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Palacios in agosto del 1578, i quali furono legalmente rimessi al Feijoo dallo stesso padre generale dell'ordine, fra Iniago Feireras (6). « In uno di questi s' instituisce dal Ponce una cappelania, ed altre opere pie co' danari ricevuti dalla marchesa di Berlanga, e da don Pietro Velasco, e da altri principi e signori per avere loro insegnato a parlare quantunque nati fossero sordo-muti, e per averli resi capaci d'ogni istruzione che al grado lor conveniva ». Si fa una particolar menzione nell' altro delle molte cose che sotto la direzione del Ponce que❜sordo-muti imparavano: « parlare, leggere, scrivere, l'aritmetica, la dottrina cristiana, le lingue latina, greca e italiana, oltre la nativa spagnuola, fisica e astronomia storia patria e straniera, politica, e ogni genere di disciplina. Porgli in istato di diventare ecclesiastici e militari, e di entrare nel dominio de' beni e feudi paterni, erano i frutti della scuola del primo inventore di quest'arte, il religioso e modesto monaco Pietro Pance ». Alla autenticità di tali documenti si aggiunge ancora l'autorevole testimonio di vari illustri scrittori dello stesso secolo e della stessa nazione. Fra Giovanni da Castanizza nella storia della vita di s. Benedetto, facendo menzione della singolare virtù del Ponce ci dice: « che contro l'asserzione d'Aristotile, aveva egli scoperta per una vera filosofia la possibilità d'insegnare a parlare a' muti, e lo provava in un libro che aveva scritto su tal argomento, e che quei che umanamente non potevano udire, li faceva udire, parlare ed imparare la lingua latina ed altre, scrivere e dipingere, ed altre cose, come n'è testimone don Gaspero di Gurrea figlio del governatore d'Aragona suo discepolo, e alcuni altri (7). Che parimente non pochi sordo-muti appartenenti a

(6) V. Andres. I. c. Fey: T. 14. p. 95. Fabr. Giorn. de'lett T.53. (7) V. Niccolò Anto. Bibl. Hisp: T. 2. p. 1833. Roma 1672.— Andr. 1. c.

signorili e magnatizie famiglie, siano stati istruiti dal Ponce, lo attestano monumenti autentici da sè stesso lasciati (8), su'quali non può cadere eccezione, avuto riguardo alle sue molte ed eminenti virtù. È degno pure di esser letto ciò che si trova scritto a tal proposito in Ambrogio di Morales (9), conosciutissimo scrittore, il quale ci racconta: «< che il Ponce insegnò a parlare a due fratelli e ad una sorella del contestabile di Castiglia sordo-muti, e tra questi Don Pietro da Velasco, che non giunse all'anno vigesimo dell' età sua, recava maraviglia come egli avesse tante cose imparato. Oltre la sua lingua vernacola, parlava e scriveva in latino senza solecismi, e talvolta anche con eleganza, e scriveva pure con caratteri greci (10). Dallo stesso Morales viene riportato un biglietto scritto di propria mano dallo stesso don Pietro, in cui risponde alla domanda fattagli intorno a quell'arte e alla forma con cui egli l'aveva trovata così utile. Soggiunge in fine, « che non sembra sia stato mai stampato quel libro, che il Castanizza aveva detto essere stato scritto su quest'arte dal Ponce (11) ». Oltre i già mentovati ed altri scrittori di quell'età che vanno per le mani di tutti e che si trovano quasi da per tutto, (12) anche il rinomatissimo Niccolò Antonio nella sua biblioteca spagnuola (13), lasciò scritto

(8) V. Andr. 1. c.

(9) In descript. Hispan. fol. 38. Andr. I. c. Nic. Anton. 1. c. (10) L'Andres traduce,, e che scriveva altresì in greco. A me sembra però che passi molta differenza dallo scrivere in greco allo scrivere con caratteri propri della lingua greca. Di sopra ha detto lo stesso autore. . . . scribebatque latina... (lingua) e scriveva in latino.

(11) Il Perez dice che il Ponce non pensò mai d'insegnare ad altri quest' arte. Ma è più facile che sia caduto in errore il Perez, più moderno del Castanizza; può scusarsi però non essendo mai venuta alla luce l'opera del Ponce.

(12) Andr. l. c.

(13) Art. Petrus Ponce.

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che fra Pietro Ponce monaco benedettino del convento di s. Facundo (volgarmente sahagun ) nel secolo passato trovò l'arte d'insegnare a' muti a parlare, scrivere, la grammatica e la lingua latina, la qual cosa Aristotile (1. 4. de hist. animal. c. 9.) per natura essere cosa impossibile giudicò. Ma il nostro monaco, con metodo filosofico, e quello che molto più importa, con l'espe rienza, dimostrò il contrario». Il sin qui detto ci sembra bastevolmente provare che la notizia della invenzione del Ponce e la fama de' suoi prodigiosi sforzi non poteva fare a meno di propagarsi, non tanto per la novità del feno. meno, quanto ancora per la nobiltà e grandezza de' personaggi che egli istruiva. Che se poi hanno parlato di questa invenzione medesima vari conosciutissimi scrittori di que'tempi, se il Ponce secondo i documenti che abbiamo già riportati e che da molti anni in qua son pubbli cati nell'opera assai comune del benedettino Feijoo (14), rendeva così abili e così eruditi i suoi allievi, non sappiamo comprendere come mai i posteriori scrittori i quali di quest'arte han trattato, non parlano punto nè poco Ponce, e come gli Enciclopedisti assai superficialmente, per non dir con disprezzo, ne ragionano rapporto soltanto all' invenzione dell'arte d'insegnare a' sordu-muti a par lare, notando unicamente che un certo religiosa, ( ed è credibile che sia Pietro Ponce spagnuolo) abbia inventato l'arte di dare a' muti la parola, non citando che il Wallis e l'Amman, e nessuna differenza facendo tra essi e il monaco spagnuolo, che oltre ad esserne stato l'inventore, andò anche più innanzi di loro.

del

Agli scrittori che hanno fatto menzione del Ponce, si aggiungono dall' Andres anche il medico Stefano Rodriguez de Castro, ed il cav. Digby. Egli è d'opinione che ne abbia parlato il primo nel suo commentario al libro

(14) Andr. l. c.

7

d' Ippocrate (de alim. sect. a.), ed il secondo nel suo trattato della natura de'corpi (c, 28. n.° 8.). Ma ci sembra che non possa avere gran peso questa sua asserzione, per quanto almeno si conosce dal contesto de' due mentovati scrittori, e dal confrontare le diverse epoche loro con quella del Ponce. Il Rodriguez (15) nella citata opera stampata in Firenze nel 1635 così si esprime: « Mihi relatum est ab illustrissimo equite Puteano redeunte ex Hispania illic nuperrime artem inventam esse, qua istiusmodi muti docentur loqui, immo esperimento fuisse comprobatam: ipse vero librum de hac arte afferebat, quem mihi ostendere non potuit, quoniam eum cum reliqua suppellectile in navigio Romam transmiserat». Ora chi oserebbe affermare che il Rodriguez qui parlasse del Ponce? Se egli avesse avuto in animo di parlarne, non lo avrebbe forse personalmente nominato, giacchè per il corso di circa 25 anni era stato suo contemporaneo? Il Ponce aveva già compiuta la carriera di questa vita mortale nel 1584, e il Rodriguez passato in Italia dopo il 1586, fu nominato professore della università di Pisa nel 1617, e pubblicò in Firenze il suo commentario, come abbiamo veduto, nel 1635. Nello spazio dunque che rimane tra queste due epoche, seppe il Rodriguez dal cav. dal Pozzo reduce dalla Spagna «< illic nuperrime artem inventam esse, qua etc: »> l'espressione pertanto nuperrime non può sicuramente riportarsi ad un'epoca assai più remota (16)

(15) Nacque a Lisbona nel 1559, o come vogliono alcuni nel 1562. Si laureò nel 1586; passò in Italia, e fu professore in Pisa con l'onorario di sc. 700. Occupò la sua cattedra per lo spazio di anni 22, morì nel 1637 secondo alcuni, secondo altri nel 1640. Fu stimato assai come poeta molto più che ordinario, e come buonissimo filosofo; come medico poi fu chiamato la Fenice della medicina. V. Fabbr. Ist. dell'Accad. pisan. T. II. Biografia. univ. ed altri.

(16) V. i due già riportati pubblici istrumenti legalizzati dal notaro Giovanni Palacios in Agosto 1578.

qual' è quella anteriore al 1584, nel qual tempo cessò di vivere il Ponce. Quanto poi al libro che dalla Spagna avea portato seco il dal Pozzo, neppur questo noi crediamo che appartenere possa a fra Ponce, poichè abbiamo già veduto, che secondo il Morales, il libro di cui parla il Castanizza, come scritto dal mentovato Pietro Ponce, sembra che non abbia mai veduto la luce, nè sappiamo che in seguito sia stato mai pubblicato. Noi per questo inclineremmo a credere che il contesto del Rodrigues sia da riferirsi al Bonet anch' esso spagnuolo, e nou al Ponce, e che il libro il quale aveva portato seco il dal Pozzo appartenesse al Bonet medesimo, da cui era già stata pubblicata un'opera ad istruzione de' sordo-muti nel 1620, epoca compresa fra il 1617 e il 1635, ( nel qual tempo fu professore il Rodriguez a Pisa) e alla quale come più prossima si possono naturalmente riferire le espressioni nuperrime artem inventam esse etc.

Quanto poi all'avere l'ab. Andres opinato che il cav. Digby parli del Ponce nel surriferito capitolo del trattato della natura de' corpi, noi vogliamo credere che sia stato indotto in tale opinione dalla traduzione che fe e il Lanis, non già per intiero, di quella parte che ri guarda il nostro soggetto, e dall' Andres stesso trascritta nella citata lettera alla sig. Parreno, avendo egli omesso, per quanto sembra, di consultare l'autore nel proprio originale. Che se usata avesse una tal diligenza, sarebbesi egli assicurato che nel Digby, come nel Rodriguez, non s'incontra neppure una volta il nome del Ponce, e solamente vi si legge che « un certo monaco spagnolo si offerì ad insegnare non solo a parlare, ma anche ad intendere le parole degli altri al fratello minore del contestabile di Castiglia, sordo-muto dalla nascita in modo, che non udiva neppure una bomba sparata vicino alle sue orecchie ». La narrativa di questo fatto è in contradizione con quello riferito dal Morales, che realmente

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