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proporzionali alla sensibile alterazione delle parti irritativamente o dinamicamente. affette, per lo che gli sconcerti simpatici potrebbero ripetersi piuttosto da certe organiche mutazioni non percettibili ai nostri sensi, che dalle riconoscibili locali lesioni, che forse in pari modo ne divengono il prodotto. (q)

Eccoci al termine delle nostre osservazioni. Non fu nostro scopo imprendere l'esame critico della teoria eccitabilistica del controstimolo, per molti lati eccellente, e dell'umanità benemerita.

Si conosce che alcune difficoltà si riducono a sottigliezze speculative, e che ad altre potrebbesi ovviare con una maggiore esattezza nel linguaggio. Era troppo al di sopra delle nostre forze il migliorare e correggere queste dottrine.

Ad onta però delle loro imperfezioni racchiudono tali luminose verità, che proclamate per la prima volta in Italia, alla perfine penetrarono oltramonte. Questa rapida diffusione, ed i felici resultati della pratica, ne dimostrano l'importanza ed i vantaggi. E se la presunzione o l' orgoglio dello straniero che adotta molti dei principii della

(q) Difatti molte lesioni appariscono identiche, senza che i sintomi e gli esiti vi corrispondano; onde tali resultati non pos sono esclusivamente provenire dall' apparente modificazione delle parti. In alcune affezioni inoltre, quantunque uccidano il malato od inducano fenomeni sensibilissimi ed importanti, verun mutamento si osserva nelle parti primariamente o secondariamente affette.

Ma essendo dimostrato che nell'economia animale non possono avvenire cambiamenti nelle funzioni, senzachè nelle parti che vi concorrono e le formano si verifichi una modificazione nella loro organizzazione, perciò i cambiamenti che la costituiscono, sebbene sovente impercettibili, mentre producono i ge nerali fenomeni di consenso o di propagazione, come si vuole possono divenire pure la causa dei successivi e sensibili mutamenti delle parti affette, che dipendentemente da queste modificazioni, cagionano quindi altri sconcerti ed altri morbosi fenomeni.

medicina italiana, occulta la vera sorgente dei propri lu. mi, attenda dall' imparzialità un severo giudizio.

Noi poi timidamente sottoponiamo al vostro parere queste riflessioni, che non osiamo considerare come censure ai principii di cui ci siamo occupati, ma come difficoltà che meritano di essere rischiarate,o proposizioni che richiedono un migliore sviluppo per dimostrarsi.

A Psaumide di Camarina, vincitore colla quadriga.

ODE OLIMPICA IV.

Argomento.

Invocazione a Giove, e proposizione (v. 12). Lode di Psaumide per la sua vittoria, splendidezza, e virtù (v. 13—29). Confermazione coll'esempio d'Ergino (v. 30-44). Quest' ode fu scritta l'anno primo della 82 Olimpiade, 452 av. G. Cristo, sessantottęsimo dell'età di Pindaro.

Te, che dall' arduo trono

I vanni infaticabili del tuono

Reggi e governi, o sommo Giove, invoco,
Poi che 'l tempo a te sacro or fe ritorno,
5 E dell'agon, che ogni altro agone avanza
Me fra i dolci inni e della cetra al suono
Testimone guidò. Se lieto evento

Dona agli amici la seconda sorte
Repente al caro avviso

10 Piove d'uom retto in cor grato contento.
Dunque, o Saturnio, o Sir della ventosa

Etna, che immane pondo

Su i cento di Tifeo capi s' aggreva,

Tu dalla mano delle Grazie accogli

15 Sacro a vittoria Elea quest' inno, o Name,
Questo d'ineluttabili virtudi

Non estinguibil lume.

Ei sul cocchio di Psaumide s'appressa,
Che della fronda Elea cinto le chiome

20 Fama a destar s'affretta

Di Camarina al nome.

A' novelli suoi voti arrida Iddio,

Ora che il canto mio

Di sue geste risuona. Egli alla gloria 25 Nudre alati corsieri, a tutti ei gode Schiudere l'ospital cortese tetto,

30

Ed accoglie nell'alma intatta e pura
Delle cittadi amica
Tranquillità secura.

Non di menzogna io tingerò la lode,
Speglio dell'uom son l'opre.

Queste dall' onte e dagli scherni acerbi
Delle Lennie donzelle

Sciorre il figliol di Climene potero.

35 Poi ch'ei dell'armi sotto il grave incarca
Nel corso vincitore

Ebbe del suo valor il premio colto
Ad Issipil rivolto

Quegli, disse, son io

40 Segno ai dispregi e al riso,

E pari all'agil piede ho core e mano.

Pria del confine ancora,

Che natura segnò si fa canuto

Nell' età giovanile il crin talora,

ANNOTAZIONI.

V. 11. Giove aveva tempio sull'Etna, sotto la quale dicono che sta Tifeo. V. Pind. Pyth. 1. Aesch. Prom.

v. 14. Le Grazie non solamente sono le Dee della bellezza e della leggiadria, ma presiedono ancora ai benefizj, che altri fa, e alla retribuzione de' medesimi. Quindi Fornuto de Nat. Deor. cap. 15. le chiama benefiche, e presidenti all'ospitalità. Si veda anche Diodoro Siculo lib. 5. cap. 73. Potè dunque Pindaro alluder qui all'ospitalità, che verso di lui usava Psaumide, ed alla quale egli rispondeva con quest' inno. Così il Gedike. L' Heyne per le Grazie intende le Muse, come nella prima Olimpica v. 48, e nella quinta Nemea v. ultimo.

v. 34. Ergino Orcomenio figlio di Climeno fu, secondo Pindaro, uno degli Argonauti. Approdarono questi all'isola di Lenno in tempo che Ipsipile figlia di Toante aveva stabiliti combatti

menti funebri in onore del padre defanto. Invitati anch'essi a dar prova del loro valore, Ergino fra gli altri si presentò pel cimento della corsa, che doveva farsi armati di scudo, elmo, e gambiere. V. Paus. lib. 6. cap. 10. Risero le donne di Lemno vedendo fra robusti giovani concorrenti lui, che essendo canuto pareva uomo d' età. Egli però superò tutti, anche Zete e Calai, che erano velocissimi, come quelli che erano figli di Borea. Anche Psaumide, benchè canuto, ottenne la vittoria.

Allo stesso Psaumide, vincitore col cocchio tirato dalle mule.

ODE OLIMPICA V.

Argomento.

Offre Pindaro alla Ninfa Camarina quest' inno (v. I-7). Loda Psaumide pe' benefizi fatti alla patria, e per le vittorie riportate ne' giuochi (v. 8-44). Fa voti pel medesimo (v, 45-62), L'ode fu scritta nell'anno stesso della precedente.

O figlia tu dell'Oceano, o Dea,
Delle virtudi più sublimi il fiore
Con lieto volto accogli;

Accogli il fior della corona Elea

5 Dono di Psaumi, e d'instancabil rote,

Cui le spurie bigeneri giumente

Guidarono alla gloria.

Egli la tua di popolo frequente
Città nudrice, o Camarina, accrebbe.

10 Egli d'onor devoto

Le sei fregiò de' Numi are gemelle
De' sacri al ritornar augusti giorni
Col sangue sparso de' bicorni armenti,
E cogli emuli stadj,

15 Onde nel breve corso

Degli onorati ludi

Triplice coglie combattuto serto

Or di lieve destrier premendo il dorsa,
Or su rapido cocchio,

20 O i corsier generosi,

O dei corsier le spurie figlie aggioghi.
Quindi d' Acròn (beato padre!) il nome
Per lui risuona, e la novella sede;
E quello, onde le chiome

25 S'adorna vincitore,

A te sacra di gloria almo splendore.
E mentre or fa dal disiato lido
Di Pelope e d' Enomao ritorno,
O Palla, o di città Diva custode,
30 Desta al tuo bosco il canto.

Nè adorna e allegra men di bella lode
Il patrio stagno e dell' Oàn la sponda,
E i sacri rivi, donde al popol' folto
L'Ippari versa la benefic' onda.
35 Ei d'altere magioni eccelsa selva
In breve tratto aduna,

E dall' angusta povertà le genti
Tragge alla luce di miglior fortuna.
Nell' alte imprese, cui periglio accerchia

40 A virtude fan guerra

45

Alto dispendio e fatica aspra ognʊra.

Ma del nome di saggio

Lui, che a felice evento avvien che aggiunga,

Il comun plauso della patria onora,

O Giove, o servator Nume possente,
Che su le nabi hai trono,

Che sovra 'l Cronio alberghi, e dell' Alfeo
La maestosa onori onda vagante,

E'l divin antro Ideo,

50 Io delle argute Lidie canne al suono
A te supplice movo, e d'inclit' opre
Chiaro ornamento a Camarina impoloro.
E a te, o di serto Eleo ricinto il crine,
O de' Nettunj corridori amante,

55 Psaumide, io prego a te fra vaga schiera
Di cari figli la canuta etade

Tranquilla t'accompagni

Fino all'estrema sera.

Ov' altri i doni di salute attinga

60 E copia d'oro aggiunga e dolce fama, Non d'esser pari agl'immortali invano Nudra l'ingiusta brama.

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