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tiquattro parte uguali, ma credeva, prendendo per vere le longitudini assegnate all' India da Marino di Tiro e da Tolomeo, che tra il confine orientale dell'India conosciu ta da Marino e da Tolomeo e l' isole Azore, vi corresse solamente la distanza di otto parti o d'un terzo della sfera, e che siccome Marino e Tolomeo non conoscevano tutta l' India, bisognava diminuirne la distanza; e ne concludeva, che se lo spazio intermedio era un oceano, si dovrebbe attraversarlo in pochi giorni, andandovi per la via di occidente, e se era terra, si dovrebbe scoprirla anche prima. Lesse in Etesia, che l' India è grande quanto il resto dell' Asia, in Onesicrite ed in Nearco che è la terza parte del globo; quindi concluse, che l' India era realmente vicinissima alle isole del Capo verde. D'altronde valutava con Alfagrano i gradi della sfera solamente a cinquantasei miglia e due terzi, con che diminuiva la distanza fra l'India e le isole del Capo verde di un altro quindicesimo, e ne concludeva che troverebbe l'India nella prima terra, in cui s'imbattesse all' occidente. Lesse in Averroe ed in Alfagrano, che si può passare da Cadice all' India in pochi giorni; in Pietro d'Aliaco e in Giulio Capitolino, che l'India e la Spagna son vicinissime, e che secondo Plinio si può navigare in pochi giorni tra la fine dell' Affrica occidentale, ed il principio dell' India. Lesse, le relazioni di Marco Polo e di Giovanni Mendeville, i quali estendevano l'Asia molto più all' oriente che Tolomeo e Martino; e quindi nella carta che mandò a Paolo Toscanelli, pose solamente ventisei spazi di 250 miglia fra Lisbona e Quinsai, e solamente dieci fra l'isola Antilia e il Giappone. D'altronde sull' autorità de' dotti del tempo credette, che dal confine della Spagna al confine del I'India troverebbe molte isole, alle quali si potrebbe arrestare al bisogno; e le relazioni di Vincenzio Martin, di Pietro Correa, dei navigatori delle Azore, d'Antonio di Leone, il viaggio di Diego di Tiene in cerca dell'Antil,

la, i racconti di Pietro Velasco, e le relazioni del viaggio di Vincenzio Dias, lo confermarono nella sua opinione. Con tanti argomenti per credere fermamente che giungerebbe in pochi giorni nell'India, Colombo non aveva bisogno di un cuor di leone per tentare la scoperta; doveva piuttosto armarsi di pazienza infinita per soffrire in pace il rifiuto di D. Giovanni re di Portogallo, e il primo rifiuto di Ferdinando e d'Isabella ».

Noi non crediamo che sia intenzione dell' imparzial nostro autore di attenuare con tali riflessioni il vero merito di Colombo, che consiste appunto nell' essersi servito dei progressi fatti fino al suo tempo dallo spirito umano, quali essi erano, per avanzarsi nella carriera delle nuove invenzioni, e non fu la sua la prima nè l'ultima ipotesi erronea, sulla cui base i grandi ingegni hanno scoperte utilissime verità.

Un coraggio straordinario, se così vuolsi, non gli si accordi per avere tentata la già preveduta scoperta, ma si riconosca il di lui petto cinto del triplice bronzo oraziano quando si accinse all'esecuzione del progetto, quando in mezzo a' suoi pallidi ed insubordinati compagni, che volevano gettarlo in mare, o a forza ricondurlo in Europa, non cambiò d'aspetto nè di linguaggio, e promise fra tre giorni di scuoprire terra; presagio, che per bene di lui e di tutto il genere umano volle la Provvidenza che si avverasse. Che se un mal inteso spirito municipale avesse lasciato scorrere dalla penna del nostro autore una sì poco misurata espressione, noi non potremmo sentire senza dispiacere che le questioni private fra una provincia ed un' altra arrechino veruna ombra alla gloria universale della penisola.

I viaggi fatti per trovare al nord ovest un passaggio dall' Atlantico al Pacifico, l'ultimo de' quali è quello del capitano Parry, terminano la enumerazione di dette scoperte. Il nostro autore crede provata l'esistenza della co

municazione fra i due mari, perchè fin dal 1653, quando naufragò Stamel sull' isola di Quelpaert presso la Corea, prendevano verso le coste del Giappone un gran numero di balene, che portavano addosso i ramponi dei pescatori francesi ed olandesi. Le balene dunque girano abitualmente dall'Atlantico al grande oceano orientale, e sicuramente non vi vanno, come i nostri navigatori, per capo di Buona Speranza, nè per il capo Horn.

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Ma conclude con molta ragione che « l'oceano artico per cui viaggiano le balene, non sarà mai navigabile per i nostri grandi bastimenti di commercio, finchè il sole non cangierà di carriera. E i nostri speculatori non acconsentiranno mai ad affidare i tesori dei due mondi ad un oceano

nel quale ogni passo è un naufragio; e i nostri marinari non acconsentiranno mai a girare per quei paraggi abborriti dalla natura, ove un viaggio è un eterno supplizio, e il minor male la morte. Quando non si voglia riportare il commercio tra l'Europa e l' India al suo antico nido, all'Egitto, bisognerà continuare a tener la lunghissima strada del capo di Buona Speranza, e quella anche più lunga del capo Horn, finchè non si trovi un mezzo diretto di comunicazione nei fiumi dell' America superiore. E chi sa, che al nostro secolo non sia riserbato a vedere una nuova Alessandria ed una nuova Berenice in America ».

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Sono degni di esser distinti ancora in questo volume gli articoli sopra i ghiacci dell' oceano artico, sopra dell'oceano poli abitatori della Siberia, come ripieni di erudizione profonda, e di giudiziose osservazioni. Lodevole pure è ciò che si dice riguardo al gran Lama, ed intorno alla definizione della parola steppe adoperata talvolta abusivamente ed impropriamente da alcuni geografi come sinonimo di deserto, quando significa pianura abbondante d'erbe.

Ma questo passaggio che fa il nostro autore dall'Asia all' America, dal vecchio al nuovo continente, questo

voltar di nuovo le spalle all'Europa, mentre dai monti Urali era ovvio il passaggio a Pietroburgo, ci fa curiosi di sapere la causa, per cui egli tiene quest' ordine inverso al desiderio comune di conoscere prima degli altri il paese che abitiamo. La sagacità, e il retto raziocinio a noi ben noto del sig. Pagnozzi, non ci fa dubitare che il di lui motivo sia ben fondato: solamente desideriamo, ch' ei voglia farne in qualche modo consapevole il pubblico e gli associati, che prendono tanto interesse per questo veramente italiano lavoro. F. G.

Lettera del sig. G. R. Pagrozzí al Direttore dell' Antologia.

Incomincio dal rendervi distinte grazie per la maniera veramente cortese, con cui vi siete compiaciuto di render conto della mia opera in tre articoli del vostro giornale, e vi prego poi di gradire l'attestato sincero della mia riconoscenza per i soccorsi che mi avete accordati, onde migliorare il lavoro, ponendo a mia disposizione tutti i giornali letterari, le collezioni di carte, e l'opere geografiche e statistiche, delle quali è fornita la vostra biblioteca.

La mia opera, lo sapete bene, era scritta originariamente per i giovani studiosi, i quali poco sodisfatti delle cognizioni acquistate nelle scuole, imparando meccanicamente a memoria e per poche ore una lista di città, di fiumi, di monti, che si chiama compendio di geografia, volessero istruirsi nella scienza più estesamente e con maggior frutto. In Lombardia fu creduto da qualche dotto e da qualche librajo, che avessi scritto per le scuole, e si fecero le meraviglie che io avessi pensato ad introdurre nelle scuole un' opera di dieci volumi. Ed anch' io feci le meraviglie che mi si fosse attribuita una idea così stravagante. Il fatto sta che l'opera non è andata nelle scuole, ove non doveva andare, nè fra le mani dei giovani studiosi per i quali era destinata, e i quali per ora e i quali per ora non si curano di leggere libri geografici, benchè parlino, o pretendano di parlare di geografia nei caffè e nelle conversazioni; e con qual buon sen'so! I dotti per i quali non era scritta, l'hanno invece accolta generosamente, ed hanno incoraggito l'autore a continuarla. E

l'autore riconoscente, sapendo bene che il lavoro nel suo primo getto non era tale da interessare i dotti, si è fatto un dovere di rifonderlo e di migliorarlo. E di ciò vi sarete bene accorto confrontando il primo volume cogli altri. S. A. I. e R. si è degnata di accordarmi la permissione di frequentare la sua privata biblioteca, ricchissima in ogni genere di sapere, e straordinariamente ricca in viaggi, giornali geografici, opere statistiche, in tutto ciò che può inspirare il gusto per la scienza. Questo nuovo e prezioso soccorso non sarà gettato, e ne avrete una prima prova nella descrizione dell' America.

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Si sarebbe desiderato che avessi incominciata la descrizione dall' Italia piuttosto che dall' Asia. Questo desiderio è degno dei buoni Italiani. Ma la mia situazione particolare non mi permetteva di aderire al desiderio dei più, e sono obbligato in proposito a dir due parole per mia giustificazione. Potrei rilevare, che lo scrittore d' una geografia universale non è più Italiano che Americano, e che descrivendo tutta la terra cessa di appartenere ad una sua parte, e il suo dovere è quello di dare ad ogni parte del globo quel posto, che le accorda la natura, non quello che le assegnerebbe il suo cuore; che l' Asia è la cuna del genere umano la cuna delle scienze e dell' arti; che quando gli uomini fondavano Babilonia nel moderno impero turco, l'Italia era un deserto, e che i suoi abitanti, le sue piante alimentarie, i suoi lumi vennero dall' Asia. Qual diritto avrebbe la tarda nipote ad esser preferita a quella prima madre delle nazioni? Ma tutto ciò poteva dirsi da tutti i geografi del mondo, ed io aveva un altro motivo più incalzante per non trar principio dall'Italia. Si ha un bel dire : scrivete la geografia dell' Italia. Con quali materiali? Che sappiamo noi dello stato presente di questo bel paese? Chi si è mai presa la pena ai nostri giorni di fare un giro per l' Italia, non già volando come gli oltramontani per le città grandi, ma fermandosi egualmente in ciascuna città, in ciascuna grossa terra, in ciascun borgo, per informarsi della sua popolazione, dell'industria dei suoi abitanti, per valutare l'importanza d'ogni ramo d' industria, per conoscere le produzioni importanti del suo territorio, i progressi dell' agricoltura, le relazioni commerciali tanto coll' estero che colle provincie vicine? Doveva io come i compilatori di compendi e di dizionari geografici copiare ciò che ne dicono i vecchi libri, senza critica e senza discernimento, e contribuire così a perpetuare i vecchi errori, ed a moltiplicarli, giacchè in geografia ciò che era vero venti anni

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