5 vecchia contadina di casa, con un cappello da omo che pareva uno staio. Uno di noi le disse scherzando: - E voi, massaia, non ballate? O che crede? (rispose) a tempo mio le mi' buscherate l'ho fatte anch'io, sa? - Eh! siete sempre a tempo. - Sie, gua'! sono ottanta sonati, sa? Avrai notato che gli anni fino a un certo punto si tirano a scemare; passata la linea, e visto che oramai quel che è stato è stato, se prima si diceva trenta invece di quarantotto, allora invece di settanta si dice novanta; e all'ambizione delle carni sode, succede quella delle grinze. Qui entrò in terzo il Dottore e disse: La nostra nonna, eh? e come si ribrezza tuttavia! lo fareste un tresconcino? Sta'a vedere che lo fareste? — E allora tutti:— Sì, fatelo, fatelo; via fatelo, qui col so' Dottore; sì; l'ha a fare anco lei: se lo fa Pasqua, l'ha a fare anco lei: bambini, riprendetevi per la mano: Mosca, Mosca (il capo violino), su un po' di trescone. E la vecchia tirata in mezzo come Cristo sulla croce, in mezzo agli urli e alle chioccate di mano,3 buttò via il cappellaccio e cominciò a ringarzullirsi e a rizzare il collo come un galletto, e preso il tempo del suono, eccotela a prillare sulle punte dei piedi, ritta interita e colle mani sui fianchi che pareva un fuso co' manichi. Il Dottore la secondava sciamannato e disadatto, buttando le gambe a íccasse, come si vede fare a un par di calzoni quando gli scuotono. Da tutte le parti fioccavano le risate e gli evviva che facevano un baccano. Intanto uno di noi seduto in un angolo con una bella ragazza, nel tempo che discorrevano del più e del meno, si senti volare agli orecchi questo pezzo di dialogo: O che ti confondi? per ora lasciali fare, poi ci rivedremo.. Eh io non l'ho con lui! (rispondeva un altro) l'ho con lei, che è stata sempre una civetta. — Si voltò e vide che gli occhi non erano fissi sopra di lui, ma più là sopra un altro de' nostri compagni seduto parimente accanto a un'altra bella ragazza, e vide che si tenevan per la mano li coram populo senza complimenti. I contadini si sconcertano facilmente se si trovano scorbacchiati : ed egli che lo sapeva, gridò al compagno: - Ehi costà, lasciamo stare le fanciulle, chè qua (accennando i due che aveva dietro) c'è il fratello che si lamenta. — E chi è questo fratello? (rispose arditamente la ragazza). E l'amico prendendo quello che minacciava, per un braccio: - Eccolo qui, non è vostro fratello questo? - Io? gnornoe (diceva intanto quello). O dunque, che brontoli a fare?-O che bronciolao? non bronciolo io: per me faccino un po' quel che vogliono; 7 1 Si ripicchia, si liscia. 2 Modo comune per significare il verificarsi di cosa strana. 3 Allo schioccare delle mani, agli applausi. Ringalluzzirsi. 5 Frullare, girare. 7 Di qua e di là, come un'x. 6 Tutta d'un pezzo. 8 Si turbano. - Si, era? Io noe, non ne so nulla io. - In- era lui là.... somma зe non era nessuno tanto meglio. fatto un gran temporale, e il vento, i lampi, i tuoni e gli scatarosci dell'acqua facevano un casa del diavolo. L'ora della festa era passata, ma il sere non aveva core di dirci andatevene. Sbadigliava, si stirava, s'affacciava alle finestre, ogni po' guardava e apriva l'uscio: - E pure pare che si diradi! domandava che ore erano, e Dio sa quanto si pentiva d'aver costretto a rinculare l'criolo di sala. — (DalI Epistolario, I, 238.) GIUSEPPE REGALDI. Nacque in Novara agli 8 novembre 1809; studiò leggi a Torino; respinto all'esame di laurea, se ne vendicò col bandire pei 2 aprile 1833 un' accademia di poesia estemporanea, che riuscì un trionfo. Si diede allora all'arte dell'improvvisare, e raccolse plausi per tutto prima a Milano e a Parma, donde la sospettosa polizia lo cacciò poi in Francia, dove nel '39 fece meravigliare marsigliesi e parigini. L'Autran lo salutava Vagabond comme Homère et blond comme Apollon: Alfonso Lamartine gli diceva: Tes vers jaillissent, les miens coulent, Dieu leur fit un lit différent: Les miens dorment et les tiens roulent: Je suis le lac, toi le torrent; e l' Hugo: Vous avez l'âme, et vous avez la voix: courage, poète: la poésie n'est qu'un souffle, mais ce souffle remue le monde! Tornato in Italia, fu a Roma, ove ebbe persecuzioni di emuli e toccò una solenne bastonatura anonima, e a Napoli, ove stette più a lungo, sinchè nel '49 fu imprigionato e bandito. Salpò allora per l'Oriente, visitando la Palestina, l' Egitto, che rivide anche nel '69 per l'apertura dell' istmo di Suez, l'Asia minore, dove visitò Kossuth, e la Grecia, riportandone dopo quattro anni memorie e canti. Fermatosi in Piemonte, attese a compilar quelle e a limar questi, e di Canti e Prose fece una edizione in due vol. (Torino, Franco, 185861). Negli ultimi anni prese più particolarmente a soggetto delle sue poesie i segreti della natura (L'acqua, polimetro, Torino, 1878; L'occhio, Bologna, 1871, ec.) e i trovati e portenti dell' umano sapere (Il telegrafo elettrico, Il traforo dell' Alpi Cozie, Il bosforo di Suez, ec.), riuscendo felicemente nell' ardua prova di dar forma d'arte alle verità scientifiche. Dopo il 1859 fu professore di storia a Parma, a Cagliari e a Bologna (1866), dove morì ai 14 febbrajo 1883, e G. Carducci diede l'estremo vale al chiomato bardo, 1 Rovesci. 2 Vedi E. STAMPINI, La lirica scientifica di G. R., Torino, 1880. Per quelle di argomento civile vedi D. NOSENZO, La poesia patriottica e civile di G. R., Varallo, Camaschella e Zanfa, 1900. all'ultimo dei trovatori ». Novara nell' 87 gli eresse un monumento. Dopo l'ediz. torinese cit. si notano de' suoi versi le stampe Le Monnier, 1874, con prefaz. di E. CAMERINI, e '94 in due volumetti a cura di F. ORLANDO. In prosa, lascia Storia e Letteratura, Livorno, Vigo, 1874, e l'Egitto antico e moderno, Le Monnier, 1882, ambedue con prefaz. di G. CARDUCCI; La Dora, Torino, 1867, un Discorso su Gaudenzio Ferrari, Firenze, 1875, ec. II Telegrafo elettrico. A sir Giacomo Hudson. (Pel getto del cavo sottomarino fra Genova e la Sardegna, 1855.) Non più fra noi la folgore È di Giove il furor; quïeta or vola Emulatrice dell'uman pensiero. Le cittadi varcando e le foreste Con uguale tenor compianti e feste, E il pianto eterno dell'età codarde. Tempo divora e spazio Dovunque avvien che uman voler lo chiami; Che nella sua parola Farà del mondo una famiglia sola. Questo fecondo spirito Coll'indice magnete all' uom risponde, Discorre infaticabile Terre infinite e lanciasi nell'onde, E vola e guizza, e non lo frena l'impeto Mentre le ime viaggia acque muggenti. Sui Cozii gioghi un suon di plauso udissi, Commerci aprendo, e spinta entro gli abissi 1 Vedi C. NEGRONI, Disc. inaugurale pel monum. a G. R., Novara, Miglio, che contiene notizie della sua vita. Il Piemontese accorto Stringea di nuovi amplessi Occaso ed Orto. I parlanti metalli a te fidati, Da cui propizii Ausonia attende i fati All'ombra dell'Italica bandiera. Gloria a colui che provvido, Dell'elettro i misteri al mondo apriva E colla pila ignifera Della scienza i gradi ardui saliva. Gloria al Savio lombardo, a lui che il vigile Occhio nel buio immerse Della Natura, e ignoto ver scoverse. Salve, o novel Prometeo! Tu rapisti la vivida scintilla Che si propaga e rapida Sen va come il desio di villa in villa; Che del mio verso agli ardimenti è segno. Qual gioia in cor ti nacque, allor che intento Dischi, e fluì da triplice elemento L'occulto foco che distrugge e suscita Febbre gli atomi investe e li governa? Oh te bëato! i Superi Non t'afflisser di rigida sentenza, Apristi di mirabil conoscenza ; Nel conquistato vero, Degna di te sede immortal ti diêro. Dall' ardua stella ove abiti Vigila il gran trovato, onde alle genti Sia germe sol di libere Cittadinanze e di non bassi intenti; E spazio e tempo e verbo alfin s'accordino A far secura e lieta, Dopo tanto patir, l' umana creta. E voi, lontani popoli, Che ricchi e forti a vostro pro volgete Il ben del senno Italico, Se di giustizia lo intelletto avete, Deh! lasciate per Dio, che torni incolume Arbitro de' suoi dritti il mio paëse. Ahi di sua colpa fu maggior l'ammenda. Ovunque d'Eva la famiglia ha sede, Che sia legge d'amor, legge di fede, Vendicato l'onor nei di venturi. (Dalle Poesie a cura di F. Orlando, vol. II, pag. 427.) CAMILLO DI CAVOUR. Dall'antica e nobil famiglia dei Benso, originaria di Chieri e che dalla Rocca di Cavour ebbe titolo marchionale, nacque Camillo in Torino ai 10 agosto 1810. Educato nell'Accademia militare, ne usci nel 1826 luogotenente del genio; era stato già fatto paggio del Principe di Carignano, ma quel < basto gli pesava, e lo fece capire: una lettera di Carlo Alberto di quel tempo (31 decembre '26) dice: « Le petit Camille Cavour a fait le jacobin, et je l'ai mis à ma porte: pleurs, lamentations de toute la famille. Giacobino era già dunque detto a 16 anni! Non lunga fu la sua carriera militare, dacchè, per punizione del modo libero di pensare e di parlare, mandato di guarnigione al forte di Bard, diede le dimissioni (1831). Attese allora agli studj di agricoltura e di economia, sempre più confermandosi nelle idee liberali, ch' ei professava per intimo sentimento, pur sapendo, come scriveva al fratello nel '28, che non erano quelle de' suoi, e sebbene l'interesse personale l'invitasse ad ascriversi sotto altra bandiera. Ma egli era persuaso della bontà di coteste idee e del loro definitivo trionfo : « fra diciotto anni, scriveva egli nel 1830 con singolare esattezza profetica, la |