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e poco mancò che non ne rimanesse vittima. Non ci è Inglese che non sappia a mente quella battaglia, e in cui non duri incancellabile la visione che se ne fece nel pensiero fin dalla sua prima fanciullezza. Ma, oltre che da questo mostro, si salva Cristiano anche da due giganti terribili, Pagano e Papa (che rappresentano il paganesimo e il papato); e più mirabilmente ancora salvasi dalla morte a cui voleano condannarlo gli uomini della Fiera della Vanità, come ci condannarono Fedele, suo recente compagno. Ma come volle la Provvidenza, trovò un compagno novello in Sperante; e qui una nuova serie di avventure interessantissime, fino a che i due pellegrini, che aveano vinto tanti pericoli, vennero alle mani del gigante Disperazione; e il carcere, e i flagelli durissimi e finalmente la loro meravigliosa liberazione, formano uno de' più lunghi e vivaci episodi di questa storia, che n'è sì ricca. Dopo le tribolazioni, ecco le gioie onde Dio consola sempre gli afflitti: cioè, ecco i due pellegrini sulle Montagne dilettevoli, accolti e festeggiati da' Pastori che ci sono; e donde possono vedere coi cannocchiali lontana lontana la Città celeste, alla quale però non doveano giungere senza qualche altra nuova prova di dolore. Perchè, scendendo da quelle montagne, si lascian nuovamente sedurre; ma ricondotti da un Angelo, non si smarriscono più, e resistono vittoriosamente ad Ateo, che gli confortava a ritornare indietro, come faceva lui, persuaso, dopo venti anni di fatiche, che quella Città celeste, da tutti cercata, non esisteva in nessun luogo. E i pellegrini entrano nel paese incantato, sforzandosi di non farsi vincere dal sonno, perchè colà l'aere sopisce così le facoltà della mente, ch'è un miracolo se uno non vi si addormenta; e poi finalmente guadagnano la terra di Beulah. E Beulah, raffigurando quello stato delle auime elette, giocondo per tante speranze, che precede la morte, è come un anti-paradiso, da cui si scorge vicina quella citta celeste, di cui il desiderio è oramai sì ardente ne' pellegrini, che essi ne languono e ammalano.

La Città celeste, descritta come nell' Apocalisse (XXI. 18), scintillava al sole, così che i due non potevano guardarla ad occhio nudo. Le scorre dinnanzi un fiume senza alcun ponte e che va passato a guado. Quel fiume è la morte, passaggio ne

cessario da questa all'altra vita; estrema e terribile pruova del cristiano, di là dalla quale non è poi che godimento e gioia. E varcato il fiume, dove hanno già lasciati i loro involucri corporei, ascendono la Montagna del paradiso, le cui fondamenta stanno più in su delle nuvole. Angeli gli accompagnano, angeli vengono loro incontro e li circondano da tutte parti, così che pare il Cielo stesso cali fino ad essi; altri angeli cantano e suonano, ed altri portano ai pellegrini arpe e corone. Le campane della Città suonano a festa; i pellegrini entrano tra tanto tripudio; le porte si schiudono dietro ad essi; e il poeta si sveglia.

Qui finisce la prima parte del lavoro di Bunyan. Taine nell'analisi che fa di quest' opera, tace affatto della seconda parte. Forse la credette meno interessante; ma il vero è che essa importa sommamente a far conoscere la prodigiosa fecondità della fantasia del poeta: il quale in essa creò nuovi caratteri e nuovi episodi, che hanno lo stesso significato e si muovono sulla medesima scena, da cui sono scomparsi i primi; come se, col rappresentare sul teatro stesso un secondo dramma, volesse rendere più evidenti i concetti adombrati nel primo testè compiuto.

Si tratta di una nuova visione, di un nuovo pellegrinaggio, quello della moglie di Cristiano, la quale, rimasta sola, COmincia a sentire il rimorso di non averlo seguito, e piange e non ha più pace, fin che, confortata da un sogno e da una lettera che il re del cielo le manda, e respinte le tentazioni di Timorosa, che cercava di rimuoverla dal nuovo proposito, si mette anch'essa co'suoi quattro figliuoli per la via sì gloriosamente percorsa da'primi pellegrini. Passano il Pantano dello Sgomento, ma questo passaggio non ha di comune con quello di Cristiano se non il nome del luogo, chè tutto il resto è nuova invenzione del poeta come tutti nuovi sono i casi e i particolari di questo secondo pellegrinaggio. E giunsero poi alla porticina love avea picchiato Cristiano, e venne quello stesso Benevolenza, che avea aperto a lui; e qui nuovi episodi, tra cui quello così grazioso di Misericordia, che per troppa modestia e timidità, non entrata a tempo con gli altri della compagnia, si vede chiudere innanzi la porta

e rimanere esclusa lei sola; onde sviene e resta come cosa morta, fin che non accorrono i compagni a raccoglierla e metterla dentro anche lei. Ma partitisi di quivi, e giunti alla casa dell'Interpetre, osservano non pure i quadri allegorici veduti da Cristiano, ma altri ancora, che adombravano altri veri della religione; ed incitavano, come i primi, a virtù e perduranza. E nuovi personaggi si succedono da qui innanzi. Vien fuori un prode guerriero, Grancuore, il quale dall'Interpetre è dato per guida alla compagnia de' pellegrini, che, composta di donne e di fanciulli, non sarebbe valsa tutta insieme quanto il solo Cristiano contro i pericoli ulteriori del viaggio. Così essa, protetta da quell'eroe, prosegue sempre felicemente il suo cammino; monta sul Colle della Difficoltà, entra nella Casa Bella e passa le due valli dell'Umiliazione e della Morte, funeste a tanti poveri passeggieri. E Grancuore fa di molte prodezze, fuga i leoni che assalivano i suoi deboli protetti, e abbatte ad ogni passo terribili giganti: Arcigno, Straziatore, Uccidi-buoni, Disperazione cadono in vari modi sotto i suoi colpi. Oltre molti personaggi secondari, ecco venir mano mano sulla scena Galantuomo, Mentedebole, Zoppicante e Prode pel vero; eccoli mischiarsi con gli altri, che ci erano prima, e il dramma farsi sempre più ricco, vario e interessante.Così passando per tutti quei luoghi, che erano stati percorsi da Cristiano, e sempre ingrossandosi, la brava compagnia giunge anch'essa a quel paese di Beulah, che è il termine del faticoso cammino. Infine il poeta assiste alla morte, cioè, al passaggio del fiume, de' pellegrini più vecchi; e il passag gio è descritto con tanta ricchezza di particolari, che vediamo uno spettacolo nuovo sempre che ciascuno di quelli varca le acque. E quando la vecchia generazione è passata tutta, il poeta si sveglia di nuovo, ed anche la seconda visione è finita.

V.

Si sveglia il poeta, e ci svegliamo anche noi, perchè anche noi abbiamo fatto lo stesso sogno. Già egli ce ne avea avvertito nella curiosa apologia in versi, premessa al suo lavoro, dicendoci che noi, leggendolo, ci saremmo procurati tra gli

altri vantaggi anche quello di sognare senza dormire. (1) Queste due sole parole mi fanno credere che nessuno meglio di Bunyan ha capito, o, almeno, più semplicemente espresso qual sia il vero e massimo effetto della grande poesia sono due parole così piene di contenuto, che ci si può fondare tutta una teoria. Un gran lavoro poetico, come è stato un sogno nella veglia per il poeta, tale diviene anche per i lettori. Noi non viviamo mai in un mondo ideale così sensibilmente, come ci accade nel sogno. Nella veglia, la stessa immaginativa (che, secondo Dante, ci ruba così che noi non ci avvediamo della realtà, nemmeno dove ci suonino intorno mille trombe) non giunge mai a produrre tutta intera la illusione del sogno, nel quale la fede alle ombre non solo rimane in noi così intera, come, vegliando, l'abbiamo alle cose reali, ma spesso giunge a farci sentire anche più vivi il dolore e la voluttà. L'intensità della illusione prodotta da un capolavoro poetico non poteva dunque esser meglio paragonata che a quella de' sogni. Al primo apparire de' fantasmi, resi dal poeta sensibili per noi, tutto ciò che ci circonda, appunto come quando comincia a soggiogarci il sonno, svanisce agli occhi nostri, ed essi divengono la sola nostra compagnia. Quando apriamo l'Iliade o la Divina Commedia o l'Otello o Don Chisciotte, noi non abbiamo consapevolezza di quell'oblio che ci conquista, e di quel magico passaggio che facciamo ad un altro vivere; e quando la lettura è finita, come al destarci da un dolce sogno, ripigliamo con un certo stento e dispiacere la coscienza di noi e del mondo reale. Ma se la grande poesia gareggia col sogno quanto alla intensità, essa lo supera infinitamente quanto alla durata delle illusioni, che entrambi producono. Le visioni più divine del sogno, se appena desti noi crediamo vederle ancora nell'incerWould'st thou be in a Dream, and yet not sleep? Or, wouldest thou in a moment laugh, and weep? Wouldest thou lose thyself, and catch no harm?

(1)

And find thyself again without a charm?

Would'st read thyself, and read thou know'st not what,

And yet know, whether thou art blest or not,

By reading the same lines? O then come hither,

And lay my Book, thy Hlead, and Hleart together.

The Pilgrim's Progress, p. XVII

to raggio del sole, scompaiono subito dopo; e benchè per qualche tempo ci rimanga in cuore una stilla del dolce che ci venne da esse, pure le loro splendide forme si risolvono per sempre in nebbia. Ma restano invece incancellabili in noi le immagini che ci apporta il sogno poetico; e le persone che ci siano apparse in esso, rimangono nella nostra memoria come. quelle degli amici più cari, e le conosciamo agli atti e distinguiamo alla voce non meno che gl'individui a noi più familiari. Tali sono le creature di Bunyan. Un Italiano potrebbe farsi una perfetta idea del potere esercitato da questo libro negli animi degl'Inglesi, sol che si ricordi di ciò ch'è avvenuto in Italia per effetto di quella Storia milanese del secolo XVII, dove sono narrate le avventure di due poveretti, che oppressi, insidiati, costretti a lasciare i monti nativi, a nascondersi agli occhi del mondo, riescono infine con l'aiuto della Provvidenza a essere, come voleano da principio, sposi tra loro. L'effetto di quella storia fu che quei due poveretti, e i loro oppressori, e i loro protettori, e le altre persone che parteciparono in vario modo ai loro casi, divennero per ogni Italiano come gl'individui ch' egli abbia più conosciuto. Non ci è cosa in cui gl'Italiani di questo secolo, per quanto fra loro discordi di fede politica e religiosa, di costumi, di parola, si accordino così perfettamente tra loro, come nella certezza di aver visto realmente e di rivedere sempre che vogliano quei personaggi, e le scene di pietà e di terrore di cui questi furono autori o spettatori; e i villaggi, i conventi, i monti, i fiumi, i castelli le città, dove quelle scene ebbero luogo: sì che l'esistenza di quella famiglia manzoniana è per noi una specie di fede, che vince in certezza e in numero di seguaci qualunque altra fede, 0 avanzo di fede sia rimasto in mezzo allo scetticismo o alla negazione de' tempi moderni. Ora ciò che i Promessi Sposi hanno operato da un mezzo secolo in Italia, il Viaggio del Pellegrino l'ha operato da due in Inghilterra; e gl'Inglesi di oggi, come quelli del secolo decimottavo e della fine del secolo decimosettimo, credono di aver visto quei pellegrini: pellegrini eterni, innanzi a cui tramontano generazioni e generazioni, senza che essi tramontino mai! Si direbbe che il genio, di cui sono figli, gli abbia condannati ad un viaggio; che appena GIORNALE NAPOLETANO VOL. III.

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