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do ebbe nome d'Eporedia, tolta da'romani a'salassii; e poi occasione di discordia a're d'Italia, e causa di guerra agli stranieri. Nè altro credeva vedere entro le mura se non il castello divenuto prigione agl' infelici, e fuori delle mura i ruderi delle due fortezze, della cittadella distrut ta dagli spagnoli, e della Castiglia edificata da loro e demolita da' francesi. Onde sono entrato mestissimo nelle vie della città, e benchè non stanco, riposarmi voleva. Ma condotto alla locanda del Cavallo bianco, e fattomi alla finestra della camera, ho visto si bel quadro che m'ha tutto comosso. A destra e di faccia una bella collina co' ruderi della Castiglia in vetta: sopra altra collina a sinistra le rovine della cittadella: tra esse la Doria Baltea discorre, empiendo l'alveo. Nè sembra minaccioso il ricresciuto fiume, perchè gli fanno margine gli arbusti, le viti e i fiori, e per breve intervallo mostra le onde. Esso qui viene da dietro la Castiglia, e prima di bagnar la piaggia della cittadella, irriga un delizioso colle, fertile d'ottimo vino, e nominato dal romitorio di s. Urbano: quindi presso la cittadella divide i flutti suoi, dando moto a mulini e a fabbriche, e poi gli accoglie di nuovo e si dilegua. Io, per vederne il successivo corso, son disceso con Francesco Cavallo (locandiere officioso e amabile a' forestieri, e perciò rarissimo) nel suo giardino sotto la Castiglia: da dove ho visto ingolfarsi i flutti sotto un arco solo di maestoso ponte antico, il quale congiunge la città col borgo e colla cittadella; e vedeva pur tra l'arco e 'l fiume i più lontani paesi. Ma la Doria mi spariva di nuovo, per cui sono andato collo stesso locandiere ad altro suo giardino di là dal ponte: ed ecco la Doria correr placidissima tra rupi in profondo letto, poi far golfo e seno intorno alla più bassa città, e diramarsi parte nel naviglio, parte nel suo meandro che volge al Pò.

Chiamasi naviglio un canale che trae acqua dalla Doria a tutta la pianura di Vercelli con ben ordinata mi

sura. E scendendo al luogo dove sono le cateratte, m'è piaciuto udire che le vogliono migliorare. Ma il nome di naviglio resta sempre vano, non essendo navigabile. Quanti beni esso produce, irrigando le campagne! Quanti più ne produrrebbe, se fosse idoneo a trasferire da' medesimi campi al mercato le messil E mi dicono essere stato dapprima navigabile: ora non essere più a causa delle steccaie fatte in più luoghi per livellare l'acque a' campi, e diminuire l'impeto della corrente troppo declive. Un buono idraulico potrebbe l'una e l'altra utilità conseguire. Di quivi sono risalito in città per vedere il castello che è infatti una prigione di figura quadrata con torri rotonde negli angoli. E dalla terrazza del castello è bellissima veduta: ma io non godo, ove gli altri gemono, e son corso al poggio della Castiglia per respirare l'aria aperta e confortevole sopra le rovine della prepotenza. Qui ho trovato un vecchio rispettabile, cui diletta il tramontar del sole; immagine della sua declinante età. E voltosi a me che lo salutava, e chiesto il nome della patria mia, e udito ch'io era italiano, m' ha con atto cortese dato la mano, indirizzandomi all' anfiteatro maraviglioso che le alpi disegnano. Vedete, diceva: con quante vettè successive è guardato il passo, d'onde viene la Doria ! quante valli anguste, quanti burroni da amendue le parti, più difendibili che non le Termopili! e nelle montagne abbonda il ferro! e così tutta l'Italia è cinta! Oh! perchè.... È sempre in forse appresso noi lo stato dell' universale, come la vita dell' uomo. Deh! ... ma io attempato non ho altra speranza che goder qualche altra sera di questo sito ameno. Infatti ha il poggio amenità sì grande che non la maggiore. Quanto aveva prima veduto, quindi rivedeva con vario aspetto, oltre il nuovo e sublime spettacolo che il buon vecchio additava. Il fiume stesto (nasce in Italia presso il piccolo s. Bernardo ) pare altiero del suo trionfo, avendo superati gli stretti passi ;

poichè si dilata a genio suo, e molto serpeggia nell'interposta pianura, innanzi che giri per sotto Castiglia al ponte d'Ivrea. Spesse le ville sono con vaghi giardini, sì nel piano, come nella gran valle, in mezzo cui sorgono la città e i poggi. E l'aria bruna ne'cavi delle montagne, le nevi tinte di rosso in sulla vetta, e il vapor che dalle valli in alto illuminavasi, m'hanno dipinto in breve ora tanti paesi diversi, che a me sembrava come mutassi luogo. Alfine un solo colore si è sparso per tutta la regione, ed il buon vecchio accompagnandomi alla locanda, beviamo di questo prezioso vino alla salute di voi e di tutti i buoni italiani.

Aosta, a dì 15 di giugno 1823.

Dilettato dalla bella natura che è intorno ad Ivrea,voleva dimorare alcuni giorni in quella città per fare il giro delle colline e veder le ville. Ma incerto della buona stagione, allo spuntar dell'alba ho preso la via sotto Castiglia, in parte del poggio opposta a quella che declina verso la Doria. E camminando per mezz'ora tra vigne ed orti, sono giunto alle fornaci di Montalto, il quale villaggio è poco lungi dalla strada presso monte Crovero, ove son pietre da calcina: il che dinoto, perchè le montagne calcaree non sono qui frequenti come nella catena delle alpi che guarda a settentrione. Dipoi la strada seguita in piano, ma la valle stringe: e passato Borgo-Franco, allorchè si vedono le case di Monte-Stretto, allora principiano le alpi, e si ritrova la Doria, sulla cui ripa sinistra è non interrotta la via. Quindi altro diletto non v'è, che guardare il fiume, le rupi e il celo, poichè l'abitazione dell' uomo ivi rinchiusa non dà letizia, e gli abitatori hanno troppo squallido viso e deforme collo, massime quando per s. Martino si entra nella valle d'Aosta. Ma il fiume, cercando tra' monti il varco, è sempre vario: nè mai simili veggonsi le rupi. Queste or sono coperte di musco e d'ar

boscelli, or nude con scabre punte: e da' lor seni scen dono alla Doria spessi torrenti: e sulla ripa, ov'è terreno, è sementa: ov'è scoglio, nasce la vite, coltivata quasi Sempre a pergola, affinchè il solo nutrimento che aver possono i pampini, tutto in loro e non sulla pietra si spanda, cioè la rugiada e il calor del sole.

Nel villaggio di s. Martino è un bel ponte, sotto cui passa nuovo torrente: e il paese è vago per la maggior coltura e per le cascatelle delle acque. La quale vaghezza invero è opportuna, perchè dipoi si passa per montagne anguste a Donax, e per più anguste a Bard, orrido luogo, con case affumicate e nere che paiono prigioni o tombe. Quivi è una parte della rupe tagliata a picco, opera attribuita a' romani: quivi era il forte castello di Bard, di. strutto nel 1811. Io ho affrettato il passo per giunger presto alle ultime case, ove la valle è più larga e piacevo. le, si proseguendo fino a Verrex, che pare una città in confronto di Bard. Molti montanari erano adunati sulla piaz. za, dandosi bell'agio in questo di festivo. Ed io parlando con loro senza guardarli, troppo contristato dalle turgidezze che uomini e donne avevano tra'l seno e il mento, ho udito: esser vicino un torrente, chiamato Evanson, il quale porta seco alcuna particella di oro: non trovarsi però buone miniere se non di ferro, di rame, e di stagno: attendere alcuni pochi abitatori di questa parte della valle d'Aosta a conciare il cuoio, o alla cura delle capre: e molti andare altrove nell'inverno, facendo il mestiero dello spazzacammino, per tornare d'estate a raccogliere le poche biade e aiutar la vigna sulle paterne rupi. Consueti nella povertà, e non inanimati da calda atmosfera, sono ufficiosi e buoni: talchè raccontano come raro esempio, che un montanaro negli anni scorsi facesse l'assassino, tirando coll'archibuso a' viaggiatori, spogliandoli, e gettandoli nella Doria. Punito costui, par qui

sicuro il viaggio; quantunque incresça e dia sospetto il conversar con popolo che essendo privo d'istruzione non può conoscere in molti casi come debba egli operare.

Dopo Verrex è lunga salita, d'onde si scorge spesso la Doria quasi al tutto chiusa nelle profonde rupi. E sotto l'antica torre di Mont-Iovet ( monte di Giove) è pur la strada intagliata nel masso: adempita l'opera, come dicesi nell'iscrizione, per ordine di carlo Emanuelle III nel 1771 a fine d'agevolar l'uso delle acque minerali in val d'Aosta. Molte polle salubri scaturiscono infatti da diverse montagne, ed una sorgente è ivi non lungi, presso il piccolo villaggio di s. Vincenzo, a cui si arriva per bellissimo prato in bosco di castagni. Quindi si trova il miglior borgo di tutta questa via, cioè Castiglione, anch'esso tra montagne, ma con vie più larghe, in valle più aperta, essendo meno ripida la piaggia alpina. Ed il borgo finisce ad un burrone, ove un torrente si precipita dal monte Cervino e passa sotto due ponti: l'uno edificato nella via, con arco altissimo e svelto: l'altro più basso, con ruderi d'arco di costruzione antica. Gli alberi e le case continuansi giù per la valle: ed i pergolati seguitano dando ottimo vino, in particolare presso il villaggio non lontano di Chambava.

Quasi mai non s'ode in questi luoghi un nome con italiana pronuncia. I noci son detti nuz, ed abbondano massime dopo Chambava. Perciò il primo villaggio, che allor si trova, Nuz è chiamato: dopo cui, a una lega distante, è Villefranche, d'onde si vede la città d'Aosta. La valle è qui molto più larga, e seguita quasi in piano verso occidente, senza però che mai conforti con qualche linea orizzontale infinita, benchè sia più elevata del mediterraneo intorno a trecento tese. E le montagne hanno sempre più le vette alpestri: talchè nella catena meridionale a destra della Doria vedesi il primo monte che non è mai privo al tutto di ghiaccio.

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