costituzione d'una società civile,> si debba risolvere « in un' armoniosa conciliazione fra le

società private e l'autorità del governo, di modo che sotto la più ferma autorità si conservi a ciascuno l'esercizio della maggior possibile libertà giuridica. » Tale è il vero e sano liberalismo, che gli utopisti si travagliano di sovvertire dalle fondamenta. Essi risolvono in quella vece il problema cosi: «la miglior costituzione della società si è quella, in cui gli individui sieno spogliati di tutte affatto le loro libertà, e il governo le riceva tutte in deposito, disponendole egli solo, coll'obbligo però di lui di disporne in modo da rendere felici tutti affatto gli uomini, benchè spogli e nudi di tutte le loro libertà, obbligo però che non deve e non può avere nessuna sanzione; perocchè questa ci ricondurrebbe alle anticaglie della violenza e della compressione. » Se la ragione, se il buon senso rifiuta una tale soluzione, siccome contraddittoria, gli utopisti rispondono, che questo accade perchè il volo di loro menti vince di lunga mano la comune ragione ed il comune buon senso. Ma veniamo, senz' altro indugio, alle speciali libertà.

L'uomo usa di suo libero arbitrio siccome individuo, e siccome membro della società: la facoltà morale di usarne come individuo costituisce quel gruppo di diritti che forma il subbietto del diritto individuale; la facoltà d'usarne come membro della società, costituisce quell' altro gruppo che somministra argomento alla scienza del diritto sociale.

Diritti individuali prima di tutto sono quelli della coscienza, poscia quelli di far uso delle facoltà naturali alla propria perfezione e felicità, in terzo luogo viene il diritto detto di proprietà, in quarto luogo quello di associarsi coi propri simili a fine onesto con vincoli onesti.

Nel sistema de'nostri riformatori, questi quattro gruppi di diritti, di naturali libertà, rimangono necessariamente aboliti, disconosciuti.

Alla libertà di coscienza annullata, viene sostituita una inaudita intolleranza. Perocchè neppure riconoscono nell'uomo una coscienza quelli che non vi riconoscono nè morale libertà, nè responsabilità di azioni, nè esistenza di morali doveri. Carlo Fourier muove continuamente da questo principio: « il dovere viene dagli uomini, l'attrazione delle passioni viene da Dio;» onde ne trae, che i doveri si debbono abolire, e le passioni, senza freno di dovere, coltivare severissima, rigorosissima è in cotesto suo sistema l'abolizione dei doveri, da lui dichiarati fonte unica di tutti i mali che circondano questa terra, rei di questa tristissima enormità, che essi raffrenano le passioni, solo legne di regnare senza contrasto di ostacolo. Ne vi crediate, che cotesti riformatori si contentino di permettere almeno, che chi non vuol rinunziare ai doveri morali e religiosi segua l'opinione sua, riconosca l'esistenza de' morali doveri, autorità della coscienza. Non punto così; e quello che merita più d'osservarsi si è, che non potrebbero farlo, salvo

il loro sistema; poichè la felicità di tutto il mondo consiste, a loro giudizio, nell' essere quello ordinato tutto in sulle loro massime..... Ma o perchè non possano disconoscere a tale l'umana natura da credere ch'ella voglia esistere senza il pensiero della divinità, o perchè talora anche in essi questa natura riprenda i suoi diritti dopo proibite tutte le religioni, si affaticano ad imporre agli uomini una profana dottrina, da ogni dettame morale alienissima, sotto il nome di religione. E questa seconda parte di legislazione che reca l'intolleranza al sommo costringendo gli uomini a ricevere da loro quell'inganno aperto, quella menzogna assurda per oggetto di religiosa credenza, dee riuscire vie più difficile della prima a farsi entrare o a stabilirsi nella persuasione del genere umano, se non per altro, per questo, che i riformatori, de' quali cresce il brulicame ogni di a voglia di ognuno che si fa tale, non trovano siccome accordarsi nello stabilire il novello culto da imporsi a tutti qual condizione sociale, benchè tutti i culti, tutte le religioni di loro invenzione convengano e finiscano nella idolatria della natura dell' uomo, delle passioni e di tutto ciò ch'ebbe e ha tuttavia il nome di vizio.

Il secondo gruppo de' diritti da noi annoverati, cioè la libertà di far uso delle proprie facoltà naturali giusta quello che l'individuo stima a sè più vantaggioso, rimane del pari assorbito dall'attività smisurata del nuovo governo, il quale s'incarica di fare ogni cosa da sè solo, non lasciare altro a fare all'individuo se non quello che egli stesso gli prescrive ed impone, esigendo da lui la più cieca e stupida ubbidienza. Nè può recare alcuna maraviglia che l'individuo non sia più nulla, quando il governo è tutto. Dee piuttosto cagionare non leggero stupore, che que' filosofi, i quali si credono atti a distruggere prima, e poscia rifabbricare l'edificio della umana società dalle fondamenta in sino al tetto, non considerino, che qualora l'individuo umano così ridotto a condizione di macchina, non desse più impulso a sè stesso, cesserebbe il libero sviluppo delle umane facoltà, mancherebbe ogni progresso, non vi potrebbero aver più ne grandi inventori, nè arditi imprenditori, nè infaticabili lavoratori, tutto se n'anderebbe d'un passo l'umano gregge, ove la mediocrità, la monotonia, la noia si associerebbe colla scarsità della produzione, coll' imperfezione de' lavori, colla povertà di tutti, eccettuati que' beati governatori depositarj di tutte le ricchezze. In tali sistemi l'individuo neppure è libero di vestire a sua volontà, le vestimenta sono prescritte siccome l'altre usanze: le leggi suntuarie delle antiche repubbliche, riguardate oggidì siccome illiberali, sarebbero un nulla verso alle minacciose ordinazioni de' governi filantropici ideati da' nostri utopisti: i quali fissano ancora l'orario che ciascuno dovrà osservare nelle sue giornaliere occupazioni: e per dir tutto in una parola,

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