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ca dello spirito umano. Lo Stuart-Mill, lo Spencer, il Bain il Littrè avvisano non doversi con la vecchia psicologia contemplar l'anima in sè, ma studiandola nelle opere della sua vita intellettuale e morale, non doversi adoperare altro metodo che l'induzione, come si fa nelle scienze naturali e senza darsı pensiero di ricercare le cagioni, fermare rapporti e determinar leggi. Questa scuola ha le sue prime radici nella teorica di Davide Hume su' fenomeni della vita morale. Quel filosofo spiegò con l'associazione delle idee e con l'abitudine sì l'origine delle idee razionali e degli effetti naturali, sì l'origine degli atti volontarii ai quali si appone la nota del libero arbitrio.

Egli è forza riconoscere (dice lo Stuart Mill), che l'associazione è la teoria vera della produzione dei fenomeni dello spirito e che però sarebbe antifilosofico il cercarne altra spiegazione. Insomma la scuola sperimentale a spiegare il giuoco dell'attività volontaria ricorre ad una associazione di feno meni l'uno dei quali determina fatalmente l'altro come nel giuoco delle forze naturali. Sicchè il problema del libero arbitrio diventa una quistione di legge fatale ed inevitabile. La volontà libera è un effetto senza causa, cioè un mistero, che non è scientifico ammettere, come non è scientifico ammettere l'essere innate talune idee, e la necessità logica di alcuni principii. Lo Stuart Mill nel suo scritto Sulla filosofia di Hamilton dice cosi: «I deterministi affermano come una verità di esperienza. che nel fatto le volizioni sono consecutive ad antecedenze morali con la medesima uniformità, e, quando noi abbiamo una cognizione sufficiente delle circostanze, con la medesima certezza con cui gli effetti fisici sono consecutivi alle loro cagioni fisiche. Queste antecedenze morali sono desiderii, avversioni, abitudini, disposizioni combinate con circostanze esteriori proprie a mettere in azione gl'interni moventi. >>

E con tutta la scuola che nega il libero arbitrio egli adduce due dimostrazioni della sua tesi. L'una è la possibilità di prevedere le azioni che diconsi volontarie con un grado d'esattezza proporzionato alla cognizione che abbiamo dell' indole e dello spirito degli agenti, e con una certezza che gareggia con quella della previsione dei movimenti di agenti puramente GIORNALE NAPOLETANO VOL. III.

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fisici. L'altra è quella dei risultamenti statistici sempre costanti sovra numeri tanto grandi da eliminare le influenze particolari e trarne in forma d'induzione baconiana la negazione di ogni spontaneità libera nel dominio della volontà. «I motivi hanno sulla volontà umana la medesima potenza che le cagioni patologiche sul corpo umano (Rev. de phil. posit. 1 Sept. 1868). E soggiugne: L'oscura impressione del bisogno di muoversi inerente al sistema muscolare è trasformata dalle cellule cerebrali in volontà, che in seguito, secondo la educazione privata e secondo la educazione pubblica e sociale, prende tutte le compli cazioni intellettuali e morali. Onde la volontà non è un libero arbitrio. La prevalenza del più forte motivo, stabilita dalla regolarità delle azioni umane nel corso ordinario della vita e dalle statistiche morali nelle condizioni eccezionali, è del pari stabilita dall' analisi fisiologica.» E continuando il medesimo scrittore aggiunge: «non solo il libero arbitrio non sussiste ma pare inintelligibile e contraddittorio; col libero arbitrio l'inintelligibilità è dappertutto; per contro tutto diviene coerente e senza contraddizione con l'azione dei motivi, col conflitto fra essi, con la vittoria del più forte. »>

Ed il Löwenhardt nel suo libro Sulla identità delle leggi morali e delle leggi naturali dice: «Il volere è non altro che appetito o istinto, ma in sè non esiste; ed un volere libero è un non ente; e quando l'uomo opera contro le sue tendenze e i suoi impulsi, ciò non avviene per libero suo proponimento ma per altro eccitamento preponderante, e però determinante ».

Così di contro alle grandi tradizioni morali del genere umano insorse per più vie il determinismo, ora fondandosi nell' unità ed identità della sostanza, ora affermando che i fenomeni psichici si riducono a fenomeni cerebrali, che la cellula pensa, che la volontà non è altro che una specie di movimento riflesso dell' attività cerebrale, che il libero arbitrio è una illusione, che infine tutto rientra per la vita psichica come per il rimanente in quella gran legge della natura che chiamasi il determinismo universale.

A questa duplice via se ne aggiunse da ultimo in Germania

una terza che è quella degli insegnamenti dell' Herbart e dello Schopenhauer. Per il primo di essi l'io individuale sorge come risultamento di un complesso di nozioni sensibili, tutti i processi psichici di esso seguono una regolarità generale e debbono operare come espressione delle medesime. Onde non possiamo eleggere ad arbitrio le nozioni sensibili, le quali debbono apparire nella coscienza in virtù di leggi immutabili di riproduzione ed associazione, che anche il più forte volere non può trasformare; e mentre all' arbitrio non rimane alcuna parte, il principio dell'operare libero si fonda sovra una illusione, essendo il volere dell'uomo non libero dal concatenamento delle cause ma determinato da una interna necessità. L'altro ritiene ogni operare umano come necessariamente ed immutabilmente determinato nel concatenamento dei motivi e delle conseguenze; e mentre attribuisce agli uomini la determinazione elettiva, dice che la elezione è per essi un tormento, e la riflessione umana, schiava del principio della ragione e delle conseguenze, non ingenera altro che il dolore del tentennare.

Possiamo noi accettare questa maniera d'intendere la volontà umana? Possiamo noi considerare come legittima la scienza del Diritto penale, se questo determinismo come suol esser chiamato al di d'oggi contiene una verità irrecusabile? I legislatori farebbero opera vana a proibire i delitti. Forse ci si dirà che sebbene fatalmente costante il numero rispettivo de' vari delitti pure i legislatori non fanno opera del tutto inutile quando somministrano agli individui col timore della pena motivi per rattenerli dal perpetrare quelle azioni che essi credono criminose, cioè lesive a' legittimi interessi sociali, perchè in parecchi presentandosi il cozzo dei motivi, ove il timore della pena sia più efficace dello impulso al delinquere, il legislatore ottiene un certo risultamento vantaggioso alla causa dell'ordine sociale da questo suo procedimento di dinamica morale. Pure io rispondo che se questo può giustificare il legislatore quando intende a creare una controspinta, come la domandò il Romagnosi, alla spinta a delinquere, con qual diritto si eserciterà sull'uomo che, malgrado la minaccia della pena, ha commesso un delitto, il ministero della punizione? Non se gli potrà dire che egli vi soggiace in

nome della legge di responsabilità; perchè questa presuppone esseri liberi. Non se gli potrà dire: tu sei punito perchè hai bisogno di emendamento; imperciocchè obbedendo al motivo che in lui è stato più forte per la così detta complicità delle forze esteriori che lo han necessitato, egli ha obbedito alla sua natura, la quale consiste appunto nell'operare seguitando il più forte dei motivi nel conflitto tra motivi diversi. Solo gli si potrà dire ch'egli è punito perchè l'effettiva sua punizione renda verità efficace sugli altri uomini in avvenire quel motivo che cra stato già apparecchiato per tutti a tenersi lontano dal seguire impulsi criminosi, e che in lui si è rivelato men forte degl' impulsi criminosi. E questo è trattar l'uomo come mezzo e non come fine, e se pure si vuol dare il nome di pena sociale a questa coercizione cui la società sottopone il delinquente, non sarà mai un fatto che meriti la nota di un fatto giuridico, perchè verso l' individuo è una violenza pura e semplice, che non può dirsi meritata, giacchè non è possibile meritare una sofferenza col far qualche atto, quando quest' atto non è l'ef fetto della libera attività di un individuo. Meriterebbe pena, se fosse possibile, la Natura che ha dato all'uccisore così violento. l'impulso alla vendetta; meriterebbe pena, se fosse possibile, il sistema di vita sociale alla cui ombra è cresciuto l'individuo e venne educato al male in cambio di essere educato al bene. 11 Diritto penale sarebbe spiegato come una necessità di fatto inevitabile; ma non avrebbe legittimità razionale, e ridurrebbesi ad inane cicaleccio la disciplina che ne costruisce i fondamenti ed il contenuto. Egli è però indispensabile respingere questa eccezione pregiudiziale alla nostra scienza, e riaffermare quella libertà del volere che è condizione necessaria non pure della giustizia punitrice, ma di tutto quanto l'organismo etico dell'umana convivenza nei suoi vari aspetti e nelle sue parti integranti.

Ora noi non disconosciamo che sarebbe erroneo l'ammettere una libertà assoluta del volere nel senso che l'uomo abbia un volere puramente casuale, cioè senza motivi e senza influenze determinatrici. Non è certo questo nè un fatto della scienza nè una possibile induzione da fatti determinati. Non ci è vero volere

secondo noi senza motivi, perchè questa costituisce appunto una delle note caratteristiche dell' uomo fra gli esseri del mondo, ch' egli opera indirizzando ad uno scopo le sue forze, ed è una delle leggi essenziali della attività umana il principio della finalità o della cagion finale. Niun volere è esente da motivi. Che anzi la statistica morale co' suoi numeri costanti ci rivela sempre dei motivi che accompagnano il volere; e sc per volere libero si intendesse un volere assolutamente scevro da motivi, cioè un volere puramente casuale, la statistica morale sarebbe davvero la più ineluttabile dimostrazione della insussistenza del libero arbitrio.

D'altra parte noi non intendiamo disconoscere che l' uomo individuo è una forza circondata dalle altre forze della natura, che è limitata da esse e le limita a sua volta, come si nutre dell' ambiente nel quale si aggira e reca pure al tutto insieme della vita universa che lo circonda il suo benchè minimo granello per contribuire alla conservazione ed allo esplicaimento della medesima, per quell' alterna vicenda tra la passività e l'attività, tra la forza centripeta e la forza centrifuga che forma la legge del Cosmo fisico e del Cosmo morale. Non intendiamo disconoscere il fatto vero che molte cagioni coefficienti determinano parecchi momenti non pure della nostra vita fisica ma altresì della vita morale. La costituzione fisica dell' individuo, le condizioni climatologiche, lo stato economico, il grado di coltura intellettuale, l'educazione ricevuta, l'ambiente intellettuale e morale che circonda la nostra esistenza, le condizioni morali della società domestica a cui si appartiene, gli alimenti, le abitudini contratte, le instituzioni politiche, economiche e giuridiche dello Stato son tutti coefficienti che in quanto soggiacciono a certe leggi costanti debbono dare una costanza ed una uniformità nei risultamenti, le quali si rivelano nella costanza ed uniformità delle cifre raccolte dalla Statistica. Noi ammettiamo che gran parte del nostro svolgimento procede per forma necessaria in noi, e dobbiamo pur dirlo che grande giovamento agli studi sociali arreca questa parte della Statistica, che va scoprendo certe leggi costanti, per cui a taluni fatti si rannodano ordinariamente

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