Page images
PDF
EPUB

Torriti massi con gran tonfo, e schizzano
Quinci e quindi sospinte a la pressura
Acque sepolte, i lividi correndo

Seni che il prepotente crollo insolca;
Sorgon da' fondi a galla altri gran massi
Da lunghe età dimenticati; inchini
Altri da gioghi soprastanti incalzano
L'un l'altro, e via discorrono, addossandosi
D'altri volumi al rischio e a la postura.
Ma quel ch'alto percote e ne sgomenta
Fra quelle solitudini improvviso

Suon della ghiaccia che si frange, indizio
Porge almanco che tutta ivi non tace
Eternalmente la Natura, additta
A perpetuo silenzio di che nulla
Più torna formidabile a' mortali
Quaggiuso. E quanto incresca, e di nemica
Inerzia occupi i sensi e pesi al core,
Nessuno il seppe nè più addentro intese,
Dell' arrischiato che sè stesso ai campi
Non conceduti dell' Olimpo affida.
Anelante dal canape disciolto,

A la frequenza del gran circo, ai plausi
Del popolo accorrente, alto s'invola,
E vola e al ciel s'avventa il portentoso
Intesto orbe, cui tende entro e dilata
Liev' aura accolta, e i termini abbandona
Della terra. Il trambusto, il plauso, il grido,
Il mormorar confuso or più non giugne
Di questo mondo al volator navile
In più sublimi regioni assunto:
Ville e cittadi e selve e laghi e mari
Scompajon ratto, gli alti monti adeguansi,
Ogni vista si mesce e si ritonda,
Per lui che rapidissimo viaggia
Della folgore i regni e della luce.
Ma di quante lo assediano paure
(Più che non puote il battito di tutta
La persona, e l'affanno, e degli orecchi
Il sibilo, e degli occhi il veder manco),
La tremenda di tutte, e non mai prima
Sopravvenuta all'animo, è il silenzio
Che solenne lo assale; il tetro avviso
Recando all' imperterrito, che solo
Sta contro al fato, e che solo si adopra,
E che nè testimonio nè soccorso

D'altri in tanta si speri ardita impresa.

(Dall' Origine delle Fonti, lib. IV.)

GIOVAN BATTISTA NICCOLINI. Nacque ai Bagni di San Giuliano presso Pisa il 29 di ottobre 1782 d'Ippolito e di Settimia della famiglia del poeta Da Filicaia, ambedue nobili fiorentini, ma sprovvisti di mezzi di fortuna. Fece gli studj letterarj a Firenze presso gli Scolopj, indi si addottorò in giurisprudenza nell'Università di Pisa. Nel 1799 fu tra' più caldi repubblicani; ed ebbe a soffrir sospetti, noie e una breve prigionia a Firenze, quando avvenne la reazione capitanata dalle frotte aretine. Nel 1802 entrò, non bastandogli lo scarso patrimonio, ne' pubblici impieghi: prima, presso l'Archivio delle riformagioni (1804-1807), indi, fino alla morte, professore di storia e mitologia, segretario e bibliotecario nell' Accademia di belle arti, non chiedendo e non avendo mai aumento al modico stipendio di trecento scudi. Fu per qualche tempo bibliotecario della Palatina (1815). La sua vita è una serie di studj e di ufficj dedicati alle lettere e alle belle arti e al culto dell'amicizia e fin da giovane ei fu cordialmente amico di Ugo Foscolo, che lo introdusse nell' Ortis col nome di Lorenzo Alderani, e gli dedicò la Chioma di Berenice. Per un' eredità che ebbe da uno zio materno nel 1825 venne in possesso della fattoria di Popolesco, che egli da un vicino torrente chiamò poi Agna, presso Montemurlo, tra Prato e Pistoia. Amò molto dimorarvi, sovente con buoni e dotti amici, non movendosi, quasi mai, per altre ragioni di Firenze, ove frequentava le conversazioni amichevoli dell' attrice Maddalena Pelzet e delle sorelle Carlotta e Geltrude Certellini. I libri e le dottrine dei neo-guelfi e i principj promettent del pontificato di Pio IX non lo scossero neanche per un momento dalle sue opinioni contrarie al papato; anzi si confermò sempre più in quelle, rompendola anche coi suoi più cari, compreso Gino Capponi. Rifiutò la croce di San Giuseppe conferitagli nel 1848, nè mai sedė nel Senato toscano, di che era stato eletto membro. Visse d'allora in poi sempre più ritirato e solitario, mormorando: Non può essere, non può essere, e accennando col capo il suo rifiuto ostinato e gagliardo a credere ciò che la ragione e la storia gli persuadevano esser falso; e tale durò più anni, solo inducendosi nel 1858 ad assistere alla recita della sua Medea fatta nel teatro del Cocomero, e che si convertì in una dimostrazione politica. Vecchio e infermiccio ebbe in sorte di veder l'Italia riunita sotto Vittorio Emanuele, al quale presentò a Firenze nell' aprile del 1860 le Poesie nazionali e l'Arnaldo da Brescia con memorabili parole e ricordando quelle ch'egli aveva scritto nel Procida : « Qui necessario estimo un re possente; Sia di quel re scettro la spada, e l'elmo La sua corona: le divise voglie A concordia riduca, à Italia sani Le servili ferite e la ricrei»; al che il re rispose Lei è stato il profeta del risorgimento d'Italia.» Morì il 20 settembre del 1861, e fa sepolto, per deliberazione del Comune, in Santa Croce, ove nel 1883 gli fu posto un monumento.

Le Lezioni di Mitologia e di Storia pubblicate nel 1855 in

due vol., Firenze, Barbèra, e più compiutamente nell'ediz. milanese, sono parte di quelle che fece come professore fino dal 1807. Egli medesimo sentiva il bisogno che avrebbero avuto d'esser tutte rielaborate e meglio sarebbe stato lasciarle inedite, o, al più, raccogliere le versioni poetiche di autori classici, che vi sono frequenti. Di molto maggior pregio sono i Discorsi, le Necrologie, le Biografie, le Critiche, gli Elogi ec. Notiamo i due scritti sulla questione della lingua letti all' Accademia della Crusca, quando la Proposta del Monti ravvivò l'antica controversia, e inoltre i Discorsi Qual parte aver possa il popolo nella formazione della lingua (1818) e le Considerazioni sulle ragioni ond' entrano nuovi vocaboli in una lingua ec. (1836). Egli, usando cortesia di modi e vigor d'argomenti, prese a difendere le ragioni storiche del parlar toscano, ma senza gretti spiriti municipali. È qui da ricordare che fu uno dei Quattro Accademici che cooperarono nel 1837 a formare il testo della Divina Commedia, e che aiutò il Manzoni coi suoi consigli e colla perizia nell'uso toscano, per la revisione dei Promessi Sposi ec. Fra gli scritti letterarj citiamo anche: Su la imitazione nell'arte drammatica (1828); Su l'universalità e nazionalità della Divina Commedia (1830); Sul romanzo storico (1837); Sull'Agamennone d'Eschilo e sulla tragedia de' Greci e la nostra (1844), e fra quelli sull' Arte, il discorso Del Sublime e di Michelangelo (1825). Postumo è il Vespro Siciliano (Firenze, Arte della Stampa, 1882), lavoro col quale volle difendere Giovanni da Procida contro le gravi accuse fattegli dall' Amari: e postuma è pure la Storia della casa di Svevia in Italia (Milano, Guigoni 1873), frutto de' suoi studj sulla storia d'Italia nei primi secoli, ma dalle nuove ricerche grandemente scemata di valore. Meglio sarebbe stato lasciar inediti questi lavori, che nulla aggiungono, se pur non detraggono, alla sua fama. Molte Lettere dal 1824 al 1857 furono raccolte da A. VANNUCCI nei Ricordi della vita e delle opere di G.B.N., Firenze, Le Monnier, 1866, 2 vol.: vedansi anche Lettere ined. di G.B. N., nella Riv. Europea 1874,3; nella Scuola romana, II, 3(1884); A. REUMONT, Una lettera di G. B. N., nell' Archivio stor. ital., IV s., VII, p. 432 e segg., Cinque lettere a L. Vivarelli, Siena, Gati, 1878. Gioverebbe raccoglierne più larga copia, e s'avrebbe un epistolario di non poco valore e interesse.

Degli autori greci predilesse i tragici e, prima del Bellotti, cessando poi quando seppe della traduzione di questo, tradusse i Sette a Tebe, l'Agamennone, le Coefore e altre tragedie di Eschilo ed Euripide. Tradusse in terza rima dalle Eroidi di Ovidio l'Epistola di Saffo a Faone (A. ZARDO, G. B. N. traduttore, nella Ras segna Nazionale, 1887). — Poemetto epico-lirico è La Pietà, che ha per argomento il famoso contagio di Livorno, al racconto del quale connette quello d'una inondazione del medesimo anno 1804. Vi è manifesta l'imitazione della maniera del Monti. D'un poemetto in terzine che voleva scrivere sulle tombe di Santa Croce

pubblicò un frammento, come d'un altro epico incominciato su Napoleone. Sul medesimo argomento, che predilesse, della gloria e caduta di Napoleone scrisse una Epistola in terza rima, che immagina diretta da Napoleone esiliato a Sant' Elena alla moglie. Delle liriche molte ei ne compose dal 1848 in poi: alcune pubblicò nella raccolta Poesie nazionali, Firenze, Galileiana, 1859. Postume si hanno le seguenti raccolte: Pensieri poetici, Firenze, Barbèra e Bianchi, 1860; Canzoniere nazionale e Poesie varie, Milano, Guigoni, 1863; Canzoniere civile, Firenze, Barbèra, 1884; Versi inediti pubblicati per Nozze da A. ALFANI, Firenze, 1888. Il metro preferito è il sonetto; il soggetto civile o politico; non mancano anche poesie scherzose ed epigrammatiche. Più opportuno sarebbe stato farne una discreta scelta; ma i suoi manoscritti ebbero la disgrazia di cadere in dominio di un frenetico, che minacciò, fra del Niccolini e proprio ma su documenti e carte di lui, nientemeno che trentacinque volumi oltre i dieci già editi, e affogò in prefazioni prolisse e commenti senza fine quanto del Niccolini mise a luce.

Nella tragedia, genere poetico rimesso in onore dall'Alfieri e dal Monti, e all'indole sua bene accomodato, il Niccolini arrivò a grande eccellenza. Nel primo periodo della sua produzione tragica predilesse soggetti greci, tentando di rappresentare la vita antica, secondo le norme de' tragici classici. Appartengono ad esso Polissena, Ino e Temisto, Edipo, Medea. Il Nabucco (1816) che fu edito in Londra nel 1819, adoprandovisi il Capponi ed il Foscolo, si può ben chiamare un'allegoria politica: Nabucco è Napoleone; Mitrane Pio VII; Arsace Carnot ec.; in esso prende di mira il dispotismo teocratico e regio. L' Antonio Foscarini è vôlto, fondandosi più sulla pietosa leggenda che sulla storia, a combattere l'arbitrio de'governi assoluti; fu cominciato nel 1823 e rappresentato nel 1827, ed è se non la migliore, certo la più nota e popolare delle tragedie del Niccolini. Sollevò grandi controversie al suo apparire così per rispetto alla verità storica, come per rispetto al merito tragico, ma i difetti ne sono compensati da molte bellezze di sensi e di versificazione. Nel secondo periodo si rivela l'influsso dello studio dello Shake ́ speare, del Byron e dello Schiller, ch' ei lesse nelle traduzioni del Maffei e d'altri (v. A. ZARDO, G. B. N. e F. Schiller, Padova, 1883). S'avvicinò anche per il soggetto e per l'esattezza, che volle e spesso ottenne, nella rappresentazione dei personaggi, alla scuola romantica, ch'ei seguì un po' liberamente, pur nel disegno del dramma. La Matilde (1815) deriva dal Douglas dell' Home, la Beatrice Cenci (1838-1844) dallo Shelley, e vi fu chi volle trovare tracce della Blanche et Montecassin dell' Arnault nel Foscarini. Il Giocanni da Procida, scritto nel 1817 e rappresentato nel 1830, fu bene accolto anche come protesta contro la tragedia antitaliana di C. DELAVIGNE Les vepres siciliennes (v. G. TAORMINA, IL N. e il Delavigne, in Rassegna Nazionale, agosto, 1890). Ivi si trovano i noti versi il Franco Ripassi l'Alpi e tornerà fratello: ed è pur noto

che l'ambasciatore francese presente alla recita disse al collega suo d'Austria: l'indirizzo è per me, ma la lettera è per voi. Con questa tragedia e col Lodovico Sforza comparso nel 1834 mirò egli ad affermare il concetto dell'unità e indipendenza d'Italia. Dopo la Rosmunda d'Inghilterra, tragedia tutta d'amore senza mescolanza di politica, rappresentata il 30 agosto 1838, viene l'Arnaldo da Brescia (Marsiglia, 1843), che meglio può dirsi un poema drammatico. Vi si preparò con grande diligenza di ricerche; e certo il frate bresciano, tribuno del popolo, ribelle all'imperatore e al pontefice, riformatore politico e religioso, ben si prestava a impersonare il concetto della sovranità popolare e della distruzione del potere temporale de' papi. L'Arnaldo è veramente il capolavoro del nostro tragico; e se nella forma esteriore non è una vera tragedia, nè può reggere alla rappresentazione, che non ne fu mai tentata, è un monumento di alta e nobile poesia. Non gli mancarono, come ben si comprende, le censure non solo della Curia, ma anche de' letterati (VANNUCCI, Ricordi cit., I, 68); a capo dei neoguelfi, C. Balbo nelle Speranze d'Italia. Ultima sua tragedia è il Filippo Strozzi (Firenze, Le Monnier, 1847), in che volle rappresentare la caduta della libertà fiorentina e il sorgere del principato mediceo; anch'essa come l'Arnardo, ma in misura men larga, è poema drammatico non atto alla rappresentazione, ma che pure ha pezzi di bellissima poesia, specialmente lirica. E lirico più che drammatico è essenzialmente tutto il teatro tragico del Niccolini; il quale si dilungò dalla severità alfieriana, ma per cadere, così nel movimento degli affetti come nel suono del verso, in una specie di dolce ebbrezza melodrammatica. È più che altro un abbozzo di tragedia Mario e i Cimbri, del quale ei permise la pubblicazione nel 1858. Scrittore, in che son vivi i sensi politici di Dante e del Machiavelli, e continuatore della tradizione ghibellina, di aspirazioni francamente unitarie e antipapali, il Niccolini considerò e professò la letteratura come un sacerdozio civile, cercando nel conseguimento di quei fini la gloria che pur sognò e amò. Liberissimo nelle teoriche letterarie, non si legò a nessuna scuola d'arte, come in politica a nessuna setta; per educazione e per indole portato all'ammirazione de' classici, non disdegnò tuttavia le forme de' romantici, specie in quanto servivano ai suoi fini pa triottici: ultimo discepolo, scrisse C. TENCA, di quella scuola che sali a tanto splendore con Monti e con Foscolo, e che si spense col rinnovarsi delle idee letterarie în Italia, egli è quasi l'anello che ricongiunge la letteratura del secolo XVIII a quella del secolo XIX (Prose e Poesie, Milano, Hoepli, 1888, 1, 75). Come prosatore fu, sebben talora alquanto retore, e nel periodare troppo amico di tradizionali inversioni, caldo, colorito, efficace. Ma la sua maggior gloria è quella di poeta, e per essa va tra' primi nella gloriosa falange de' nostri scrittori patriottici.

Delle sue Opere l'edizione ordinata e rivista dall'autore, poi

« PreviousContinue »