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mirato in molti luoghi di essa il criterio e il bel dire del censore; ma o sia in me seduzione di orgoglio nazionale, o dell'alta filosofia, che sembra più dignitosa sotto il manto di Melpomene; o sia veramente ragione, ho sentito dolore, considerando che l'Italia stessa tenta di abdicare quel sommo grado, che le conquistò con tante vigilie e

(Atti dell'accademia pistoiese, tom. I. Pistoia, presso Bracali 1808), per cui la patria e il genio delle scienze dolgonsi ancora colla morte acerba, che lo rapì nell'epoca, e nella età la più feconda di belle e grandi speranze.

In leggere l'articolo sopra citato, v'incontrai molti pensieri simiglianti a quelli da me già manifestati fino dall'anno 1806, e per vero dire, il mio amor proprio si compiacque in riconoscere che io combinava nelle massime letterarie di quell'anonimo, la di cui scrittura fa rispettabile per gusto, per giudizio, e per dottrina. E specialmente eravamo concordi nella opinione di non dovere il poeta drammatico secondare e blandire il gusto popo. lare quando falso o capriccioso si giudica dalla ragione. E parimente eravamo d'accordo nell'altissima venerazione che egli professa pel sovrano cantore dell'amor di patria e delle virtù cittadinesche; per quel creatore di nuova tragica scuola in Italia, che avea trovata cotanto ammolita dalla musica e poesia della debolezza e della frivolità; per quel genio trascendente, che cercò il bello drammatico nel bello intellettuale, che non ha le sorgenti nella rappresentazione delle consuete e volgari situazioni del sensibilismo, ma in quella del sensibilismo commosso dalla ragione.

Se vi piace, signor direttore, di onorare la mia memoria accademica di un posto nella vostra preziosa Antologia, darete per essa maggiore sviluppamento alle teorie del bello drammatico, che amerei d'insinuare nell' animo di tutti coloro che scrivono o giudicano opere serie teatrali, valutandole io quali mezzi efficacissimi a migliorare il gusto, il cuore, e il costume. Noi viviamo sventuratamente fra molte cause naturali di corruzione morale; e perchè vorremo aggiungerne delle artefatte, snaturando le istituzioni dirette a diffondere le utili virtù civili?

Io mi confermo rispettosamente

Firenze 15. Settembre 1823.

Dev. Servitore A. ALD. PAOLINI.

con tante battaglie la forza del genio, e la virtù poetica del tragico d'Asti. Pur troppo l'emule nazioni, invidiandoci le prime glorie nelle arti, nelle lettere e nelle scien

hanno spogliato, o tentato di spogliare il bel paese, col plagio, con la calunnia e con la violenza, di quasi tutti i doni delle muse e di Minerva.

L'ombre di Machiavelli e di Galileo, sono ancora irritate per la irriconoscenza e persecuzione dei contemporanei, e al loro magnanimo sdegno, volsi aggiungere anco quello di Alfieri, che appena oltrepassato il fiume inremeabile, ode a tergo una voce che lo esilia dal teatro, ove, a buon dritto, aspirava all'onore del principa to. Gli si nega l'apoteosi drammatica, perchè ha più inteso alla perfezione del suo genio, che a quella dell'arte; perchè ha parlato più all'intelletto, che al sentimento; perchè ha eccitato piuttosto le grandi passioni politiche, che i pianti della debolezza; perchè ha ardito elevarsi così altamente, che non può essere raggiunto dai voli ordinari; perchè ha tentato di migliorare il gusto pubblico, anzi che secondare ciecamente quello dei suoi contemporanei; perchè finalmente ha sacrificato spesso alla filosofia della lingua, il meccanismo della parola.

È questa, o signori e colleghi, l'analisi dei motivi, che hanno persuaso il dotto autore della coronata memo ria a giudicare il nostro tragico per eccellenza, un pericoloso modello di teatrali componimenti per i giovani artisti.

Io v'invito, o signori, per l'onore della patria comune, per l'interesse delle lettere, per la gloria del teatro, a ponderare nella vostra saviezza il giudizio solenne dell'areopago di Lucca, e a riproporre la causa del poeta filosofo, dopo di aver discusso separatamente i vari articoli che formano altrettanti dubbi contro il di lui merito nell'arte drammatica. Essi tutti si sostanziano in quei principi di ragione scientifica che ho raccolti nella me

moria laureata, e che ho avuto il dispiacere di annunziarvi, come altrettante violazioni dell'arte scenica imputate ad Alfieri, e per le quali si è creduto di concludere, che esse porterebbero alla rovina dell'arte, se fossero adottate come teorie e bellezze della tragedia.

Io ne scelgo intanto due sole, che mi sembrano fra le molte più interessanti. Vuolsi in primo luogo conoscere se vero sia il principio, che in fatto di gusto letterario, non si possa dal tribunale del popolo appellare a quello della ragione. Vuolsi in secondo luogo esaminare, se lo scrittore drammatico debba ciecamente servire al gusto dei contemporanei.

Io vi tratterrò brevemente in queste discussioni. Vi sia non discaro il mio zelo, e offerite di buon animo alla memoria di Alfieri, nell'attenzione che domando per esso, un tributo di stima e di riconoscenza.

Per decidere rettamente se le questioni sul gusto letterario sono della competenza esclusiva dei sensi o della ragione, o se hanno rapporti ineguali con gli uni e con l'altra, a me pare che rimontar si debba alla vera idea del gusto e del bello letterario, e che questa idea, non si debba attingere servilmente nelle definizioni dei retori, ma nella natura delle cose, che è sempre invariabile in fisica ed in morale. Considerato il gusto letterario nella sua essenza come principio agente, egli è una potenza dello spirito, che abbellisce l'opere del genio con le grazie della fantasia, e con le Veneri dello stile, che agiscono sopra i sensi. Le concezioni della ragione hanno d'uopo della mano dell'artista per essere, direi quasi, personificate, e sotto forme sensibili, eccitare nell' uomo più o meno suscettibile di questa eccitabilità, quelle forti e vivaci sensazioni, che sono le necessarie sequele del bello morale. La scienza de' mezzi eccitanti queste piacevoli sensazioni, si chiama nei respettivi casi, poetica, ed eloquenza; e nell' arte pratica di bene applicare questi

mezzi, si risolve l'analisi del buon gusto, o sia della cognizione e del sentimento del bello. Il gusto dunque è una specie di tatto privilegiato, che io inclinerei a crederlo più fisico che morale, e per di cui virtù l'uomo che n'è dotato, sceglie per istinto, tra i molti mezzi eligibili, quelli che sono i più analoghi alle circostanze, i più diretti al fine, e i più eccitanti idee nuove, chiare e

distinte.

Se tale è la natura del gusto attivo, eguale anche deve esser quella del gusto passivo. Se il gusto che crea, suppone un tatto privilegiato nell'uomo, per identità di teoria, anche il gusto che sente, suppone un tatto simile nell'essere che percipe, e che sente il piacere resultante dall'opere del gusto creatore. La cognizione del bello deve essere la prerogativa dello scrittore, e nel tempo stesso non può essere una scienza straniera a quelli che vogliono giudicarne.

In fatti il bello letterario essendo nelle idee, e non già nella testa materiale di chi le percipe, accade spesso che per mala disposizione della testa il bello non si sente, benchè esista nelle idee che si percipe; e quindi si accusa di imperfezione il gusto dello scrittore, in vece di riconoscere la malattia del proprio spirito.

Hanno quindi mal definito il bello morale e il gusto letterario coloro che lo hanno parificato al bello fisico, asserendo, che il primo, come il secondo, agisce sopra l'uomo grossolano del volgo, come sopra le persone di spirito ben coltivato; e che perciò le bellezze dello stile oratorio e poetico, per essere veramente tali, debbono sentirsi indistintamente da tutti, più per meccanismo, che per discernimento intellettuale. Costoro hanno dimenticato, che il bello letterario è una creazione del gusto letterario, e che non può esservi creazione se non per l'unione di certi e invariabili elementi, conosciuti dal gusto, che ha l'arte di combinarli, e i quali sono ag

graditi dal gusto, che ha la scienza per distinguerli. Que sta scienza, come tutte le altre, è un misto della natura e dell'arte, e non è mai il fisico sentimento universale degli uomini.

Anche quando si volesse ammettere, che certe bellezze dello stile fossero più sentite che intese perchè il piacere previene la riflessione, anche in questo caso il grado della sensazione resultante da questo bello, sarebbe relativo al grado della delicatezza sentimentale, e non comune ed identico in ogni organismo. Per bene intendere questa teoria, sviluppiamo in brevi parole la vera idea dello stile.

Il comune dei retori non metafisici ha fatto consistere il bello dello stile, più nel semplice meccanismo delle parole, più nell'arte di armonizzare i versi e i periodi, che nell' uso filosofico delle lingue. In quanto a me, la costruzione e la natura delle parole, è la parte esteriore dello stile componente quella chiarezza e dolcezza che sono gli elementi del bello fisico, che produce certe sensazioni amiche del cuore, le quali sono più sentite che definite dall' uomo pensatore e dal volgo.

Ma queste medesime sensazioni hanno un rapporto con le fisiche predisposizioni di quelli che sentono. Non in tutti indistintamente il tatto è sicuro, esatto il giudizio, ed eguale la potenza dell'armonia. L'orecchio degli antichi greci era più sensibile ai tuoni musicali, di quello sia attualmente l'orecchio degli italiani i più esperti nella misura delle proporzioni numeriche della voce. Gli organi dell'armonia, nei negri dell'Affrica, sono dotati di così rara eccitabilità, che le vibrazioni musicali dell'aria si veggono espresse in tutti i muscoli del loro corpo ignudo, che si atteggia sempre in concerto con la voce di un cantore, o con la corda di uno istrumento. Attesa questa differenza fisica nella intensità e nel grado delle medesime sensazioni, deve preferirsi dalla critica, nel conflitto

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