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come aveva incominciato ecco, a forma di chiusa o di appendice, un confronto di Venezia con Atene, di Leone X, di Luigi XIV, di Napoleone III con Pericle, il quale confronto è veramente fuori di posto e sparso di molti errori storici, dovuti sem. pre alla fretta e ad un momento di distrazione. E Pericle? A me parve che in questo libro egli faccia la figura di un pretesto, tanto poche sono le pagine che a lui propriamente si riferiscono. Ed anche in quel poco, spesse volte, volendo scol pire degnamente le nobili fattezze del grand' uomo, gli fa, con un colpo di scalpello male applicato, uno sfregio incancellabile. Leggasi questo brano. «Non però io, e lo dichiaro qui altamente, intendo punto assolvere Pericle da parecchi errori, i quali, fatti più crudi ed estesi da' suoi successori, entrarono si certo a parte delle sciagure estreme e fatali della Grecia. Ma ciò che più rivela a me, si é di mostrare qualmente que gli errori non si debbano attribuire più a Pericle che allo svol gimento remotissimo e perseverante di fatti e tendenze, le quali si trovavano dalla stessa natura rinchiuse nei popoli della Gre cia, e sovra tutto nella schiatta jonica, a cui apparteneva Ate. ne. Che se Pericle ha una colpa in ciò, sta solo, secondo me, di avere troppo precipitatamente sospinto innanzi lo svilupp0 di quei fatti e di quelle tendenze.... (1).

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Ora se con queste parole il Pallaveri crede di avere fatto un complimento a Pericle sbaglia. Se uno dicesse, per esempio, non è vero che questo medico abbia ucciso quell' infelice; lui era affetto da morbo incurabile, e questo medico non ha fatto altro che affrettarne la morte: crediam noi che il signor medico potesse andar lieto di questa difesa?

Pericle ha voluto fondare in Atene e poscia estendere a tutta la Grecia una forma di governo veramente democratico: è vero. Ma quando il Pallaveri si sforza di provare che verso questo governo democratico puro, quel popolo, per natura, lentamente ma in modo irresistibile camminava, l'opera di Pericle perde importanza. Non è più l'uomo che muove la nazione, è la nazione che tira dietro di sè l'uomo di stato. Sotto questo

(1) Pag. 139-140.

ri

spetto Federico di Prussia, Pietro il Grande e Napoleone I, si alzerebbero giganti sopra l'Ateniese rimpicciolito Ma lasciam stare talora le idee affluiscono impetuose e l'uomo non ha nè tempo, nè volontà di pesarle tutte e vagliarle per bene. Pericle fondò la democrazia ed ebbe nella vasta sua mente un am plissimo concetto di un governo, nel quale amministrazione, leggi, armi, poesia, eloquenza, filosofia, scultura, pittura, dovevano cospirare al medesimo fine, e questo lo fa grande, e sta bene. Ma perché mai il Pallaveri dopo aver collocato il suo eroe sul piedestallo ne lo tira giù per metterlo a pari con Napoleone III? Io non dimenticherò mai che nel 1859 stando in Chivasso a pochi chilometri dagli avamposti austriaci, vidi sfilar l'esercito francese il quale, valicate le Api sotto la condotta di Napoleone, veniva a darci la mano. Come italiano io sarò sempre grato a lui per quel che fece in favor della mia patria: come cultore degli studi storici e letterari mi ripugna vederlo confrontato con Peride. E come mai i Pallaveri, repubblicano e democratico, ha potuto mettere il fondatore della Democrazia Ateniese coll' uomo del due dicembre che assai meglio s'assomiglierebbe a Pisistrato? E quel che è peggio, non bastandogli questo, fa ancora non bello confronto tra Napoleone III ed un altro (1), il cui merito, egli dice, è di « lasciar fare », a prezzo però dei molti e molti milioni retribuiti a lui dalla nazione. Come? Adunque egli trova preferibile uno che di Presidente della Repubblica con un colpo di spada si cambia in Imperatore, ad un altro il quale per serbar fede alla sua parola sacra metteva a repentaglio la sua vecchia ́corona e perfino la vita in cinque battaglie? Da bravo signor Pallaveri se farà una seconda edizione del suo lavoro tolga via questa parte ci guadagnerà Pericle e non ci perderà Napoleone, e pensi che l'altro combatteva a Goito ed a Pastrengo, quando noi studiavamo il latinetto nel ginnasio inferiore.

Che più dirne? Io credo si possa dare al Pallaveri un consiglio. Rifaccia il suo libro; elimini tutto ciò che è offensivo a uomini egregi e che non s' addice a scrittore dignitoso; cor

(1) Pag. 513 in nota.

regga con calma i molti errori sfuggitigli; riveda con diligenza le bozze di stampa; sfrondi il volume di tutto ciò che nulla o poco ha da fare con l'argomento; lasci in pace Napoleone III e l'altro; e finirà, credo, per dare all' Italia un lavoro più che mediocre, sopratutto se curerà anche la forma, affinchè riesca meno scorretta e più italiana.

F. T.

UNA SCENA DEL GIORNO

RACCONTO.

I.

Ma che hai? Perchè non lo dici? Su, via parla; per amor di Dio parla. Mi fa proprio male a vederti così. Se sapessi che vuol dire esser madre; che sente una madre quando non vede i suoi figliuoli, come vorrebbe !... Parla, di', che hai? Non mi tormentare. Ti voglio tanto bene! Ho fatto tanto per te, ho patito ho lagrimato tanto... E qui gli occhi le si cominciarono a far rossi rossi, la voce le cominciò a tremare, forse avrebbe pianto, ma il figlio, affliggeva il figlio, e non pianse. Ossia pianse, ma le lagrime, che non le potevano rigare le gote, le gocciolavano sul cuore. Stette così un po' ad aspettare, che il figlio le rispondesse; ma questi, duro, se ne stava lì, accanto al fuoco, col capo basso e pensoso, colle braccia incrociate sul seno, e non facea, che trarre di tanto in tanto qualche grande sospiro. E fu proprio in uno di questi momenti, che la buona donna, facendo forza a sè stessa, ripigliò, e:-Possibile, disse, possibile, che non ti posso cavare una parola di bocca? Eppure quando m' hai detto qualcosa, non m'è parsa l'ora di farti contento. Di', dunque, che hai ? Sii chiaro, schietto come la luce del sole, come tua madre ti ha imparato ad essere sin da che eri tanto, che se tua madre

non t'aiuta, chi ti aiuterà, figlio mio? Se sapessi quante cose mi fai pensare, che inferno tu m'apri nel cuore... Pazienza ! le mie spalle ne possono di più, pazienza: sia per l'amor di Dio Ahi, mamma, mamma! e potreste pur pensare tristamente di me? E potreste credere, che s' io non vi dico che cosa mi tormenta, lo faccio per tenervi celato i miei segreti ? Ah, no, non lo credete Non lo credo, ma parla Ma perchè affliggervi?-Affliggermi! E da quando in qua hai imparato, che la madre non debba partecipare dei dolori del figlio? Che il dolore del figlio non sia dolore della madre ? Or non sei tu figlio mio? non sei sangue mio tu? Affliggermi E che potria affliggermi di più, che il vederti così, che il non saperti contento? Ah, figlio, apriti, apriti alla mamma tua; fa come hai fatto sempre, e a tutto si rimedierà. È vero, siamo poverelli, ma Dio c'è non c'è Dio pei poverelli ? Egli, che ci ha aiutati altre volte, Egli ci aiuterà anche ora. È così buono! E poi, non vede le nostre lagrime, non sente i nostri sospiri, non ascolta le nostre preghiere? Miseri noi, se non ci fosse Lui, se Lui non ci guardasse, non ci proteggesse! Chi vorria aiutarci? Il mondo, la gente del mondo; ma questo aiuta quando non c'è bisogno, aiuta colle chiacchiere. I renti dai parenti povero chi spera. Dio, Dio solo ci è pei pofiverelli, e in Lui solo s' ha a fidare. Fida, dunque, in Dio, Lo glio mio, e t' apri a tua madre, e a tutto è rimediato volete? Ed io v' ubbidisco, ma è troppo duro. Tanto meglio, ardo di più. - Ebbene, sappiate, mamma mia, che omai per me tutto è finito - Come? come finito ? perche?Ecco, l'unica speranza nostra era, ch'io potessi seguitare gli studi e laurearmi, facendo come ho fatto sinora, senza assistere all' Università; ma ora questo non si può più, bisogna andare a Napoli, e stare li tutto un anno, e un anno, mamma, è lungo, e come fare? Come fare colle tasse aumentate, coi viveri incariti, e la moneta scarsa? Ahi, rassegnarsi alla Provvidenza è la sola via Tace, e profondo silenzio: la madre non risponde, egli non aggiunge sillaba. Il fuoco lietamente arde e crepita; un bel micino si diverte con un goinitolo di filo; un buio del diavolo; l' acqua scende giù a catinelle dal cielo, e tutto tace, quando:-Uno, due, tre, quattro,

pa

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