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sclusivo possesso della lingua sacra dei sapienti dell' Indie Orientali fossero riserbati ai soli Brahmani, come quelli che sono i soli depositari della sapienza e della religione ad un tempo in quelle già fortunate contrade. Il fatto però ha mostrato ai giorni nostri tutto il contrario, poichè si studia oggi quest'idioma al pari di tutti gli altri dell' Oriente, e si trovano presentemente in Europa dei dotti, così versati nella favella samscritica, come lo sono altri nella greca e nella latina. Nè passeranno forse altri venticinque o trent'anni ancora, che questa antichissima, ricchissima, dottissima, e bellissima lingua, si renderà tanto comune e tanto generale fra gli europei, quanto lo sono fra loro quelle dell' antico Lazio e dell'Attica. E se questo avverrà, come abbiamo tutta la ragione di lusingarci, mercè le assidue cure di tanti nobili ingegni che impiegano tutti i loro sforzi onde propagare i mezzi di apprenderla, ridonderà senza dubbio in grandissimo vantaggio dei buoni studi, giacchè si potranno rischiarare, s'io mal non mi appongo, mediante la cognizione di essa, e col tradurre ed illustrare le opere che vi si trovano scritte e che rimontano ad epoche assai lontane, moltissime dubbiezze ed oscurità; e vincere tutti quegli ostacoli, che si giudicarono insuperabili finquì, e che si incontrano ad ogni passo in tutte quelle opere antiche, le quali servono di fondamento e di base alle storie da noi conosciute. Potremo allora riempierne facilmente le mancanze, rettificarne le date, correggerne la cronologia, che si trova sommamente imbrogliata ed

eccitamento onde intraprendere con più fermo proposito lo studio di una si bella lingua, sicuri di vincere colla determinata volontà tutti gl' impedimenti che s'incontrano pel di lei conseguimento; e riflettendo che tanto maggiore è il nostro merito, e tanto più sentita è la nostra compiacenza, nel giungere ad uno scopo che ci eravamo proposti, quanto più numerose furono le difficoltà, e quanto maggiori gli ostacoli che incontrammo per via.

in Erodoto ed in altri greci scrittori, e toglierne insomma quelle incertezze e quella confusione che imbarazzano bene spesso i lettori anche i più circospetti e più saggi, e li fanno andar soggetti ad un grandissimo numero di grossolani errori. Spariranno allora dalla storia antica molti nomi di eroi, di re, di conquistatori, e non poche ridevoli divinità dalla mitologia dei greci e dei romani, che non sappiamo il più delle volte ove collocare, nè per il tempo nè per il luogo; e vi comparirà in quella vece la realtà delle cose e dei fatti. E trovato così il modo di porre tutte le cose al loro posto ed alla loro epoca nella storia, si spargerà una nuova ed inaspettata lace nell'Archeologia di ogni maniera, ed aprirassi una strada più facile e più sicura alle indagini di quelli che amano d'investigare le vere origini dei popoli, le loro mescolanze ed affiliazioni, e le vicende politiche e religiose che ne hanno cambiati, guasti, o corretti gli usi ed i costumi. Al che potrebbero contribuire non poco le strepitose scoperte fatte in questi ultimi tempi dai viaggiatori europei nell'alto Egitto e nella Nubia, è quelle che vi si faranno in seguito, se gli archeologi fossero più dotti di quello che sono generalmente, e volessero portare un poca più di filosofia e di critica nello studio delle cose egiziane, spogliandosi prima di tanti piccoli pregiudizi nazionali, ed anche municipali, che non servono ad altro che ad arrestare ed impedire i progressi della scienza da lor coltivata.

Ma per tornare al punto d'onde mi son dipartito, farò una brevissima storia della lingua samscritica, e parlerò più rapidamente ch'io possa della sua antichità, della sua maternità, e de' suoi pregi. Mostrerò quindi come, quando, e per qual modo si cominciò ad averne qualche notizia in Europa; ed indicherò in fine i principali lavori fatti finora intorno ad essa, ed in quale stato si trovi sentemente lo studio della medesima fra gli europei,

pre

citando anche i nomi degli uomini più periti nella cognizione di essa ; affinchè questo mio qualunque siasi ragionamento proceda con quell'ordine e con quella chiarezza che si richiedono in ogni scrittura, e principalmente in quelle del genere didascalico.

La lingua samscritica, come volgarmente e corrottamente si chiama in Europa, ed il di cui nome vero, sincero, genuino ed originale è samskrdamica, come vien detta nel sublime vocabolario brahmanico, denominato Amarasinha dal suo autore, altro non è che una lingua accuratamente coordinata, ed in tutte le sue parti perfetta, secondo il significato del suo stesso nome; poichè la voce samskrda, vuol dire, cosa ben disposta, cosa perfetta, cosa accuratamente coordinata, cosa in tutte le sue parti compiuta.

Ella si dice ancora impropriamente gramthamica, dai libri formati di foglie di palme, che in samscritico son dette gramthàm, e nei quali questa sacra lingua è scritta e contenuta; come se dir si volesse lingua dei libri, avvegnachè non è questa in fatti una lingua comunemente parlata, ma solamente scritta, come fra noi la latina; ed è riserbata soltanto per le cose sacre, per le scienze più sublimi, e per la poesia, essendo ordinariamente dettate in versi tutte le opere più antiche finqui conosciute in questo nobilissimo linguaggio. E lasciando da parte gli altri moltissimi nomi tutti erronei, che furono dati e si danno ancora dagli europei a questo idioma, passerò a parlar brevemente della sua antichità.

L'antichità della lingua samscritica non può essere che remotissima, poichè la di lei origine rimane involta nella caligine delle favole; e se dovessimo prestar fede al racconto che ne fanno i brahmani, ella rimonterebbe al princípio del mondo.

Fingono essi dunque, che il loro supremo Nume Ishvara, che significa signore, padrone, nella creazione

stessa del mondo, ardentemente bramasse di compiere questa creazione, e che fosse preso dal più vivo desio di possedere una donna ; il tutto però per forza d' immaginativa, e per l'energica sua virtù. Investito da questa brama violentissima, nacque improvvisamente alle sue spalle, o meglio ancora al suo fianco, una donna chiamata Sakti, che vuol dire, forza, potenza, virtù suprema.

Allora il maschio Dio Ishivara si tolse immantinente in moglie costei; ed il primo discorso, anzi la prima parola che questo Signore e Creatore pronunziò, fu, Hum, cui la donna divenuta già Dea, rispose, Om. Quindi acceso dell'amore di compiere le generazioni e le produzioni, ed incominciando la grand'opera della creazione, disse a Sakti; Hum? vale a dire: vuoi tù? a cui la dea rispose Om, od Am, le quali voci significano ambedue, si voglio, sì certamente si faccia; così sia. Alla quale Ishvara nuovamente disse: Hum nama Shivaya? che è quanto dire: Non si debb' egli adorazione a Shiva? cioè ad Ishvara, che è lo stesso che Shiva. Il che equivale a queste altre frasi: Si deve egli adorar Shiva? Vuoi tu che si adori Shiva? E la dea soggiunse, Om, cioè, sì voglio che così si faccia; voglio che si adori Shiva. Donde ebbe originé questa orazione liturgica celebre in tutta le Indie orientali; Hum nama Shivaya, Om; che vuol dire, come abbiamo osservato. Vuoi tu che si adori Shiva? Si certamente, voglio che cost si faccia, voglio che si adori.

La quale orazioncella, tolte però la prima e l'ultima parola Hum ed Om, vien chiamata in Samscritico, Panciaksharam, ossia l'orazione di cinque lettere; ed è la principal nota caratteristica della setta shivenitica, di quella cioè che adora Ishvara, o il Dio Shiva. Ed è pure la prima e la più santa orazione, nella quale è fondata la scienza e la devozione, e nella quale consiste la religione degl'indiani. Quelle due particelle poi, Hum

ed Om, sono sacre per tutti i popoli dell' Indie e del Tibet che le hanno sempre in bocca, e formano la base ed il fondamento della religione indico-tibetana, e della devozione gentilesca.

Composta che ebbero il Dio e la Dea questa prima orazione, la seconda così prese a dire al primo, cioè Sakti ad Ishvara. Hum Narayana namà? cioè: si deve egli adorare Narayana, ossia il Dio Vishnu? A cui rispose il primo: Om; cioè, sì, si faccia, si adori. Questa seconda proposizione, od orazione, è il principal distintivo della setta vishnuvitica, ossia di quella che adora principalmente il Dio Vishnu; e la ripetono così spesso i suoi settarii, e con tanta fiducia, che nei pericoli, in punto di morte e nelle malattie, la pronunziano continuamente, nè sorgono mai dal letto senza dirigere questa orazioncella al loro Dio Vishnu.

Dal che si conchiude con ogni certezza che questa è il cardine della setta vishnuvitica e della sua religione, come lo è l'altra della shivenitica e della sua religione. Ed è questa anche l'opinione stabile, ferma ed universale di tutti gl'indiani, che i due culti, cioè di Shiva e di Vishnu, fossero istituiti nella creazione del mondo, nello stesso principio delle cose, dal supremo Dio Ishvara e dalla Dea Sakti; come tengono pure per certissimo, che fossero ancora proferite in quel tempo medesimo le due particelle Hum ed Om, colle quali son persuasi che siano state create e prodotte tutte le cose.

Compiute queste due orazioni, il Dio Ishvara, o Shiva, e la sua moglie Sakti, proseguendo l'opera della creazione, formarono per mezzo di un ulteriore colloquio le cinquantaquattro lettere dell' alfabeto, cioè le radicali, dalle quali risulta l'alfabeto samscritico. E quindi nasce che gl' indiani, egualmente che i tibetani, hanno tanta devozione per queste lettere, e le tengono in tanta stima, perchè sono persuasi che queste siano state pronunziate

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