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Noi sorgendo in nazione abbiamo forse reagito con violenza eccessiva e in modo assoluto, cioè, senza distinzioni, contro gli studi letterari: ci parve di non poter diventare altrimenti un popolo positivo: l'errore sarebbe stato evitato, ove si fossero ben considerati tanti dei popoli floridi che ci sono stati e ci sono e dove la coltura letteraria è fatta ampiamente, profondamente e con grandi cure: i quali popoli, tranne l'antica Grecia, ebbero ed hanno da aspettarsi dall'arte e dalle lettere assai meno che non sia lecito sperare a noi. Ma dello sproposito, evitabile o no che fosse, ci siamo accorti, e se altre prove mancassero, lüculenta resterà sempre quella, che negli Istituti tecnici, dico tecnici, di letteratura italiana, di cui si dava un insegnamento di tre o quattro ore settimanali, or si danno, coi nuovi programmi, ventidue ore di lezioni; e sta bene.

Codesta infelice reazione pertanto contro gli studi letterari è cessata; ma forse (questo per avventura può esserci di qualche scusa) da così poco tempo da non potersene ancora sentire gli effetti in certi studi complessi, che non si possono fare ammodo, se non con lungo preparamento.

Gran noia è per noi italiani questo studio di preparamento e, parlo degli studi in generale, non in particolare dei'danteschi, pochissimi e forse nessuno dei giovani si darà a letture e ricerche e meditazioni, se non vi sia, per così dire, invitato da un felice, armonico insieme d'insegnamenti che potrebbero trovar posto negli Istituti superiori d'istruzione: insegnamenti organati in modo che concorrendo ad un solo o precipuo scopo si completassero a vicenda; ciascuno invogliasse a far amare gli altri, e tutti servissero a schiarire il principale, che in gran parte, ad esaminarli bene, risulterebbe dagli studi particolari di preparamento. Ciò, io credo, s'è ottenuto negli Istituti superiori per molte discipline, ma, tranne che in uno. Dante, e con esso gli studi concomitanti, non ci hanno forse la parte che egli ed essi meritano; onde per questo insegnamento almeno « la traccia nostra è fuor di strada ».

Ma forse quello che non si è fatto si farà; e vi son ragioni del non vederlo ancor fatto ma a numerarle, o discuterle si

dovrebbe andare assai lontano dall' argomento nostro, e bisognerebbe scrivere articoli da non finirla più; e nessuna forza d'amor proprio ci può far credere il faremmo con qualche frutto; quelle ragioni non possono certo essere rimosse per le parole nostre.

Questo pertanto resta vero, e non possiamo non gemerne che ora Dante Alighieri varca quasi solitario nel mare delle sue dottrine quasi solitario. No; lo segue lunga schiera di veneratori che non nacquero nella sua e nostra patria; onde egli indarno, anche oggi che la sua Italia è, ci ripete il grido che manda da cinque secoli, venitemi dietro, poi chè

« Perdendo me rimarreste smarriti »

Alberto Rondani.

Lettera al Comm. Silvio Spaventa

Mio carissimo amico,

Tornato dallo strepito di Montecitorio a queste tranquille e quasi silenziose rive dell' Arno sento ancora nell'animo risuonarmi l'eco del tuo maraviglioso discorso, e parmi di udire e di vedere te ed il Sella, ed il Minghetti, ed il Luzzatti, ed il Maurogonato, ed il Boselli, strenui campioni di una battaglia perduta, e pur cospersi di polvere non ingloriosa.

Audire magnos jam videor duces
Non indecoro pulvere sordidos.

Perdere o vincere, nella Camera, è affar di un numero di pallottoline bianche o nere che cascano più frequenti in un'urna che in un' altra; dipende dalle opportunità mutevoli, anzichè dalla poderosità delle ragioni, e alle vittorie con rapida vicenda seguono tosto o tardi le sconfitte. Nel tuo discorso c'era però qualcosa che oltrepassava il vario aggrupparsi de' partiti politici, e le fugaci opportunità; qualcosa che a poco a poco mi sollevò nell'etere sereno della scienza. Dopo la costituzione del nuovo regno d'Italia, il concetto che avevamo dello Stato si è profondamente modificato, ma non ce ne siamo resi un conto veramente esatto. In Germania la costituzione definitiva non si è peranco effettuata, e già gli scrittori ne stanno da un pezzo esaminando il valore ideale, e vanno con sottili riscontri GIORNALE NAPOLETANO, VOL. III.

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paragonando il presente al passato: a noi succede, secondo il solito, proprio il rovescio: precorriamo genialmente agli eventi, quasi inconsapevoli dell' opera nostra medesima.

Il tempo di questa ricerca par finalmente venuto, e nell'ultima discussione parlamentare per la convenzione di Basilea, si è dovuta proporre esplicitamente la domanda: che cosa è lo Stato moderno? Dalla varia risposta che vi si darà, dipenderà l'indirizzo politico della nostra nazione. La storia, di quella discussione probabilmente dimenticherà i conti fatti e rifatti, e se il riscatto delle ferrovie dell'alta Italia sia stato, come suol dirsi, un buon affare; dimenticherà le tariffe più o meno alte pe' passaggeri, e per le merci, o ne girerà la notizia a qualche futuro professore di Statistica; ma non potrà a meno di registrare nelle sue pagine, che in questa occasione si accennò al nuovo còmpito che incombe allo Stato moderno.

Dall' incertezza, e dalla varietà delle risposte mi accorsi o che non vi si fosse riflettuto abbastanza, o che coloro medesimi, i quali vi avevano riflettuto esitavano a formolarne il concetto. Tu solo, se l'amicizia non fa velo al mio giudizio, mostrasti franchezza pari alla maturità del pensiero, e vi accennasti con quella rapidità che t'ingiungeva la qualità d'uomo di Stato, e che ti assentiva il luogo dove discorrevi; ma senza velare timidamente il tuo pensiero, e senza esagerarlo. Eran poche linee quelle che disegnasti, eppure alla sicurezza de' tocchi ed alla compiutezza dell'insieme, era facile indovinare l'abilità di una mano maestra : ex ungue leonem.

Rifacciamoci ora su quelle linee, e proviamoci di colorirle, non in servigio di un partito politico, ma con un fine più alto, per comprendere, cioè, quel che abbiamo fatto, e quel che oggi siamo.

Abbiamo fondato un nuovo Stato: che cosa è esso? Che cosa è lo Stato moderno in generale?

Per rispondere con una certa precisione a questa domanda, occorre sapere che cosa era lo Stato di prima, quello da cui è provenuto lo Stato presente. Se non che la storia è una catena, ed un anello non si può riconoscere,

smagliato che sia dagli altri con cui s'intrecciava. Il tipo dello Stato non è nato di un getto, fisso, uguale per tutti i popoli, in tutte le età. Di tipi fissi, nella storia, non ce ne sono, salvo quelli che si pietrificano in certi cervelli, e che sono fissi, perchè non vivono più nella storia tutto si muove, tutto cangia, tutto si sviluppa, anche l'idea dello Stato.

Ci fu, dunque, prima lo Stato religioso, con la sovranità immediata di Dio, come nella teocrazia giudaica; o con la Sovranità mediata, esercitata dai sacerdoti, come nell'India. Ci fu, e passò: prova non dubbia, che quella sovranità divina era fittizia; se no, Iddio si sarebbe assicurato in modo, che il suo dominio non fosse transitorio, come quello degli uomini. Successe lo Stato guerriero, come presso gli Egizi ed i Persiani e fu progresso, paragonato alla teocrazia; chè la mano dell' uomo ci si vedeva visibilmente, anche troppo. E ci fu, da ultimo, lo Stato come produzione. conscia e libera dell' uomo, lo Stato greco. Platone ed Aristotile che ce ne hanno tramandato l' Ideale, per varia che fosse la sorgente, donde l'hanno ricavato, s'accordano in un punto capitale, nel riporre, cioè, tutta quanta l'attività umana nello Stato; nel radunarvela in modo, che l'individuo per sè non contasse nulla, che non avesse valore, se non quanto gliene veniva dalla partecipazione alla vita dello Stato. L'uomo è un animale politico ecco la definizione aristotelica, che scolpisce questo concetto.

Il valore assoluto dello Stato rimane pe' Romani lo stesso che pe' Greci i due grandi popoli dell' antichità classica, salvo la varietà d'indirizzo, accusano nelle produzioni dello spirito la comune origine. Il concetto dello Stato, pur conservando la sua assolutezza, in Roma acquistò più larghezza e più determinazione. Fu più largo, perchè non si restrinse alla sola città; e fu più definito, perchè quivi il dritto si cominciò a sceverare dalla morale; ed il dritto così sceverato si distinse in privato, ed in pubblico. Le due parole diverse, esprimenti lo Stato appresso questi due popoli, attestano cotesta profondità maggiore della coscienza politica di Roma. Ciò che ai Greci fu polizia, ai Romani fu

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