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Tutti i mezzi si adoperavano per ritrovare il delitto; nessuno se ne ammetteva per difendere l'innocenza. Il nome del re dispensò a tutte le formole del processo, quasi che si potesse dispensare alla formola senza dispensare alla giustizia. Ventiquattro ore di tempo si accordavano alla difesa: i testimonj non si ammettevano, si allontanavano, si minacciavano, si sbigottivano, talora anche si arrestavano: il tempo intanto scorreva e l'infelice rimaneva senza difesa. Non confronto tra i testimonj, non ripulse di sospetti, non ricognizione di scritture si ammettevano; non debolezza di sesso, non imbecillità di anni potevan salvare dalla morte. Si son veduti condannati a morte giovanetti di sedici anni; giudicati, esiliati fanciulli di dodici. Non solo tutti i mezzi della difesa erano tolti, ma erano spenti tutti i sensi di umanità.

Se la Giunta per invincibile evidenza d'innocenza è stata talora quasi costretta ad assolvere suo malgrado un infelice, si è veduto da Palermo rimproverarsi un tal atto di giustizia, e condannarsi per arbitrio chi era stato o assoluto o condannato a pena molto minore. Dal processo di Muscari nulla si rilevava che potesse farlo condannare; ma troppo zelo avea mostrato Muscari per la repubblica, e si voleva morto. La Giunta, dicesi, ebbe ordine di sospender la sentenza assolutoria, e di non decidere la causa finchè non si fosse ritrovata una causa di morte. A capo di due mesi è facile indovinare che questa causa si trovò. Pirelli, uno dei migliori uomini che avesse la patria, uno dei migliori magistrati che avesse lo Stato, anche in tempo del re, fu dalla Giunta assoluto: i trenta di Atene quasi arrossirono di condannare Focione. Pirelli era però segnato tra le vittime, e da Palermo fu condannato ad un esilio perpetuo. Michelangelo Novi era stato condannato all'esilio; la sentenza era stata già eseguita, si era già imbarcato, il legno era per far vela: giunge un ordine da Palermo, e fu condannato al carcere perpetuo nella Favignana. Gregorio Mangini era stato già giudicato; era stato già condannato a quindici anni di esilio; di già prendeva commiato dalla moglie e dai figli; un ordine di Speciale lo chiama, e lo conduce.... dove?... alla morte. Altre volte si era detto che le leggi condannavano, ed i re facevano le grazie: in Napoli si assolveva in nome della legge e si condannava in nome del re.

Intanto Speciale, a cui venivano particolarmente commesse le persone che si volevan perdute, nulla risparmiava nè di minacce nè di suggestioni nè d'inganni per servire alla vendetta della Corte. Niccola Fiani era suo antico amico; Niccola Fiani era destinato alla morte, ma non era nè convinto nè confesso. Speciale si ricorda della sua antica amicizia dal fondo di una fossa, ove il povero Fiani languiva tra ferri, lo manda a chiamare; lo fa condurre sciolto, non già nel luogo delle sedute della Giunta, ma nelle sue stanze;

nel vederlo gli scorrono le lagrime; lo abbraccia: Povero amico a quale stato ti veggo io ridotto! Io sono stanco di pin fare la figura di boia. Voglio salvarti. Tu non parli ora al tuo giudice; sei coll' amico tuo. Ma per salvarti convien che tu mi dica ciò che hai fatto. Queste sono le accase contro di te. In Giunta fosti saggio a negare, ma ciò che dirai a me, non lo saprà la Giunta.... Fiani presta fede alle parole dell'amicizia; Fiani confessa.... bisogna scriverlo: servirà per memoria.... Fiani scrive. È inviato al suo carcere, e dopo due giorni va alla morte.

Speciale interrogò Conforti. Dopo avergli domandato il suo nome e la carica che nella repubblica avea ottenuto, lo fa sedere. Gli fa sperare la clemenza del re; gli dice che egli non avea altro delitto che la carica, ma che una carica eminente era segno di patriottismo, e perciò delitto in coloro che erano stati senza merito e senza nome elevati per solo favore di fazione rivoluzionaria. Conforti era tale che ogni governo sarebbe stato onorato da lui. Indi gli parla delle pretensioni che la Corte avea sullo Stato romano. Tu conosci, gli dice, profondamente tali interessi. ha molte memorie mie, risponde Conforti. — Sì, ma la rivoluzione ha fatto perdere tutto. Non saresti in grado di occupartene di nuovo? - E così dicendo gli fa quasi sperare in premio la vita. Conforti vi si occupa; Speciale riceve il lavoro del rispettabile vecchio; e quando ne ebbe ottenuto l'intento, lo mandò a morire.

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La Corte

Qual mostro era mai questo Speciale! Non mai la sua anima atroce ha conosciuto altro piacere che quello d'insultar gl' infelici. Si dilettava passar quasi ogni giorno per loro che non poteva uccidere ancora. Se avea il rapporto le prigioni a tormentare, opprimere colla sua presenza cobile in carceri orribili, dove gli arrestati erano quasichè qualche infelice morto di disagio o d' infezione, inevitaincomodo di meno. Un soldato insorgente uccise un povero accatastati, questo rapporto era per lui l'annunzio di un vecchio, che per poco si era avvicinato ad una finestra della sna carcere a respirare un'aria meno infetta: gli altri della Giunta volean chieder conto di questo fatto. Che fate voi? disse Speciale, costui non ha fatto altro che toglierci l'incomodo di fare una sentenza. La moglie di Bafli gli raccomanda il suo marito: vostro marito non morrà, gli diceva Speciale: state di buon animo: egli non avrà che l'esilio. -Ma quando?- Al più presto. Intanto scorsero molti giorni: non si avea nuova della causa di Bali: la moglie ritorna da cupazioni potuto disbrigar la causa del marito, e la congeda date. Ma perchè insultare questa povera infelice? gli disse confermandole le stesse speranze che altra volta le avea allora uno che era presente al discorso.... Baffi era stato già condannato a morte, ma la sentenza s'ignorava dalla mo

glie. Chi può descrivere la disperazione, i lamenti, le grida, i rimproveri di quella moglie infelice? Speciale con un freddo sorriso le dice: Che affettuosa moglie! Ignora finanche il destino di suo marito. Questo appunto io voleva vedere ; ho capito: sei bella, sei giovine, vai cercando un altro marito. Addio.

Sotto la direzione di un tale uomo, ciascuno può comprendere quale sia stata la maniera con cui sieno stati tenuti i carcerati. Quante volte quegli infelici hanno desiderata ed invocata la morte!... Ma la mia mente è stanca di più occuparsi de' mali dell'umanità....— (Dal Saggio sulla rivoluzione di Napoli, § XLIX.)

GIAMBATTISTA BROCCHI. Nacque in Bassano ai 18 febbrajo 1772; mostrò fin da fanciullo inclinazione agli studj letterarj e a quelli della natura: giovane ancora scrisse su Dante (Lettere a milady W.-Y., Venezia, 1797); nel 1812 fu professore di botanica nel Liceo di Brescia; nel 1808 ispettore delle miniere. Versato in ogni ramo della scienza, riuscì sommo geologo e paleontologo. Viaggiò tutta Italia per avvantaggiare i suoi studj, e nel 1814 pubblicò l'opera sua più celebre, la Conchigliologia fossile subapennina, in che descrisse e paragonò le conchiglie di un periodo della storia terrestre coll'esattezza colla quale Cuvier aveva descritto le ossa degli animali (G. MENEGHINI, Dei meriti dei veneti nella Geologia, Pisa, Nistri, 1861); a Roma, ove soggiornò più volte, volse la mente cosi alle arti, come alle investigazioni geologiche e climatologiche, e nel 1820 vi pubblicò l'opera Sullo stato fisico del suolo di Roma. Ma lo attraeva da lungo tempo l'Egitto, e vi si recò nel 1823, percorrendolo minutamente, com' anche la Siria e la Nubia, e facendo preziose raccolte ed osservazioni: ma la morte lo colse in Cartum ai 23 settembre 1826. Di questo viaggio, che avrebbe reso tauti servigj alla scienza, resta solo il Giornale, che postumo venne pubblicato in Bassano, dal Roberti, nel 1841.

[Per la biografia, vedi T. CATULLO, nella Biografia del TIPALDO, I, 311; G. BARBIERI, Elogio, Milano, Vallardi, 1837; DEF. SACCHI, Uomini utili, Milano, Silvestri, I, 278; G. B. BASSEGGIO, nel vol. Bassano e i Bassanesi illustri, e A.STOPPANI, Elogio, nel vol. Primo centenario di G. B. B., Bassano, Pozzato, 1873, p. 15, e in esso a p. 49 la Bibliografia degli scritti del Brocchi.]

Della malaria di Roma e del modo tenuto dagli antichi per preservarsene. Sembra che non si possa porre in dubbio che i germi morbifici della cattiva aria si introducano nella macchina nostra pegli organi cutanei assorbenti, più che per quelli della respirazione. A simile credenza ci fa scorta il

provare che ben più energica è l'influenza di quest' aria se l'uomo sia sopito nel sonno, di quello che se rimanga in istato di veglia, benchè gli organi respiratorj esercitino nell'un caso e nell'altro il medesimo e consueto uffizio. Ma così non è del sistema inalante; imperocchè l'assorbimento che si fa pel ministero di esso è molto più attivo durante il sonno, come dai fisiologi è detto. Ora, se le febbri terzane ghermiscono più presto l'uomo e più tenacemente quando in tale stato rimanga esposto all'azione di un'aria infetta, si può conchiudere che la via principale per cui s'insinuano i miasmi quella sia de' pori cutanei, che non resteranno certo inoperosi nella veglia, ma sarà allora più lento l'uffizio loro. Ciascheduno potrà arguire da ciò, di quanto giovamento esser debba presidiare con buone vestimenta la superficie del corpo e per intercettare il contatto con l'aria ambiente e per serbare in vigore la traspirazione, onde sieno più presto espulsi que' miasmi che fossero assorbiti. Idonea all'uopo più che qualunque altra materia era la lana, che solevano indossare gli antichi.

Sembra, o cosi almeno vo divisando, che l'azione che la mal'aria esercita sull'animale economia principalmente consista nello scemare l'irritabilità delle fibre muscolari, o piuttosto nel deprimere la forza vitale, che resulta dalla irritabilità sopraddetta e dalla sensibilità de' nervi. Il primo sintomo, e si può dire istantaneo, che si manifesta in chiunque riceva l'impressione di un'aria di questa tempera, è il pallore; atteso che il sangue per la diminuzione di essa forza non può essere sospinto in quella copia di pria nelle ramificazioni de' sottili vasellini arteriosi, che recansi alla cute. Succede poi la lassezza delle membra e la deficienza delle forze; e giacchè la macchina tutta è colpita da languore, dobbiamo credere che, per mancanza del debito grado di tono, sia sturbata la funzione degli stessi vasi esalanti della cute, di questo grande emuntorio del nostro corpo. Quindi è che la materia della traspirazione arrestata ne' suoi canali si altera, e venendo di nuovo assorbita e portata in circolo cosi guasta, diventa allora il germe di ostinate e spesse volte pericolose malattie. Ma un doppio danno si aggiunge ed è, che mentre così inerti rimangono i pori esalanti, maggiore all'incontro è l'azione degli inalanti, poichè lo stato di debolezza in che l'uomo si trova, aumenta l'attività dell'assorbimento cutaneo.

Chi non si avvede adunque che, anche per questo rispetto, saranno giovevoli le vesti di lana, quando sieno immediatamente poste a contatto del corpo? Vellicando esse la cute, contribuiranno come stimolo esterno a risvegliare la sopita forza negli organi della traspirazione, e mediante il calore che mantengono intorno alle membra, si agevolerà inoltre l'espulsione della materia che debbe essere eliminata.

Merita particolare considerazione in questo argomento

una speciosa circostanza che ha sempre destato la maraviglia dei fisici: vale a dire, che la cattiva aria tanto funesta agli uomini, è innocua agli animali così domestici come selvatici. Chiunque attraversa le campagne infestate da questa lue, e dove pericolosa cosa sarebbe trattenersi poche ore della notte, rimane grandemente sorpreso a vedere le gregge e le mandre impunemente vagare per quei pestiferi luoghi, ed ivi starsene a cielo aperto nella più perversa stagione. Ma l'indumento che hanno sortito dalla natura, il pelo e la lana, che uniformemente vestono la superficie del loro corpo, è per queste creature un preservativo contro le malattie, che assalgono nelle medesime circostanze gli individui della nostra specie, differentemente in ciò costituiti. Ad impedire l'introduzione degli effluvj insalubri assai giova inoltre quell' umore untuoso, che trasuda dal pelo medesimo, e che spalmando la cute si distende sugli orifizj de' vasi inalanti velati già dall' epidermide.

Più provida e più pietosa coi bruti direbbesi essere stata la natura che non verso l'uomo, esposto ignudo sulla terra alle ingiurie degli elementi; ma essa gli porge facili i mezzi onde possa supplire a quanto gli fu negato, e provvedere cosi alle proprie necessità. Il selvaggio, senza altra industria, s'indossa le spoglie degli animali che uccide; l'uomo incivilito, da quelli che nutre pel suo sostenimento trae la materia con cui protegge il corpo dalle intemperie. Il divisamento di ricavarla dai vegetabili fu suggerito dalla ricercatezza e dal lusso; e se pure in qualche paese per peculiari circostanze viene insinuato dal bisogno, dovrà sempre questo espediente essere posposto all'altro. Non sarà mai chi voglia negare, che ben più confacente sia per essere quell' indumento, che naturalmente mancando a noi si accatta dagli altri animali, coi quali abbiamo rispetto alla fisica costituzione tanti punti di convenienza.

All' uso delle vestimenta di lana attribuisco adunque in gran parte l'invidiabile privilegio che avevano gli antichi popoli del Lazio, di mantenersi in quello stato di sanità, senza il quale non avrebbero così a dismisura popolato queste contrade. Io credo che non faccia mestieri di autorità per mostrare quanto esse ridondassero di abitanti, essendo cosa notoria. Basta dire che per testimonianza di Plinio cinquantatre popoli erano anticamente nel Lazio, in cui, come ognun sa, stava incluso l' Agro Romano. Benchè debbasi supporre che quegli stati non fossero in sostanza che cinquantatre territorj, governati ciascuno da una picciola capitale, il numero non per tanto ne è ragguardevole. Soggiogati dalle armi romane, perdettero la politica loro condizione, e la più parte eziandio il particolare loro nome. Molti paesi dell'agro furono distrutti, quali sarebbero Collazia, Tellena, Ficana, Politorio, Afrodisio, Satrico, e talvolta di due ne fu fatto uno, come avvenne di Laurento e di Lavinio.

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