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viniano in versi, quantunque molte cose potrebbero dirsi, come per esempio: che egli non traduceva per dilettare chi non sa di greco, ma per istruire ancor chi lo sa, e per farlo in qualche modo sentire a chi non lo sa (1). In fatti sappiamo di certo che il più armonico e più soddisfacente italiano traduttore d' Omero, quantunque ignaro di greco, col Salvini alla mano ha potuto penetrarne talmente la forza, guidato a scansarne qualche difetto da altro buon duce, che finora tiene il vanto di buon traduttore italiano inquanto all'armonia del verso, ed alla generale interpretazione che può esser sufficiente a far gustare e conoscere quel poema a chi non sa il greco; vanto di cui non dubitiamo doversene buon grado al Salvini. Nè intendiamo per questo di screditare altre versioni italiane vecchie o recenti; parliamo di quella del Salvini, nell' aspetto che abbiamo dichiarato, e di quelle che con l'aiuto della salviniana possono farsi da chi non sa il greco (2). Tornando ora al valor poetico del Salvini come autore, egli non scrivea per darsi tuono di poeta. « Io non fò il poeta di professione, scriveva ad un amico, ma per divertimento e per

(1) Perchè non tradusse piuttosto in prosa? molto probabilmente perchè giudicò che il verso fosse più adattato a conservare certa concisione, e certe maniere che non si comporta no in prosa, da lui fedelmente mantenute in italiano per far prova quanto può avvicinarsi al greco, e che dispiacerebbero in prosa; nella quale non bisogna discostarsi molto dal consueto modo di parlare degli uomini culti, secondo i vari argomenti.

(2) A nostro tempo son comparse varie traduzioni italiane d'autori greci, ed in particolare di Omero, fatte da chi non sà verbo di greco. Queste certamente non debbono chiamarsi traduzioni, ma traduzioni delle traduzioni. Ciò nonostante abbiamo veduto fin dove può giungersi con lode in questa gara da chi ben guidato, e mettendovi di suo buona frase, ed armonia del Parnaso italiano, ha mantenuto l'equivalente delle idee originali quanto è stato possibile per ottenere di non essere scomunicato al tribunale de' grecisti, e di piacere ai lettori come poeta italiano, al punto da dovere essere non poco scoraggito chi senza saper di greco volesse regalarci un' altra traduzione di traduzion d' Omero.

fare qualche convenienza, e spiegare i miei pensieri a qualche amico confidente: è ben vero che mi sforzo sempre di far meglio ch' io posso, e se mi venisse fatto in cento un sonetto buono e bello stimerei bene spesi que' cento per quell'uno ». E che qualche sonetto buono e bello gli riuscisse ne fanno fede, degli editi, il Casaregi ed il Muratori. Il primo, che l'esortò a pubblicarne alcuni ; il secondo, che nel Trattato della perfetta poesia italiana a pag. 283 ed a pag. 361 oltre ad altri luoghi, vari ne riporta per esempio di ben poetare. Le doti caratteristiche del suo verseggiare sono chiarezza, facilità, eleganza di stile; ed a tutto ciò si aggiunga l'autorità di testo di lingua: prerogative che abbastanza giustificano la cura dell'editore di questi sonetti. Eccone due per saggio, non già per dare un esempio dei migliori. A pagine 80:

Povero passerin che già solevi

Essere a noi trastullo e giuoco e festa
E coll' ali festoso e colla testa
Noi tue care nutrici trattenevi ;
Il nostro fier lamento ora ricevi;

Morto te, poste siamo in gran tempesta
Coppia infelice abbandonata e mesta,
Che con tua compagnia lieta rendevi.
Ah se tanto potesse il nostro pianto
Che ti facesse un dì risucitare

Pianger vorremmo tanto, tanto, tanto.
Ma giacchè ciò cosa impossibil pare,

Noi Luzia e Violante afflitte intanto
L'esequie ti facciamo col cantare.

Chi non vede in questo sonetto fatto per giuoco a consolazione di due bambine, le grazie greche, latine, italiane? non ha egli tutto l'affetto del passer deliciae meae puellae catulliano; e del pianto della Cloe di Longo per la perdita del grillo?

Altro sonetto è a pag. 97:

Vidi una volta un lioncin di latte,

Che parea proprio un cucciol cagnoletto,

Avea tenere l' unghie e molle il petto,

Le sanne ancor d'umano sangue intatte.
Toccatel pur, toccate: non son fatte

Sue forze ancora, e appar sì leggiadretto,
Che con voi lo terreste ancor nel letto
E gli fareste le carezze matte.
Ma lasciatelo crescere. Ohimè poi
Si ricorda del suo nativo instinto,
Ed i feroci sfodera atti suoi.
Carezzevol maneggio non l ha vinto :

Questa è figura: or ritorniamo a noi:
Nel Lioncino avvi l'Amor dipinto.

Nel numero dei 399 sonetti, ven' ha certamente de' bene spesi per questi due e per qualche altro : e potrà sembrare a taluno che l'editore avrebbeli potuti lasciare a dormire nelle librerie d'onde gli ha tratti, contentandosi di darne notizia al pubblico letterato. Non v'è dubbio che essendo difficilissimo di pubblicare tutte le cose inedite, sono di grande utilità i cataloghi ragionati di quanto d'inedito nelle biblioteche è custodito. Ma se possibil fosse d'aver tutto a stampa non saria meglio? troppo grande imbarazzo, dicono, d'aver tanti libri. Ma io domando : che cosa è meglio; che siano distrutti, e periscano, o per lo meno siano non conosciuti tanti codici e mss. inediti, o che siano conservati, ed esaminati da tutti? Se hanno da perire la questione è finita, e non dovranno rimanere nelle biblioteche, nè publicati alle stampe. Ma se debbon essere conservati per qualunque siasi motivo, non è meglio che siano messi sott'occhio di tutti con la facilità della stampa, perchè ne profittino, ne facciano giudizio e li abbiano nel conto che possono meritare, tutti i dotti? Se il libro riuscirà buono a qualche cosa, sarà benedetto chi lo ha dato alla luce; se buono a niente, gli avremo non dimeno buon grado d'averci messo in istato di poterne giudicare; sebbene io creda difficile di trovare un libro affatto buono a niente, tra i conservati nei depositi d'antiche scritture; imperciocchè se non ad altro, sarà utile a metterci al fatto del pensare, del costume, del bene, o del male del tempo trascorso per far paragoni e

giudizi. Nella infinita moltitudine d'uomini, di fatti, di detti che ogni giorno muoiono e nascono, che cosa ne resta alla posterità, se non quel pochissimo che, come qualche pedata nella rena, resta sui libri ? Come dunque per vivere al tempo nostro bisogna trattare con gli uomini d'ogni classe e condizione, dotti, indotti, buoni, cattivi: così per vivere nel passato non ci resta altro mezzo ehe fiutare e scuoprirne quante pedate rimangono de' trapassati, cioè conoscere le loro idee ed azioni nei libri e scritti qualunque, che ci rimangono. Qual messe può sembrare più degna del fuoco di tutti li strumenti di compre e vendite de'secoli barbari, scritti non in una lingua, ma in un gergo spesso inesplicabile di barbaro latino, italiano, teotisco, e d'altri idiomi insiemi confusi? Eppure deggiamo moltissime grazie a chi celi ha conservati, e non minori a chi gli ha tolti dalle tenebre e gli ha pubblicati alle stampe! Quanti lumi non ne caviamo per vivere in que' tempi? per confrontarli co' nostri? Dopo tutto ciò siaci permesso di lodare e ringraziare il sig. canonico Moreni pel suo zelo di darci a legger a sue spese ed a sua fatica tanti inediti scritti, che non avremmo letti o mai, o certamente non con tanto agio; di molti de'quali non può mettersi in dubbio la patente utilità per uno o per altro conto, e di qualcuno che or sembri di minor o nessuna importanza diremo che, se non meritava d'esser distrutto, è meglio che sia stampato, perchè prima o dopo qualche utile notizia verranno ad attingerne o i contemporanei, o que' che saranno. Ma i sonetti del Bronzino? Egli non era poeta di nome; ed i sonetti pubblicati dal sig. Moreni forse, se così vuolsi, non serviranno a farlo sedere a scranna in Parnasò. E che per questo? almeno sapremo che non valeva molto in poesia. Ed una certezza negativa, è ben da valutarsi, trattandosi di conoscere la verità; e saremo grati all'editore che ci abbia dato campo senza nostro disturbo di poter giudicare che Angiolo Allori fu miglior pittor che poeta. Ciò sia detto per condiscendere a certi che vorrebbero vedere stampato d'inedito soli capi di opera, soli frammenti o codici de' classici greci a

T. XII. Dicembre

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latini, o trecentisti italiani, o lettere d' uomini illustri, de' quali si appagano anche d'avere una ricevuta, una vendita di un cavallo, etc. scritte nella lingua del più basso volgo; ma tornando ai sonetti del Bronzino, non è nostro scopo mostrare quel pregio che possono avere: e ci contentiamo di osservare che se non fu buon poeta, fu artista erudito, e culto, come lo furono gli antichi greci, ed i nostri di prim'ordine non solo, ma anche quelli delle classi inferiori, è come lo sono i moderni che si distinsero o si distinguono. È dunque Angiolo Bronzino un nuovo esempio per que'giovani che studiando le belle arti del disegno e l'architettura, credessero d'aver fatto assai con imparare a disegnare, a mescolar colori, a tirar delle linee, senza prima aver almeno assaggiato lo studio delle lettere, se non delle scienze; e nelle lettere la storia, il costume antico, la favola, la poesia, l'arte di scrivere. È la pittura l'oratoria muta, e come l'oratore dipinge con parole gli affetti ed i costumi di tutti i tempi ed i pensieri, così debbe con i colori farlo possibilmente il pittore. Qual vergogna dunque se potesse credersi che si dessero de' giovani pittori che s'impegnassero talvolta a dipinger de'quadri senza conoscere nè il tempo, nè il costume dell'argomento; e forse a disegnare quel libro, o quella penna scrivente che non saprebbero nè leggere, nè adoperare.

S. C.

Secondo viaggio, e ritorno del cap. PARRY.-Estratto dalla gazzetta letteraria di Londra, del 25 ottobre e del 1.° novembre 1823.

Dopo un'assenza di più che due anni, il viaggiatore instancabile del polo artico, il capitano Parry, è arrivato con i due bastimenti denominati la Furia e l' Hecla, Lerwich (1), il dì 10 ottobre 1823: e la mattina del sa

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(1) Città principale dell'Isola di Mainland, la più considerabile delle isole di Shetland al settentrione della Scozia.

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