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HARVARD COLLEGE L

FEB 13 1907
CAMBRIDGE, MACC

The Society

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Chiamato dal mio ufficio a riepilogare i lavori dell' Accademia di Scienze Morali e Politiche nel passato anno, comincerò dallo esporre i lavori della Sezione di Scienze filosofiche. Essi son due l'uno si aggira nelle più alte sfere del pensiero umano; l'altro si affatica a risolvere anche dal punto di vista della speculazione filosofica il più importante problema che agiti attualmente la società italiana; l'uno è una Memoria del socio Bertrando Spaventa su'limiti della cognizione. L'altro è una lunga trattazione del socio Augusta Vera sulla celebre formola del Cavour Libera Chiesa in libero Stato.

Il socio Bertrando Spaventa prende a trattare la quistione dei limiti della cognizione con indagini non certamente empiriche nè psicologiche, ma con indagini puramente metafisiche.

Egli si propone dimostrare che nella essenza di Dio non v'ha nulla che non si manifesti, o da cui non resulti qualche cosa per modo che essa non è altro che la ragione ultima di un risultato eterno che è appunto l'idea del mondo; e questa essenza è assolutamente ragione, e come tale è assolutamente conoscibile. A tal uopo il socio Spaventa propone il seguente dilemma: O l'essenza di Dio, la quale è l'oggetto vero è finale della cognizione, è più che l'ultima ragione delle cose, o essa non è altro che l'ultima ragione delle cose. Il primo caso dice egli non può esser conceduto. E a dimostrare che sia così, egli comincia dallo affermare che gli stessi filosofi e teologi che lo ammettono riconoscono l'essenza di Dio come il prototipo negativo dell'essenza del mondo; e il prototipo anche negativo è sempre ragione. Ma poi soggiugne che il concederlo mena ad assurde conseguenze. La prima è che quel di più della ragione ultima sarà sempre inconoscibile, perchè se fosse conosciuto cesserebbe d'essere un dippiù, perchè conosciuto dallo spirito non trascenderebbe la natura di esso che fa parte del mondo, e però non trascenderebbe l'ultima ragione del mondo. Nè vale il dire che lo spirito se non conosce in questa vita quel dippiù lo conosce nell' altra; perchè l' altra vita è il compimento e la verità di questa, e Dio creando lo spirito avrebbe pur sempre mirato a quel dippiù; sicchè questo entrando nel disegno della creazione non sarebbe il dippiù quale lo si suppone. Oltre a ciò per avverarsi la conoscibilità di esso nell'altra vita fuori del disegno della creazione bisognerebbe supporre che Dio tramuti sostanzialmente in questa o nell'altra vita la natura dello spirito, e questo tramutare è pure una seconda creazione, sicchè il dippiù non trascenderebbe la creazione in generale. E se l'uomo conoscesse quel dippiù, l'essenza di Dio sarebbe assolutamente umana e questo importa negare che sia alcun che di più dell'ultima ragione delle cose. Il cristianesimo (dic'egli) con la sua formola del Dio fatto uomo, ha appunto questo significato che Dio è assolutamente conoscibile, e in lui non ci è niente d'inconoscibile. E di vero che sarebbe lo spirito se non conoscesse ciò che è, quando questo sapere è la stessa sua essen

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