Danzar ti vidi assai leggiadramente, Egloge. Egloge. Mi chiamano Nerone. La tua patria? Egloge. lo nacqui in Grecia. Nerone (guardandola con entusiasmo). Tu pure Greca! Amabile paese È il tuo, bionda fanciulla ha il privilegio Oh benedetto il suolo Egloge. Interroga il mio volto, E avrai risposta. Io danzo spensierata, E danzo sempre come vuol mio stato, E non ho mai contato gli anni. Casi son brevi. Egloge. I miei - Fanciulletta appena Con altre mie compagne atenïesi Delle danze, e danzando trasvolai Ecco i miei casi. Qualche volta ai plausi Sai chi son io? Egloge (sorridendo). Abbi un'idea di mia potenza. Avvenne Che in certa notte io m'annoiassi; in queste Egloge, Io mai non la conobbi. Io non t'ho fede; Anche Giove s'annoia, e in que' momenti Hai terribil potenza. Nerone. Eppur non giunge A quella de' tuoi sguardi, o allettatrice D'una plebe villana! A te fo tempio Io che m'intendo nell'arte di Fidia Egloge (sfuggendo dalle braccia di Nerone), In Grecia intesi Narrar che una fanciulla piacque a Giove In umana sembianza. · Ahi! l'infelice Spinta da cieco amor volle abbracciarlo E cadde incenerita. Uccide adunque Nerone (vezzeggiandola nei capelli e nel viso). Queste sono Istorie vecchie, e niuno più vi crede Al nostro tempo. Egloge. Un giorno appena i tuoi Littori apparver nel teatro, il grido A Cesare! Febèa, la mia compagna Che pare un Dio? - Sciagura sulla donna Nerone. Così disse? Egloge (guardandolo maliziosamente e sorridendo). Io già sapevo Che avevi ucciso le tue mogli. Nerone (pieno di meraviglia e scostandosi da lei). Sai Questo, mi stai d'innanzi, e mi sorridi? Egloge. E a che dovrei tremare? Un sol tuo cenno Di tutti, e se n'ho voglia, sopra un dado Posso giocare tutte le province D'un tributario Re, Libera?... Egloge. Dunque son io Nerone. Più che libera, tu sei In queste sale imperatrice; io vesto Danza frattanto; Sofocle m'aspetta, (Dal Nerone, Atto I, Scena IV) ARISTIDE GABELLI. Nacque il 22 marzo 1830 in Belluno: studio giurisprudenza e filosofia a Padova e a Vienna. Esulò dalla patria per non essere obbligato a fare il soldato austriaco, e visse lavorando come copista e poi dirigendo il Monitore dei tribunali. Nel '65 fu fatto direttore del collegio Longone in Milano, e poi provveditore agli studj a Firenze, a Roma, a Milano. L'esperienza acquistata nelle materie scolastiche e pedagogiche, ch'egli aveva studiato con mente di filosofo anzichè con gretta pratica cancelleresca, lo fece chiamare ad importanti ufficj nel ministero dell'istruzione pubblica. Fu pure del Consiglio superiore dell'istruzione, e dal 1886 deputato al Parlamento. La gracile salute gli fu distrutta dal lavoro, e mori in Padova ai 7 ottobre 1891. Lascia fra le altre cose un volume, L'uomo e le scienze morali (Milano, Brigola, 1869; 2a ediz. Le Monnier, 1873), e due intitolati L'istruzione in Italia, preceduti da prefazione di P. VILLARI (Bologna, Zanichelli, 1891), ove questi dice essere il Gabelli « il primo scrittore di pedagogia che l'Italia abbia mai avuto, e il cui valore deriva da grande esperienza della scuola, dal metodo che segue, da un buon senso ammirabile, da una vasta conoscenza delle istituzioni scolastiche italiane e straniere, da un alto ingegno, da un animo più alto ancora. » Molti articoli suoi di politica, nei quali l'austerità del pensiero è temperata dall'arguzia della forma, sono disseminati nella Nuova Antologia. Notevole, come trattazione popolare di ardui problemi sociali, è la conferenza Il mio e il tuo. Postuma è, per opera di E. TEZA, una raccolta di Pensieri, con frammento di autobiografia (Padova, Drucker, 1892). [Vedi un articolo su di lui di E. MASI, nella Nuova Antologia del 16 ottobre 1891; C. PIGORINI-BERI, A. G., reminiscenze, Perugia, tip. Umbra, 1891; FERD. GNESOTTO, A. G., Commemorazione, Padova, Drucker, 1893, e AM. AMATI, A. G., studio biografico, Padova, Drucker, 1893.] Roma d'ieri e Roma d'oggi. Bisogna dire intera la verità. Il governo papale, ospite tollerante verso i forastieri, principalissima, se non unica, fonte di guadagno per i cittadini, vegliava con quella sospettosa sollecitudine, che non può mancare in chi ha ufficio di procurare agli altri anche il paradiso, affinchè i suoi sudditi andassero preservati da contatti pericolosi. Non si poteva dire sicuramente che non venissero da fuori e non ci fossero in Roma stessa, talvolta celebri, più spesso ignoti, uomini di gran valore. Bensi c'erano in onta al regime. Il governo pontificio, come tutti i governi che sopra ogni cosa desiderano il quieto vivere, amava le borse piene e i cervelli vuoti. I forastieri avevano capito che potevano godere benissimo di tutte le libertà, tolta quella di mettere bocca in cose di religione e di politica. Quanto ai cittadini, si cercava di provvedervi coi classici somministrati a piccoli pezzetti, colla grammatica, la retorica e la teologia distese cosi comodamente, da lasciare il minor posto possibile ad alcuni studj disturbatori, come la storia, la chimica, la fisiologia; collo stuzzicare e istigare la vanità sotto pretesto di mantenere l'emulazione; con tutti, infine, gli ordinamenti ideati tanto bene dalla celebre Compagnia per deviar la mente dall'osservazione dei fatti e ottenere che a poco a poco le parole sembrassero cose, e possibilmente si battezzassero le cose per parole. Ma queste cure diligenti e pietose non avrebbero gran che servito, se a tutto non si fosse aggiunto una censura sospettosa e occhinta, che, avendo l'incarico di preservar la gente dai cattivi pensieri, vegliava entro lo Stato a che non si stampasse cosa meno che timorata e discreta, e ai confini si sbracciava a mandar indietro libri e giornali. A provvedere il giornale ai suoi sudditi ci pensava il governo, pubblicandone uno egli stesso pieno di notizie sull'India e sulla China, e non c'era bisogno che si dessero la briga di cercarne altri. Se poi, ad onta di tutte queste precauzioni, sbucava fuori di quando in quando una testa calda, la polizia era sempre pronta a mettervi rimedio, mandandola con due righette a sbollire oltre la frontiera. Di questo andare e con l'aiuto delle leggi e delle tradizioni d'un governo teocratico, che pigliava dal cattolicismo il più tenace spirito di conservazione di cui ci sia |