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Allora il poeta à bisogno di ritemprare la sua lira stanca e monotona, ed esclama :

« Nulla è sublime, se non quanto è arcano!»

Pure la vita gli costa troppa pena: ma il pensiero di doverla lasciare tra breve gli dà nuova lena.

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« Breve è il mortal cammino, avanti, avanti. »

Ed il poverino canta i dubbii, gli sconforti, le amarezze, le illusioni perdute: ma à bisogno di cantare.

« Eppur m'è grato il canto, ed affatico
Lieto la mente; illusion pur esso
E forma estrema del mio sogno antico.
Ma se mai tolta quest' ultima aita

Al genio fia, che il meditar mio stesso
Sarammi allor, che mi sarà la vitä ? »

L'ingegno del poeta stanco della vita, privo d'illusioni, va in cerca dell'ignoto, dell'infinito ed al chiarore della luna.

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il monte ondeggia, e via per gl'imi Burron parla il torrente; allor pel cielo Vaporeggian le cupole sublimi.

Si traveston le cose, empie il romito

Bosco un murmure ignoto, erra l'anelo
Ingegno per le vie dell'infinito. »

Ecco il poeta, così com'è, coi suoi dolori, i suoi sconforti e le sue illusioni svanite. É triste: la vita non gli va più a ge nio; il suo cuore à cacciato fuori le grinze della vecchiaia. Non ama più e non spera in un avvenire migliore. Tutto questo si che il poeta non avendo la sua ispirazione dal di fuori,

fa

dal

mondo che lo circonda, la pigli dalla sua vita intima e ci narri tutto quello che sente.

L'amore non à che vederci nei suoi versi, e le donne tanto meno. Pure qualche volta à un' illusione il poeta, gli par d'a mare. Ma non è che un breve sogno,ed ei vorrebbe prolungarlo per sempre, per tutta la vita. Invece l'illusione svanisce, ed il poeta ridiventa triste.

« S'era del ciel divieto il bacio mio,
Chieder vorrei che ancor degl'interrotti
Sogni le fila m'annodasse Iddio;
Ma i rotti sogni in perpetuo son rotti !
Se rispondesse al ver questo desio,
Chieder vorrei che in altrettante notti
Beate ognor di quel soave e pio
Sogno, i miei giorni fosser prodotti.
Più non ti bacerei, cara; nel greve

Petto la brama premerebbe il core

De le tue labbra che ancor sento e agogno
Tutta la vita mia sognar quel sogno!

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In questa lotta tra un ideale sconfinato ed un presente brutto, tra le sue illusioni ed una realtà da mettere i brividi s'ispira il poeta. Li non sente più la lima degli anni,il suo cuore perde le grinze e ne vien fuori un lirismo pieno, caldo ispirato. Quel buon papà di Lamartine, che in fatti di poesia se ne intendeva un pochino, se la piglia un po' soverchio con quei poeti nebulosi,che a furia di cercar troppo un ideale, se lo lascian scappare di mano << E sonvi poeti che cercano il bello lontano assai, mentre è nel cuore, mentre una corda sola toccata con animo pio, alzando gli occhi al cielo,basta a cavar le semplici note, che faranno piangere più secoli, e diverranno quanto le amarezze, quanto la vita imperiture. Il sublime stanca, il pomposo confonde, il patetico solo raggiunge sicuro il suo fine. Quegli che commuove può tutto. GIORNALE NAPOLETANO, VOL. III.

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Vi à più genio in una lagrima spremuta, che nei musei e nelle biblioteche dell'intero universo presi insieme. » L'autore della Graziella non avea tanto torto. Ci son poi di quelli che fanno in versi anche la nota alla bucataia, e l'Italia ne conta parecchiA leggere poi un po'di versi fatti per benino, ci si sente quasi quasi rifatti.

Che il Rondani sia un poeta d'oro non lo dico: la forma è un po'troppo classica:ci si sente troppo studio. Ma i lettori lo piglino così, com'è, che sarà sempre un poeta per bene.

Carlo Petitti

PERICLE

Soritto di DANIELE PALLAVERI

Brescia, Tipografia Apollonio, 1816.

Scrivere un libro per comunicare al Pubblico nuovi ed utili veri, trovati con lunghe veglie, è gloriosissima cosa. Scrivere un buon libro a fine di presentare ai lettori raccolta in un volume la dottrina che in molti trovasi sparsa è opera bella ed utile. Ma scrivere un libro per dar sfogo a privati risentimenti, è cosa deplorevole. Questo ebbi a pensare allorchè mi capitò fra le mani il Pericle del sig. Pallaveri. Egli, professore di filosofia nel R. Liceo di Cremona, desidera fare un passo innanzi e divenire professore in qualche R. Università; e però concorse alla cattedra di Letteratura greca vacante nella regia Università di Pisa qualche anno fa. La Commissione esaminatrice, io non saprei per quali cagioni, lo respinse: indi nel concorrente uno sdegno, parendogli d'aver ricevuto un'offesa, (1) che ad ogni modo voleva uno sfogo: ed ecco uscire alla luce il Pericle con il quale evidentemente l'autore volle provare che egli sa il greco; che conosce la storia letteraria, politica, filosofica, artistica della Grecia e che sarebbe stato idoneo quant'altri mai, a spiegare ai giovani dell'Ateneo pisano le bellezze di Omero, di Pindaro, di Tucide, di Sofocle. Ma, purtroppo, (1) V. Prefazione prima facciata

il risentimento è cattivo consigliero. L'autore del Pericle, ascoltando solo la voce dello sdegno, incomincia con inveire con parole gravissime contro il Consiglio Superiore della Pubblica. Istruzione; (1) quindi esce in insulti contro il Mamiani; (2) prosegue trattando assai male il Peyron (3); e da ultimo dà, senza reticenze, dell' ignorante a Visconti Venosta (4). Queste cose che s'incontrano sul bel principio del libro, producono sul lettore un effetto spiacevole.

Il Consiglio Superiore di pubblica Istruzione è composto di persone elette per ingegno e per dottrina: costoro possono commettere errori, poichè son uomini, ma non è lecito chiamar sinedrio un corpo rispettabile, ed apporgli, senza addurne le prove, perfino dei delitti! (5) Insultare, sopratutto quando l'insultato si chiama T. Mamiani non è perdonabile in verun caso. Finalmente dar dell' ingnorante, a chi non la pensa come noi, potrà esser tollerato in un grande maestro verso uno scolare negligente ma il Pallaveri non può pretendere che tra lui ed il Venosta corra la distanza che v' ha tra un maestro ed uno scolare. Il signor Pallaveri perdonerà alla mia schiettezza, se gli dico che la sua Prefazione predispone assai male il lettore, il quale sente una grande tentazione di buttar là il libro e non leggervi più avanti.

Ma lasciam questa parte, e veniamo al merito di questo Pericle.

A prima giunta si scorge che questo lavoro fu messo insieme con molta fretta, tanto che sono all' autore sfuggiti moltissimi errori, dei quali niente altro che la fretta parmi debbasi incolpare.

Di questi errori, o vogliam dir distrazioni, giovi recare un saggio.

A pagina 37 si legge questa nota. « Derivando, com' io fo,

(1) V. Prefazione seconda faccia dove gli appone dei delillo!

(2) V. Prefaziene pag. VI ed in nota a pag. 293, ove lo dice vile e gesuila.

(3) In più luoghi.

(4) In nota a pagina 75.

(5) Nella prefazione pag. VI.

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