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la tomba di Virgilio, tutto ritorna innanzi, tutto esce vivo dalla sua immaginazione.

Soprattutto quel Raffaele non lo lascia più; è il più caro sogno tra' suoi sogni. «Sono stato lungamente a riguardare questo spazio di mare, quest' isoletta vicina e quelle lontane, quei battelli dove vedevo muovere uomini, quel camposanto dove dormono per istanchezza di dolori alcuni disgraziati compagni, e le onde dell' infecondo mare, e il cielodipinto dalla benedetta luce del sole, e sentiva venirmi sul volto, entrarmi ne' polmoni un filo d'aura vitale, che mi ha ristorate le forze, mi ha messo nell'animo quella dolce malinconia, che spesso ho sentito al suono di un istrumento musicale. Mentre così stavo, io sognava ad occhi aperti, e mi veniva a mente il mio caro figliuolo, che ora va scorrendo i mari, e che non so ora dove sia; e mi ricordava quando lo vidi e lo benedissi l'ultima volta il 18 dicembre 1851, prima che egli partisse per Inghilterra. Chi sa che fa ora, il povero figliuol mio, che patisce e quanto patisce! chi sa se potrò più rivederlo! Egli ha già diciotto anni; oh quanto vorrei vederlo! Mentre così pensavo, e stavo per più profondarmi in questo doloroso pensiero, mi sono sentito una mano su la spalla, e Gennarino mi ha detto: che guardi ? Il mare ed il cielo, ho risposto ".

Questo non era doloroso pensiero, come dice lui, ma tenera amalinconia, madre de' sogni. I dolorosi pensieri ci sono pur troppo. Si sente immalvagire tra malvagi, perde l'imagine della virtù e della bellezza. Poi compatisce a quei malvagi, e se la piglia con quelli che non li educarono, e fa sermoni. Poi viene la noia, la stizza. Lo studio mi disgusta, il far niente mi pesa, il conversare coi compagni mi dispiace, e non vorrei udirli pure, non vorrei vederli, abbor

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risco tutti e me stesso. Prima io era un uomo di buona pasta, ora sono di pasta di cantaridi; per nulla mi adiro, vo sulle furie ». Gli si guasta il carattere, gli s'inacerba il cuore; gli si oscura l'intelletto. «Io non sono più uomo, ma la centesima parte di un uomo; il corpo è grave e stanco; nel capo non ho più lume, ma una tenebra oscurissima; nel cuore molti squarci profondi dolorosi mi fanno male assai assai ». E si ricorda il Foscolo, e conchiude :

Non son chi fui; di me perì gran parte;
Questo che avanza è sol languore e pianto,

Finisce con due versi del Foscolo! Ricominciano le nenie e finisce con una terzina di Dante! E conchiude: oh, vorrei non esser nato uomo !

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C'era in lui una vena letteraria che lo assiste consolatrice nelle maggiori strette. Eccolo fantasticare sugli uomini nel più vivo del suo disdegno. Siamo tutti una misura sozza di moltissima sciocchezza, di alquanta malizia, e di poche goccioline di senno. Che cosa è il vero? Il vero è quel punto, quel corpo che non si sa se sia scuro o luminoso, mobile o immobile, se esista o non esista, intorno al quale dicono gli astronomi che gira il sole del nostro sistema planetario e gli altri soli. Io l'ho cercato e non l'ho trovato: io l'ho amato e sono rimasto deluso. Foss'egli il dolore? foss'egli la morte? oh dovrò saperlo una volta ! — Che cosa ho scrit to? Io nol so, nè voglio rileggerlo ». C'è del Leopardi. Sond fantasie che egli non prende sul serio, come Leopardi le sue Sono fantasie da cui germogliano versi. Sicuro. Sente morire la sua mente, e fantastica e le fa il canto funebre, ciò che prova che la mente era più viva che mai, mentr'egli grida è morta. Sembra che quella fantasia sul Vero lo abbia fis

sato, e che gli sia parsa bella e nuova, e la continua in versi. Ricorda quando l'anima e la mente giunsero nel sole, e bevvero il vero e il bello a due vive fontane,

Donde talor piovono spruzzi in terra.

Ora il sole è spento, e nel buio si vede solo una spada rovente:

La spada del dolore

È il solo Ver, che esiste in mezzo al niente.

La scienza è breve fosforescenza; la parola è un'apparenza a cui gli sciocchi dettero polpa ed ossa; la ragione con un bocciuol di canna fa bolle di sapone, che si sciolgono in gocciole di pianto.

Quanto riso mi move

Questo genere umano!

E invoca la mente perduta, perchè lo salvi da questa voce crudele :

O mia mente perduta, dove sei?
Salvami da costei.

Così spoetava il nostro improvvisato poeta, tra Leopardi e Petrarca, e molceva l'affanno. Quando leggo Silvio Pellico, alora mi casca il libro, per quella monotonia di carcere e di pazienza. Ma qui leggi e leggi, divori lo spazio. Bene intoppi qua e là. Tutto non è uguale; ora senti la fretta, ora a negligenza, ora non so che soverchio e dottrinale; qui ti pare che qualcosa manchi; qui senti che la corda non suona bene; qui il letterato mi guasta l'uomo. E che importa? Leggi leggi, divori lo spazio. Ci è una malia per entro a queste

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pagine, che ti rende gli oggetti vivi, mobili, rapidi, zano e ti circondano, e non ti lasciano requie. E cl libro, e quelli stanno lì, e non li puoi mandar via, e sano, prendono posto nella tua immaginazione. An fatterelli, motti, arguzie popolari, il plebeo nella Reggi tusiasmo nella plebe, la confusione delle lingue, le qu tottate, dolori e gioie, ingenuità e malizie, ritratti, fa sermoni, illusioni, disperazioni, tutto questo non è s oggi, anzi proprio ora: così fresco vien fuori.

Ma cosa ci s'impara? dice uno. Non ci è sugo, dice un Fede, sentimento, sta bene; ma la vista è corta. Fantas nissimo; ma l'intelligenza, dov'è? dov'è la trivella? In v prese obbiettivamente, queste Memorie non hanno g importanza per lo storico e per l'uomo di stato.

Così dicono i critici oggettivi; e mi rassomigliano qu no che mi diceva candidamente: Che sugo c'è nella po cosa ci s'impara?

I.

La fanciullezza

Ho a parlare di tante malinconie; lasciatemi prima rinfrescare lo spirito con le memorie dei miei primi anni, quando entrai nel mondo, che mi parve tanto bello ed allegro.

lo era un diavoletto di bambino, che pigliave e rompevo tutto in casa; e mio padre, che era ammalato e ne pativa, mi diceva sempre:- La levatrice fu profetessa quando, dopo il battesimo, ti presentò a tua madre ed a me e disse che saresti riuscito un gran diavolo, perchè avevi rotta la fonte. Non ho rotto nessuna fonte, dicevo io. Ed egli: - Tu nascesti in Napoli nell'anno 1813, il 17 di aprile, giorno di Sabato Santo, Via Magnocavallo, case di D. Innocenzio Rossi, poi del sig. Luigi Manzelli, e fosti il primo battezzato nella fonte della nuova acqua benedetta, e però rompesti la fonte. Così fui fatto cristiano e cattolico senza ch'io ne sapessi niente. Mio padre si chiamava Raffaele Settembrini, ed era avvocato, come mio nonno Vincenzo, ed altri vecchi di casa nostra. Mio nonno era di Bollita, paesello di Basilicata sul mare Ionio (oggi detto Nova Siri), e giovanetto venne in Napoli a studiare, e qui si fermò, e ci prese tre mogli, che gli diedero 24 figliuoli. Mia madre Francesca Vitale era anche ella figliuola d'un avvocato.

Verso il 1820 mio padre, per una crudele malattia, che lo straziò per lunghi anni e finalmente lo spense, uscì di Napoli con la sua famigliuola e andò a stabilirsi a Caserta,

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