La conchiglia fossile.1 Sul chiuso quaderno Occulta nel fondo Noi siamo di ieri; La vela di Enea. È fresca la polve Tu, prima che desta Italia la testa Riflesso nel seno De' ceruli piani 1 Vedi su questa poesia, F. LAMPERTICO, in Rass. Nazion. del 16 giu gno 1893. Ardeva il baleno Di cento vulcani: Nell'imo de' laghi Sui tumoli il piede, T'avanza, t'avanza, Divino straniero ; Eccelsa, segreta Nel buio degli anni De' nobili affanni. Con brando e con fiaccola Sull' erta fatale Ascendi, mortale! Poi quando disceso Sui mari redenti Lo Spirito atteso Ne' lucidi porti La terra si celi: Per novo cammino. (Dalle Poesie, ediz. Le Monnier, 1894, vol. I, pag. 40.) LUIGI MERCANTINI. Nacque a Ripatransone nelle Marche ai 20 settembre 1821: si diè giovane ancora all'insegnamento; partecipò vivamente ai casi politici del 1848, e restaurato il governo de' chierici, esulò, prima nell'isole Jonie, poi in Piemonte. A Genova professò lettere italiane nel collegio femminile delle Peschiere; nel '60 fu segretario del Valerio, Commissario straordinario nelle Marche; indi fu professore di storia a Bologna, prima nell'Accademia di Belle Arti, poi nell'Università; nel '65 ebbe la cattedra di letteratura italiana nell'Università di Palermo, e in questa città morì prematuramente ai 17 novembre 1872. Cantò in forma facile e popolare la rivoluzione italiana celebrandone i fatti e gli uomini più cospicui, e diè forma ai sensi d'amor patrio de' combattenti per l'Italia, cominciando nel '48 coll'Inno di guerra: Patriotti, all'Alpi andiamo, che suonò allora sulle bocche dei volontarj, come nel '59 il canto dei Cacciatori delle Alpi: Volontario ho abbandonato, e poi il popolarissimo Inno di Garibaldi: Si scopron le tombe, si levano i morti, che, messo in musica dal maestro Olivieri, accompagnò colla foga del ritmo e delle note le vittorie dell'eroe e de' suoi seguaci. Raccolta compiuta dei suoi versi è quella che, col nome di Canti pubblicò G. MESTICA premettendovi un Discorso sulla vita e le poesie dell'A. (Milano, Ferrario, 1885). La spigolatrice di Sapri. Eran trecento, eran giovani e forti, Me ne andava al mattino a spigolare Quando ho visto una barca in mezzo al mare: E alzava una bandiera tricolore. All'isola di Ponza si è fermata, È stata un poco e poi si è ritornata; S'è ritornata ed è venuta a terra: Sceser con l'armi, e a noi non fecer guerra. Eran trecento, ec. Sceser con l'armi e a noi non fecer guerra, Ma s'inchinaron per baciar la terra. Ad uno ad uno li guardai nel viso: Ma non portaron via nemmeno un pane; Siam venuti a morir nel nostro lido. - Con gli occhi azzurri e coi capelli d'oro Quel giorno mi scordai di spigolare, - Eran trecento e non voller fuggire, PAOLO FERRARI. Lasciò un frammento autobiografico, e da esso e da proprie memorie ricavò amorosamente il figlio, professor Vittorio, un bel volume sulla vita e sull'opera paterna. Nacque a Modena il 5 aprile 1822; trasmutandosi altrove la famiglia, passò i primi anni e compì i primi studj a Paullo, a Pieve Pelago, a Massa Carrara. Nel 1838 1 Era questi, com'è noto, Carlo Pisacane, duce dell' infelice impresa contro il Borbone. 2 V. FERRARI, Paolo Ferrari, Milano, Baldini, Castaldi e C., 1899 (cfr. Rass. bibl. della letter. ital., 1899, pag. 130-131). si inscrisse al Collegio legale dell' Università modenese, la quale da Francesco IV era stata allora divisa e suddivisa in collegi-convitti per le tre facoltà (matematica, medica, legale). Il Ferrari, tra' più briosi e ribelli di que' giovani, e reo di aver satireggiato alcuno de' professori, fu escluso nel 1843 dai dodici ammittendi alla laurea, che ottenne poi quel medesimo anno, intercedendo il nonno, dalla grazia sovrana del Duca. Tornato a Massa, prese moglie e attese anche alla pratica civile e criminale, ma, principalmente, a far versi, a coltivare la sua inclinazione al genere drammatico; conobbe in questo tempo quel bizzarro Chelussi che fu il modello, con l'innesto di alcuni tratti d'un prof. Marchi dell' Univ. modenese, del Marchese Colombi. Di questi anni (1847), è la commedia in dialetto massese Baltroméo calzolaro, che fu poi ridotta in italiano (1865) col titolo Il Codicillo dello zio Venanzio, il qual rifacimento ebbe una versione veneziana con El libreto de la Cassa de Risparmio. Tornò con la sua nuova famiglia a Modena, e di lì, ai primi sentori della restaurazione ducale (1848), si allontanò, come altri che esularono, prendendo dimora nella montagna sopra Vignola. Vi attese a scrivere altre commedie; e di nuovo in Modena sullo scorcio dell'anno, abitando col padre in parte di quel fabbricato che divenne poi proprietà del Municipio e sede dell'Estense e del Museo Civico: quivi, la stanza che fu già lo studio di Paolo Ferrari fu denominata Sala Ferrari e il 3 giugno 1895 vi fu apposta una lapide, che porta i titoli delle commedie che egli vi scrisse. Tralasciando di ricordare altri lavori, de' quali lo Scetticismo (1850), diventò poi (1864) La donna e lo scettico in martelliani, facciamo menzione del primo e lieto successo che ebbe nel 1852 al Ginnasio drammatico fiorentino, la commedia, scritta l'anno innanzi, Il Goldoni e le sue sedici commedie nuove, dalla quale comincia la sua riputazione. In questo periodo quasi ogni anno produsse nuove commedie: Dante a Verona (1853), Una poltrona storica (1853); durante una malattia d'occhi, la Scuola degli innamorati (1854). Dal noto libro del Cantù sul Parini gli venne l'idea d'altra commedia, storica e satirica insieme, La Satira e Parini (1854-56), che ebbe, a cominciar da Torino, accoglienze festosissime. Nel 1859 ebbe nobilissima e precipua parte ne' moti rivoluzionarj modenesi: fu direttore, come già prima, della Gazzetta Ufficiale di Modena e di quella dell'Emilia. Commedie notevoli di questi anni sono: Prosa (1858); La medseina d'onna ragaza amalèda, scene popolari in un atto in dialetto modenese (1859), ridotte in italiano l'anno appresso; i due ricordati rifacimenti La donna e lo scettico e il Codicillo. Chiuso il periodo rivoluzionario 1 Baltroméo calzolaro, commedia in dialetto, massese, edita e illustrata da GIOVANNI SFORZA, Firenze, tip. Landi, 1899. È notevole lo scritto prepostovi dallo Sforza Massa cinquant'anni fa, anche a lumeggiare i casi della vita del Ferrari fra il 1843 e il '48. |