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A la sposa adorata il pensier vola,
All' umil famigliola,

Al di che la fornita opra ti frutti
La dolce lode e l'utile mercede,
Ei vola ai di festivi,

Al di del tuo riposo: ivi ei s'arresta.
Ma i giorni del poeta

Sacri al lavor son tutti,

Nè mai spunta per esso il dì di festa.
Riposo ei non avrà che nell'avello,
O tessitor fratello, e nemmen ivi
Se, non gli dando tregua,

Ivi ancor lo persegua il suo pensiero.
La mercede tu l'hai,

Ma la sua non è mai lode o moneta.
Sol talor, della notte nel mistero,
Quando soave tanto è la fatica,
Quando la poesia sgorga più piena,
E di più facil vena:

Gli par vedere o vede

Un'ombra, un'ombra amica,

Che, curva a la sua tela e intenta i rai,
Sorrida dolcemente;

E in cor non so che sente,

E pargli il bacio dell' Iddio severo
Che il compito gli diede:

È il bacio del signor la sua mercede.
Corre via liberissima e spedita

E uguale sempre e lieve

L'opra della tua mano;

Tu sai che bella riuscir ti deve

Come ier, come sempre è riuscita;

Tu non conosci le tremende angosce
Del lavorare invano,

Ma il tuo compagno troppo le conosce.
Tu il magister del tessere apprendesti,
E l'arte e i suoi modesti

Confini tu rispetti, e non t'è greve,
Umile come sei, l'acquïetarte

Al fren dell'arte.

Ma o corre senza freno, o al fren s'acqueta

Raro il poeta, e alcuna

Volta egli tenta e vuole

Crear come fa Dio, tenta l'arcano

Magistero imitar della Natura

Nella sua tessitura;

E intessere egli vuol nelle sue rime,

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Raggi di sole,
Effluvii di viole,

Con la pena d'Aracne è il tuo compagno
Del folle ardir punito:

Ei s'intrica e s'impiglia, immondo ragnɔ
Tra gli stracci del suo misero ordito!
Spedita, egual, tranquilla

L'opera tua procede:

Man veloce, pupilla

Accorta ella sol chiede:

La trama che tu metti

Nella tela che a te porgono ordita,
Di pensier non è trama e non d'affetti,
Non è l'anima tua, nè la tua vita.
Anima e vita pone

Ben il poeta nella sua canzone.

La trama, onde si forma il tuo lavoro
È cosa altrui, la sua cresce con esso.
Fuor da sè stesso,

Come il baco, egli trae le fila d'oro
De la sua seta;

Dall'intimo del petto ove le ascose
Iddio provvidamente;

Dal suo bel cuor, che sente e spera ed am,
Con dolce sanguinar svolve il poeta

Le armoniose

Fila della sua trama;

Le fila armonïose, onde si fanno

Le rime sue, soavemente ei mesce.

E non gl'incresce

Se ciò ch'ei tesse è il funeral suo panno.
Il mondo a te non nega, artista umile,
L'umil tua gloria: il loco ove tu vivi
È pien delle tue lodi.

Quand'esci fra la gente, ai dì festivi,
E miri vaghe donzellette e spose
Luccicar nella seta

Che la tua man compose, in cor tu godi.

Manca il premio gentile,

Tessitore fratel, manca al poeta,

Benchè teco egli tenda ad una meta.

I corpi tu abbellisci ed abbellire

L'anime egli vorria.

Egli vorría che come vesti smesse

Lasciasser freddi orgogli e invidie ed iro;

E le vorría vestire

Di ciò che sol per esse

Soavemente ei tesse:

Ei le vorría vestir di poesia!

(Dalle Prime Poesie, pag. 3-8.)

835

FELICE CAVALLOTTI.

Nacque a Milano il 6 novembre 1842, di famiglia veneziana. Cominciò presto a imparare a memoria e poi a scrivere poesie patriottiche contro lo straniero. A 17 anni scrisse l'opuscolo Germania e Italia. Si voleva arrolare nella spedizione dei mille, ma non fu ricevuto per la troppo giovane età; valendosi poi di un foglio di congedo di un suo cugino, passò in Sicilia con la seconda spedizione Medici. Collaborò in molti giornali dell'opposizione (Indipendente, Unità Italiana, Lince, Lombardo, Gazzetta di Milano); s'era, frattanto, laureato in legge nell' università di Padova. Fu con Garibaldi di nuovo nel 1866; nel 1867 assunse la direzione tenuta già dal Bizzoni del Gazzettino, che chiamò Gazzettino Rosa. Processi, sequestri, duelli, catture, piovvero addosso al Bizzoni e più al Cavallotti, che riusci spesso ad eludere il fisco. Gran dolore gli fu la morte del fratello Giuseppe, caduto nella prima giornata di Digione. La vita del Cavallotti fu tutta nel giornalismo, nella letteratura specialmente drammatica, nella politica. Eletto deputato di Corteolona il 28 settembre 1873, poi ritiratosi dalla Camera nel 1874, in seguito rieletto e in più collegj, e anche avversato e scartato da qualche ministero, fu in Parlamento prima uno de' fervidi e battaglieri seguaci, poi il capo dell'Estrema sinistra radicale; fuori del Parlamento, essendosi acqui. stata larga popolarità, ne' comizj e ne' giornali e anche con nobili atti di propaganda e carità, come quando si recò con un manipolo di generosi a Napoli durante il colèra del 1884, iniziatore e autore di programmi, di leghe politiche e di polemiche a tutt'oltranza. Lasciò la vita nel trentatreesimo dei suoi duelli, avvenuto il 6 marzo 1898, fuori Porta Maggiore, a Roma.

Giornalista e polemista instancabile, alla Camera si mostrò oratore vigoroso, e forbito, malgrado un grave difetto nella pronunzia, si da essere ammirato pur da' molti e irreconciliabili avversarj politici. Poeta lirico, lasciò molti, troppi canti, ne' quali non è sempre ugualmente limpida la vena, e si avverte spesso il difetto di una forma ondeggiante fra la facilità verbosa de'neo-romantici e le reminiscenze e le derivazioni de' suoi studj dell'antichità greca, che senti e amò (ne fa buona testimonianza anche la traduzione de' frammenti di Tirteo). Sono più note delle sue liriche, l'Ode a Prati, l'Ode per Manzoni, la Marcia di Leonida, che fu pubblicata nel 1880 per l'inaugurazione fattasi a Milano del monumento ai morti di Mentana; La lucerna di Parini (1895). Con

1 F. GIARELLI, F. C. giornalista ec., Firenze, tip. Landi, 1898; C. ROMUSSI, C. giornalista, nella Nuova Antologia del 16 maggio 1901.

2 E. PANZACCHI, F. C. Il libro dei versi, nella Nuova Antologia del 16 marzo 1898.

miglior disposizione, e talora con grande e vero successo, scrisse per il teatro, in versi e in prosa: I Pezzenti, Guido, Agnese, Alcibiade (che difese poi con speciale scrittura diretta a Yorick), premiato al concorso drammatico governativo,1 I Messeni, Il Cantico dei Cantici, La Sposa di Menecle, Nicarete, Le rose bianche, La lettera d'amore, Agatodèmon, 3 Luna di miele, La figlia di Jefte, Povero Piero; ora, anche in questi drammi, prediligendo soggetti della vita ellenica, ora mantenendosi nel campo del più schietto romanticismo.

Giosuè Carducci nelle parole dette nella scuola il 9 marzo 1898 sul Cavallotti, parole che ripetè e spiegò nella Gazzetta dell'Emilia del 14 marzo, giudicò con la consueta felice acutezza ed efficacia il poeta e l'uomo. «....Il Cavallotti è l'ultimo dei romantici. Si; e de' romantici ha nelle sue cose migliori le qualità migliori; l'abbondanza sentita, la melodia colorita, l'abbandono al fantasticar melanconico. A me piace più di certa poesia che mi pare dell'arte giapponese, imbozzacchita in terra, con il colorito di porcellana.... Felice Cavallotti tra la parte rivoluzionaria e le istituzioni era un istmo, istmo su cui stava la immagine della patria. Egli garibaldino anche più che repubblicano e anche quando tale si affermava più spesso, egli era saldissimo nella fede dell'unità....>

[Oltre le singole edizioni di versi e drammi, si vedano del Cavallotti le Opere, alcuni volumi delle quali furono editi, dal 1882 in poi, a Milano dalla tipografia Sociale, poi di E. Reggiani; alcuni ristampati e altri aggiunti, pure a Milano, dall'Aliprandi. Vedi anche di lui, Martirologio italiano, Santorre di Santarosa, ec. Milano, Sonzogno, 1892; Italia e Grecia, Catania, Giannotta, 1898, ec.

Per la biografia, vedi F. C. nella vita e nelle opere, di varj, Milano, Soc. edit. lombarda, 1898; L. CONFORTI, F. C., cenni sulla vita e le opere, Napoli, Chiurazzi, 1898; F. C. cenni biografici, Roma, tip. Elzeviriana, 1898.]

La lucerna di Parini.*

O egizia figurina,

Che immobile mi guardi

Dei prischi èvi ai di tardi
Smarrita pellegrina,

1 R. STUART, A proposito dell'« Alcibiade », Roma, 1874.

2 G. RUTA, Il Cantico dei cantici di F. C., esposizione critica, Andria, Borselli, 1882.

3 P. GABRIELLI, Agatodèmon, dramma di F. C., Parma, Adorni, 1890. (Le note apposte a questa poesia sono dello stesso Cavallotti.) In ricordo di Benedetto Cairoli, a cui l'autore di questi versi fu stretto sino all'ultimo suo giorno di affetto fraterno, non interrotto mai neppure dai disseusi e dalle lotte della politica, e del quale onorò in Parla

L'occhio pensoso affiggere
Mai non m'è dato in te,
Senza che lieve un brivido
Passi sul cor.... Perchè?

Sotto il coperchio argenteo
Guardan le luci immote....
E a me d'un vecchio cantico
Tornano in cor le note.
Sempre la strofe antica
Ripenso del cantor,
A cui piovevi amica
Il fievole chiaror.

« Me non nato a percotere
Le dure illustri porte,
Nudo accorrà mà libero
Il regno de la morte.
No, ricchezza nè onore,
Per frode o per viltà,
Il secol venditore
Mercar non mi vedrà.1 »

Oh, allorquando del vile
Tempo ai Sardanapali
Fischiava il suo staffile
Da le carte immortali,
E del forbito canto
Tra il riso schernitor
Il sacro austero vanto
Alto rompea dal cor;

E lo agitava il Nume
Dei Veri eterni amante,'
Quale apparve al tuo lume
Il pallido sembiante?
Quante volte nel riso
Del gaio imaginar

Vedesti il bianco viso

Le lagrime solcar?

Certo, prima di splendere
A le veglie feconde,

mento e nei funebri solenni la memoria, la vedova del glorioso estinto, Donna Elena Cairoli, donava al poeta una lucerna artistica, che già appartenne a Giuseppe Parini, da molti anni gelosamente conservata in casa Cairoli. È una figurina egizia di bronzo, di fine ed elegante lavoro, che regge una lucernina a becco di forma antica. Sovrapposto successivamente alla figurina è un paralume di lamina sottile d'argento, su cui stanno incise queste parole: Lucerna usata dal poeta Parini lasciata da rancesco Casanova

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Benedetto Cairoli e più sotto fattovi aggiungere

dalla gentile donatrice: In memoria di Benedetto Cavallotti 1889.

Da essa venne al poeta la idea di quest' ode. 1 PARINI, La vita rustica.

-

Elena

2 PARINI, L'impostura.

- Felice

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