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Non vi sarà grave (l'ho di certo) che io cominci quest'anno la narrazione dei fatti della nostra Accademia dal mandare un saluto di dolore alla tomba di Michele Baldacchini. Egli fu dal 1862 uno dei più operosi tra' soci della nostra Accademia; ne fu pure Presidente; e voi tutti rammentate le parole affettuose con che egli inaugurava or è un anno questa nostra generale adunanza.

Michele Baldacchini nacque in Napoli agli 11 di febbraio del 1803 e mancò ai viventi nel giugno del decorso anno. Egli ebbe ingegno letterario ricco di molte doti, e congiunse lo studio delle lettere amene alle severe investigazioni della scienza. Scrisse eleganti Novelle e versi italiani che furon da molti commendati. Belle pagine e degne di ammirazione furon quelle da lui dettate sulla storia della rivoluzione fatta dai napoletani nel 1547 per l'avversione al terribile giogo del Tribunale dell'Inquisizione. Ol

tre a questo egli pubblicò uno eccellente lavoro sulla rivoluzione di Masaniello, commendato dal Nicolini e dal Giordani. Ma la Storia della filosofia italiana deve pure al Baldacchini un'accurata monografia sulla vita e sulla filosofia di Tommaso Campanella; e non è al presente chi non sappia quanto tesoro di profonda speculazione filosofica si acchiuda nei volumi del frate generoso che con lunghi anni di torture espiò il delitto di avere amato la patria. Altri lavori di Storia della filosofia raccomandano il nome di Michele Baldacchini; essi furono lo scritto sullo scetticismo e l'altro sulla filosofia dal Kant in poi, come quelli che possono servire ai giovani come primo transito dalle amenità letterarie alle severe investigazioni della scienza, perchè oltre ad una eletta maniera di esposizione vi s'accoglie un sapere nudrito fino ad un certo punto dell'ambiente della scienza contemporanea. E non restando mai dallo assiduo affaticarsi, parecchie dissertazioni egli lesse in seno all'Accademia nostra, ora illustrando la filosofia dei nominalisti, ed ora rilevando le intime connessioni che stringono agli studi filosofici gli studi letterarii. Egli è intanto mio debito il ragionarvi più distesamente di due ultimi lavori letti l'anno scorso in seno dell'Accademia, e co'quali si chiuse la sua vita.

Nell'uno e'pigliava occasione dalla perdita di un robusto ingegno napolitano, cioè di Stanislao Gatti che fu valoroso cultore ad un tempo e degli studi filosofici e degli studi filologici per discorrere dell' utilità ed importanza dello studio della lingua nella filosofia. E innanzi tutto egli intendeva a mostrare l'intimo accordo che è tra la filosofia e la lingua. La lingua (diss' egli) è una specie di ragione parlata immediata e spontanea, nè men certa perchè spontanea. Gli antichi (soggiunse) diceano sapienza somma il dare i nomi alle cose. E il Vico con la sua filosofia trascendente aprì largo campo agli intelletti. E quì si chiudeva il suo scritto con uno schizzo biografico del Gatti, mostrandovisi come questi ad una con altro eletto ingegno morto in età giovanile, cioè il Cusani, non solo coltivò la filologia in maniera svariata, ma si giovò di essa per dare alla filosofia in Napoli maggiori esplicamenti che essa non avea avuti dal Galluppi.

Nell'altro suo lavoro Michele Baldacchini presentò i suoi stu

di intorno ad una teorica del linguaggio segnatamente applicandola alla lingua italiana. Cominciò egli dal mostrare che l'idioma nazionale nell'età sua più virile e robusta espresse più le cose che l'astrazione delle cose, onde si ha che a'buoni italiani antichi il problema della cosa in sè stessa dovè parere meno arduo problema, sicchè la filosofia degli Italiani dovè sempre esser volta al pratico ed al positivo, come lo addimostrano il Machiavelli e il Galilei. La lingua francese, dic'egli, tolse l'inflessibilità del suo costrutto dalla sua filosofia soggettiva; dove che l'italiana è a tenersi più come l'ultima delle lingue dotte che come la prima delle lingue vive, derivando da fonti più antichi di filosofia tutta obbiettiva anteriore a Cartesio. Paragonando poi l'italiano al tedesco il Baldacchini propugna l'opinione del Leo che il tedesco riveli la tenace meditazione, l'italiano la somma facilità del concepire, sicchè nell'italiano regna la spontaneità, dove che nel tedesco domina la riflessione. Viene di poi ad allegare alcune voci e frasi antiche più filosofiche, desumendo le recondite ragioni di essere delle medesime; nè tralascia di mostrare i legami che stringono le lingue scritte alla parlata, segnatamente nel dialetto toscano che è il fondamento della lingua familiare. Di quì scende a disaminare l'uso dei proverbi che sono l'opera della tradizione orale di tutta una filosofia, ma che non han nulla di comune con la lingua parlata, essendo essi una dottrina appresa senza giudizio, mentre la lingua parlata è cuore e non mente, ed ha per essenza propria la spontaneità. Da tutte queste cose il Baldacchini desunse essere erronea l'opinione che nelle lingue non entri punto filosofia. Invece (disse egli) tutto nella lingua si spiega con la buona filosofia. Se non che non tutto si spiega col più stretto ragionamento, a cagione di quella parte che ha irrevocabilmente il popolo nell'opera della formazione della lingua.

Il socio Tari lesse in due Tornate una sua Memoria sullo stile riguardato come espressione compiuta della individualità artistica. La Memoria ha tre parti. Nella prima si desumono le differenze organiche di tempo, di luogo, e si cerca dimostrare che

p. e. la forma del Ramayana e quella dell'Edda, quella di Sofocle e quella di Shakspeare sono del pari legittime agli occhi di una critica filosofica. Nella seconda si pongono come qualità centrali di uno stile normale la chiarezza, la efficacia, la eleganza. La chiarezza pare all'A., la perfezione intellettiva, la efficacia la perfezione affettiva, la eleganza la perfezione di ornato o il lenocinio solo possibile della bella forma. Nella terza parte finalmente si discutono le conseguenze dell'ottimo stile, e si fanno consistere nell'adequata rispondenza di esso a'varii usi del pergamo, della Cattedra, della Tribuna, cioè al variare degli ambienti religioso intellettivo politico, principali accenti dell'artistica individualità. La conclusione di tutto ciò è che lo stile perfetto è sempre monumentale e lapidario perchè in esso la persona dell'artista si realizza compiutamente.

Poco prima che scoppiasse il terribile uragano politico della guerra franco-prussiana che travolse un Impero, e con esso il potere temporale di cui era l'unico sostegno, Pio IX avea chiamali i Cattolici a Concilio per venire alla risoluzione che l'infallibilità del Papa sia dogma incontrastabile. In tale rincontro uno dei nostri soci, il Tulelli, si avvisò far materia di accurata disamina l'infallibilità, considerandola nella triplice sfera della scienza, della politica e della religione.

Egli premette poche avvertenze generali. L'infallibilità (dic'egli) non è da considerarsi altrove che nella sfera degli esseri personali e liberi, e la nozione della infallibilità importa in essi l'impossibilità dell'errore, e l'impossibilità del peccare, l'una che può dirsi infallibilità teoretica, l'altra infallibilità pratica; chè anzi la vera infallibilità include entrambe le specie. L'infallibilità pertanto importa perfezione assoluta, epperò scienza e rettitudine assoluta, attributi che si appartengono a Dio solamente. Ma sebbene nessuno creda all'infallibilità umana, sicchè vien fuori lo spirito scettico, di rincontro a questo sorge pure lo spirito dogmatico, per cui la ragione umana ora in senso assoluto ora in senso relativo si afferma possedere l'infinita potenza del vero e della libertà.

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