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VI.

Se tali, quali noi li abbiamo detti, sono i modi particolari onde Bunyan crea, e le qualità particolari de' suoi caratteri, qual'è poi la commozione che le sue creazioni destano in noi? Il Viaggio del Pellegrino, se paragonabile per tutti gli altri pregi massimi di arte ai poemi maggiori di ogni tempo, non lo è poi rispetto alla espressione delle passioni. L'obbiettività e direi, la visibilità de' suoi personaggi, v'è al massimo grado; ma non v'è ad egual grado la loro azione sopra noi, la quale invece è molto più temperata, che non soglia essere su gli animi nostri quella de' personaggi di altri grandi poemi. In generale può dirsi che le favole di Bunyan conquistano intera la nostra immaginativa e la nostra fede, ma appena a metà il nostro affetto. I suoi personaggi ci rivelano tutto il loro essere, ma non il generarsi, il divampare, l'urtarsi delle loro passioni. Anche quelli fra essi che stanno continuamente sulla scena, e che compiono innanzi a noi tutto il viaggio da un qualsia punto del mondo al monte Sion, anch'essi ci si dispiegano innanzi con una serie di azioni, brevi, rapidissime e vere, ma non ci danno mai uno sviluppo grande di affetti, qualche cosa che sia come la tragedia segreta, che avviene dentro i loro spiriti. Quando appena cominciavamo a commuoverci per essi, eccoci innanzi nuovi caratteri o nuove situazioni che ci distruggono la commozione presente, insinuandocene una nuova, la quale, iniziata appena, darà anch' essa luogo ad un'altra, e così sempre di seguito, senza che alcuna possa durar un pezzo e divenire compiuta e profonda. Il lago del nostro cuore non mugghia mai per tempesta, perchè i venti vi soffiano sempre miti, e spesso l'uno tace, quando l'altro comincia a spirare. Talvolta la commozione è sì poca, che dubitiamo non manchi affatto; e il nostro interesse in questi casi è un po' simile a quello che destano in noi i più bei fenomeni fisici; grande curiosità, passione poca o punta. Anche quando il poeta ci ruba appieno a noi stessi, e ci fa partecipi del suo magnifico dramma immaginario, noi sentiamo molto meno di quello che comprendiamo che debbano sentire que' per

sonaggi: siamo in mezzo a loro, e pure ci accorgiamo di essere molto più tranquilli, molto meno passionati di loro. Forse una ragione particolare di questo fatto sta in ciò, che il poeta, servendosi sempre dell' allegoria, ha rappresentato le passioni fuori degli individui che le nutrono, e sotto la forma di altrettanti personaggi. Non so se l'osservazione parrà troppo ardita, ma io credo che questo modo debba impedire al poeta di produrre quei gagliardi, affettuosi, focosi ed anche contraddittori caratteri che ammiriamo in altri grandi poemi. È vero che le passioni, a quel modo incarnate, acquistano la maggiore quantità di vita possibile; ma è una vita codesta, che si sostenta a spese di quella de' personaggi veramente umani, a cui esse passioni appartengono, e da cui sono state staccate e messe in moto come tanti enti distinti. Così se in in questo poema le passioni o le tentazioni hanno guadagnato molto ad essere raffigurate in Apollione e nel Gigante del Castello del Dubbio, e negli uomini che assalirono le pellegrine per sedurle; a quel guadagno corrisponde però la perdita, che ci hanno fatto i caratteri de' pellegrini e delle pellegrine, ne' quali non sono più possibili quel tumulto di affetti, quella guerra di pensieri opposti, che sarebbe stata in essi, se le loro passioni fossero state ritratte, quali erano veramente, cioè quali parti integrali e inseparabili delle loro anime. Se Shakespeare avesse rappresentato la disperazione fuori del re Lear, e la gelosia fuori di Otello, certo egli avrebbe saputo farci vedere altrettante persone vive; ma, per quanta parte di disperazione e di gelosia avesse lasciato ne' cuori de'due personaggi umani, questi non avrebbero mai potuto su noi, quanto possono così come sono stati concepiti dal poeta: esseri che tutte recano con sè le proprie passioni, e che soggiacciono al gran travaglio interno, ch'esse fanno dentro di loro. Certo in Bunyan quella maniera non è assoluta, e tante volte i suoi pellegrini hanno contrasti intimi, dubitano, sentono rimorsi, si contraddicono; ma, nonostante ciò, può affermarsi che in generale nel suo poema l'azione degli affetti umani è allegorica o estrinseca, e ch' essi guadagnano tanto nelle forme plastiche, quanto perdono di potenza sugli spettatori. Col modo di Bunyan anche si fanno chiaramente percettibili tante cose della

vita morale, che in altri poeti s' intraveggono e s' indovinano; ma questa maggiore percettibilità, ottenuta col multiplicare le forme corporee, scema la forza che il morale esercita, se non frazionato, se condensato co' suoi elementi discrepanti in una sola persona. Nel primo caso, è l'arte, che spinge l'analisi all'ultima conseguenza della divisione materiale di una vita umana; nel secondo, è l' arte che, usando l' analisi per penetrare quanto più può nelle profondità dell'anima, fa però sempre con modo opposto la rappresentazione, e chiude nel giro di una vita quasi più vite, nell' unità di essa l'immensa varietà degli affetti e de' misteri di lei, e fa così la cosa più bella, più poetica, più potente che possa mai concepirsi.

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Pure questa della rappresentazione estrinseca delle passioni. non è, come abbiamo già avvertito, che una ragione particolare del poco affetto che destano in noi le creature di Bunyan. Ma c'è una ragione generale e più forte, che spiega appieno la tiepidezza degli affetti, non solo in quel poema, ma in tutte le concezioni poetiche de' Puritani; ed è che una più intensa manifestazione delle passioni non era compatibile con la coscienza puritana. La diversa maniera di esprimere le passioni, è ciò che soprattutto distingue l'arte de' diversi tempi; e paragonate a questa differenza, sono minori tutte le altre di diversa natura. La quantità della passione ci fa capire tutto l'intimo di un lavoro poetico, il cuore e la coscienza del poeta, le idee che muovevano il mondo in cui egli vivea. Così, in nessun modo si chiarisce meglio la poesia puritana, che paragonandola alle diverse poesie in cui si trovi più di passione. Vedete un po' quanta n'era nella grande poesia inglese del secolo di Elisabetta. Ne' maggiori poeti di quel tempo era una contemplazione scettica della vita: il di là era ignoto, e forse era nulla; il morire era un andare di cui non si sapea il dove. La vita presente era tutto; essa non avea pregio se non per sè medesima, per l'esercizio delle sue potenze; quanto più deste e vive e operose tutte le passioni, tanto maggiore il valore, tanto più intensa la voluttà della vita. E non la voluttà sola de' sensi, ma quella dell' anima tutta, consapevole della sua massima energia: anche il travaglio che viene da'problemi dell'esistenza, anche il dolore della sua fugacità, ed ogni

altro dolore, se eleva, se, per così dire, moltiplica le facoltà dell'anima, è voluttà suprema: la maggior bellezza della vita è, come quella dell' Oceano, nelle sue tempeste. Tale la coscienza della vita, tale la sua manifestazione nell' arte; onde la poesia inglese della seconda metà del secolo XVI, e specie la drammatica, è la poesia più passionata, più concitata, più tempestosa che sia stata mai ne'tempi moderni. Se quelle sono le maggiori voluttà del mondo, anche quelle debbono essere le maggiori dell' arte, il cui valore consiste appunto nella massima esplicazione delle sue potenze. I personaggi di Marlowe e di Shakespeare sono gli eroi delle passioni umane; essi ne hanno tante, e di tanta forza, che in parecchi di loro ci è come un particolare dramma intimo, che si rannoda a quello che tutti insieme essi compiono. E come essi sentono, così sentono anche gli spettatori, la cui impressione sovente è così forte, che diviene per loro come una catastrofe interiore, che gli abbatte e gli annichila. Nessuna fede religiosa persuade o costringe il poeta a menomare la quantità della passione. Il sentire del poeta è l'unica sua legge nessuna riduzione della vita la espressione degli affetti di ogni natura, del bene, del male, non ha per lui altri confini se non quelli dell' estetica.

Ma non accade lo stesso nell'arte cristiana. Il poeta intimamente cristiano procede con una certa scelta e misura, egli ubbidisce, più o meno consapevole, alla sua fede. Per essa, non essendo un mistero il di là del mondo e della morte, la vita e la storia nostra perdono tanta parte del loro valore: 0, per dir meglio, il loro valore è sempre relativo, e cresce, non a misura della intensità delle passioni, ma a misura che esso si coordina e subordina più perfettamente a principii e fini superiori. Naturalmente anche qui l'arte si conforma alla coscienza, ed opera una riduzione nella espressione degli affetti. Ma la coscienza cristiana ha una lunga storia; onde, fuor che ne suoi caratteri generali, essa si modifica secondo i diversi momenti della sua storia. Vedetene due soli: uno in cui essa contrasta con le passioni di secoli mezzo barbari, e un altro in cui vittoriosa concede alle passioni quel tanto di potere che a lei pare conveniente vedeteli nella Divina Comedia e ne' Promessi Sposi. Nel primo poema quella coscienza or vince e or

vita morale, che in altri poeti s' intraveggono e s' indovinano; ma questa maggiore percettibilità, ottenuta col multiplicare le forme corporee, scema la forza che il morale esercita, se non frazionato, se condensato co' suoi elementi discrepanti in una sola persona. Nel primo caso, è l'arte, che spinge l'analisi all'ultima conseguenza della divisione materiale di una vita umana; nel secondo, è l'arte che, usando l' analisi per penetrare quanto più può nelle profondità dell'anima, fa però sempre con modo opposto la rappresentazione, e chiude nel giro. di una vita quasi più vite, nell' unità di essa l'immensa varietà degli affetti e de' misteri di lei, e fa così la cosa più bella, più poetica, più potente che possa mai concepirsi.

Pure questa della rappresentazione estrinseca delle passioni non è, come abbiamo già avvertito, che una ragione particolare del poco affetto che destano in noi le creature di Bunyan. Ma c'è una ragione generale e più forte, che spiega appieno la tiepidezza degli affetti, non solo in quel poema, ma in tutte le concezioni poetiche de' Puritani; ed è che una più intensa manifestazione delle passioni non era compatibile con la coscienza puritana. La diversa maniera di esprimere le passioni, è ciò che soprattutto distingue l'arte de' diversi tempi; e paragonate a questa differenza, sono minori tutte le altre di diversa natura. La quantità della passione ci fa capire tutto l'intimo di un lavoro poetico, il cuore e la coscienza del poeta, le idee che muovevano il mondo in cui egli vivea. Così, in nessun modo si chiarisce meglio la poesia puritana, che paragonandola alle diverse poesie in cui si trovi più di passione. Vedete un po' quanta n'era nella grande poesia inglese del secolo di Elisabetta. Ne' maggiori poeti di quel tempo era una contemplazione scettica della vita: il di là era ignoto, e forse era nulla; il morire era un andare di cui non si sapea il dove. La vita presente era tutto; essa non avea pregio se non per sè medesima, per l'esercizio delle sue potenze; quanto più deste e vive e operose tutte le passioni, tanto maggiore il valore, tanto più intensa la voluttà della vita. E non la voluttà sola de' sensi, ma quella dell' anima tutta, consapevole della sua massima energia: anche il travaglio che viene da'problemi dell' esistenza, anche il dolore della sua fugacità, ed ogni

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