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Annibal Caro, ed egli venne da me; a stenti compitando la parola Conciossiacosacchè, mi dimandò: che significa questa santa diavola di parola? Io non sapendo che rispondergli, per farglielo capire, me ne uscii pel rotto della cuffia è una cosa simile al tuo santo diavolo ".

Queste memorie non parlano quasi di altro che di carceri e di carcerati. Sono i ricordi del prigioniero. C'è la Vicaria e Santa Maria Apparente e San Francesco e Santo Stefano. E sarebbe insopportabile, se il prigioniero non avesse questa divina libertà dello spirito, che ci sforza e ci tira e ci distrae appresso a lui, e talora ci fa dimenticare le pene, e talora anche ci rallegra. Questo Bellantonio è un capolavoro di brio comico; e si fa voler bene; e Settembrini conchiude: Povero Francesco! quanta pena mi fa a vederlo nell' ergastolo ?

Le narrazioni e i dialoghi sono cose vive come i ritratti. Ridotto con soli politici, racconta la loro vita quotidiana con lepore e con brio. Leggete quella parte che comincia : l'ergastolo è la casa dei sogni. Con acutezza è notata l'influenza di quella vita ergastolana su' costumi e su' caratteri. Nasce una specie di uomo nuovo, l'ergastolano. E la novità gli è come un solletico all'immaginazione, lo rallegra nella pena. Se si ricomincia parlare, passeggiare (passeggiare mo', si passeggia come un leone nella gabbia, si danno sei, sette passi e si dà la volta) ". Com'è gustosa questa parentesi ! Lo vedi con quel suo risolino bonario e canzonatorio nella pena! La poesia operava in lui quello che il carattere nel signor Michele Aletta, un vecchietto di sessantadue anni, arzillo e allegro. Udite questo dialoghetto: «Io voglio uscire, debbo uscire ed uscirò. Non usciremo, don Michele. Ed io vi dico che usciremo subito.- Usciremo mor

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XVII

Dio: mi han veduto nel mio paese due volte n mano, nel 1821 e nel 1848, mi rivedranno , e diranno come dissero : costui non muore remo dopo trent'anni. —No, dimani, oggi, ire un vapore a prenderci. Il mondo cangia - Noi siamo morti. Siamo vivi, e io vivrò ini, lo sento, così sarà. Voi non mi fate e! Non ci facciamo il malaugurio ! — E Sete: Egli non pensa, ma spera. Che disgrazia quella vita tutt'artistica evocata e abbellita ›ne, s'insinua un filo di mestizia. Lo svago frequenti ritorni sopra di sè. E inchina ■. Che disgrazia è pensare!

aveva questa disgrazia. Non era solo un
lui l'uomo. C'era fede e sentimento.
, e più nella patria e nella libertà. Era la
la ne' più era un credere ozioso e pigro.
vita. Giovane prese moglie, aveva in vista
do di affetti domestici, aveva per concorso
to lo consigliava a starsi quieto. Ma che?
o il catechismo di quel capo ameno di
Eo catechismo di Mazzini, e cercava prose-
veva fede di santo e di martire, disposto
mente che a vincere. Gli mancavano tutte
curano il buon successo. Cospiratore ina-
ernimento degli uomini e per soverchia
resto nelle unghie nella Polizia, tirandosi
ici. La descrizione di quella prima pri-
prio e di lazzi; tutti giovani, spensierati,
a già il suo talento artistico. Venuto il
i fece innanzi a domandare il premio;

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rimase un a parte, con la testa a posto; quando in quel ribollimento di cupidigie e di passioni la girava a' più savi. Concesso appena lo statuto, già si voleva svolgerlo; e tra svolgere e non svolgere si venne alle fucilate. Per quale idea s'è venuto a questo? grida Settembrini; pel giuramento, se si doveva svolgere o non svolgere lo statuto. « O avvocati, anzi paglietti, voi meritate la servitù ". Se Luigi fosse stato uomo di azione, scaldato da una buona ambizione, avrebbe preso i primi posti nel governo, lui autore della Protesta e popolarissimo. Ma era più vago di vedere che di fare, e contento di veder le cose riuscite a bene, dice con semplicità: « tornai in casa mia; tornai alla mia professione dell'insegnamento, tornai alla mia vita consueta lontana dalle adunanze e da' rumori, e raramente uscivo di sera ». Ecco perchè serbava la testa fredda, vedeva giusto e lungi, vedeva con chiarezza grande, tra quello svolgere e non svolgere, la quistione italiana. Fu un Capo di Divisione per due mesi, e dice: «in quei giorni ebbi un continuo capogiro: da professore diventato segretario, non mi raccapezzavo più ". Vedeva la via torta, l'anarchia brutta, tutti quei ministri avvocati, che chiacchierando sempre di legalità e di libertà e avendo fede solo nelle chiacchiere, facevano andare ogni cosa a rotoli, vedeva, e non era udito, e tornava a casa, senza nessuna influenza sull'andamento pubblico. Nella fatale notte del 14 maggio, quando si fiutava già barricate e fucilate, dice: « ero stanco di lavoro, di noia, di disgusto, mi sentivo un brivido di febbre, andai a casa, mi misi a letto e mi addormentai ». Si disputava sulla formula del giuramento, e quel capo scarico dicea tra sè: si verrà al partito più semplice, non giurare, e finiranno tutte queste voci. E su questa sicurezza eroica andava a casa

XIX

Non pensava che allora era men facile to che trovare la formula.

fede e con quel buon senso, non fu che e spettatore! come narra, come dipinge con quale magia ci rimena avanti vivi giuste, come gagliarde sono le sue imuesta: tutt'i ministri erano oppressi perbe dimande di uomini che parevano o essere uditi per forza, e credevano la › a cui ciascuno dovesse sedere e farsi livano tutte le scale, strepitavano in n'anarchia brutta. « Intanto la plebe lavora e noi stiamo digiuni, che libertà Re era uno, e mangiava per uno, ora o per mille. Bisogna che pensiamo a' i ». Simili i contadini, peggio i soldati, contro tutt'i liberali; ma come conoè li chiamarono nazionali ». Il colore aporto agli uffici. Voi parlate sempre apore, gridava Settembrini. E quando alla plebe gridare: Viva l'Italia! dice: a, che prima era profferita da pochi e rola sentita da pochissimi, e che era a parola profferita da tanti generosi, allora profferire e gridare dal popolo, brivido per la schiena, pe' visceri, pel alle lagrime ".

nato a patire più che a fare, nato al vittoria, santo tra'santi, di una fede anto più pura di ogni interesse personade i gridacchiatori, i piazzaiuoli si dile

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guarono, e chi s'è visto, s'è visto. Lui che stava a messe a cospirare di nuovo sotto al naso del Borbo rioso; là sul Vomero, eravamo in cinque o sei, d'og Fu la prima volta e sola che fui in convegni segre tura non mi tira alle sette. Mi parve bello il pericolo, tutti si nascondevano. Guardavo lui sorridente, che tutto facile. Si facevano i più matti delirii: porre u sotto Palazzo Reale pareva un giuoco. Mignogna e matto. E si finì con la bomba Faucitano. Questa setta dell' Unità italiana, che fece tanti martiri. Sett ci capitò per il primo, ed era naturale. Io lo chia facilone. Quando ci presentava un nuovo, e diceva è de' nostri, mi venivano i brividi. Uno di questi n si messe attorno, chiedendo quattrini; altrimenti non si saziava mai. E lo chiamavano il cavaliere. gli volsi le spalle, e avevo una gran paura non m ziasse. Ma non fiatò. E forse lo teneva peggiore che Ma cosa c'entro io qui? Parliamo di Settembrini, il martire, che ricominciò la via delle carceri. E ora e descrive e dipinge, con quel viso sorridente.

Tanta serietà di fede era in lui accompagnata co vivacità di sentire. Aveva la fede e il sentimento d riti religiosi. Leggete la sua lettera a Gigia, quand cappella. Quando il suo animo è al di fuori, ha nello in mano, e sorride. Ma quando torna in sè! si sente solo! quando non ne può proprio più! Hai i varii moti di quella ricca vita interiore. Ora è nia; ora è sdegno o disdegno; ora è disperazione; o in fantasia e ritorna l'artista. Gigia, Raffaele, Giulia celli, la marina, la sua casa di Posilipo, i giardini,

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