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Le circostanze naturali che vogliono questa varietà nel modo di coltivar le terre, la vogliono anche nel modo di possederle. Nella pianura irrigua un podere che non avesse certa ampiezza non si potrebbe coltivare con profitto, perchè richiede complicate rotazioni, culture molteplici, difficili giri d'acque, e una famiglia intelligente che ne governi la complicata azienda; quindi ogni podere forma un considerevole patrimonio. La famiglia che lo possiede è già troppo facoltosa per appagarsi di quella vita rurale e solitaria, in luoghi non ameni; dimora dunque in città; villeggia sugli aprichi colli e sui laghi; e sovente conosce appena per nome il latifondo che la nutre in quell'ozio. La coltivazione trapassa alle mani d'un fittuario, il quale per condurre debitamente l'azienda debb'essere pure capitalista; e ve ne ha taluni più ricchi dei proprietarj, e talvolta possessori essi d'altre terre, confidate ad altri coltivatori. Vivendo nel mezzo d'ogni abondanza domestica, circondati di numerosi famigli e cavalli, formano quasi un ordine feudale in mezzo a un popolo di giornalieri, che non conoscono ulteriori padroni. Qui surge un ordine sociale affatto particolare. Un distretto che abbia una ventina di comuni e misuri un centinajo di chilometri, conta in ogni comune quattro o cinque di queste famiglie, che spesso vivono in casali isolati, a guisa degli antichi Celti. Sono sparsi fra mezzo a loro alcuni curati, qualche medico, qualche speziale, il commissario, il pretore che amministra la giustizia e le tutele famigliari. Questa è l'intelligenza del distretto; tutto il rimanente è numero e braccia. Ogni coltivatore vende grani e compra bestiami, e occupa fabri e falegnami; ma il commercio e l'industria non vanno oltre; appena qualche bottega serve al rustico apparato del contadino. Si direbbe che questo è l'antico modello su cui si formò l'agricultura britannica. Ecco gli uomini che sotto le mura di Pavia e appiè del castello di Binasco andavano senz'armi ad affrontar Bonaparte vincitore di Montenotte e di Lodi.

Se dal fondo della pianura saliamo ai monti, troviamo un ordine sociale infinitamente diverso. Le ripidi pendici, ridotte in faticose gradinate, sostenute con muri di sasso, su le quali talora il colono porta a spalle la poca terra che basta a fermare il piede d'una vite, appena danno la stretta mercede della mañuale fatica. Se il coltivatore dividesse gli scarsi frutti con un padrone, appena potrebbe vivere. La terra non ha quasi valore, se non come spazio su cui si esercita l'opera dell'uomo, e officina quasi del coltivatore; e il paesano è quasi sempre padrone della sua gleba, o almeno livellario perpetuo: con altri patti le vigne e gli oliveti ritornerebbero ben presto selva e dirupo. Mentre una parte della famiglia vi suda, e alleva all'amore del suolo nativo la povera prole; un'altra parte scende al piano ad esercitarvi qualche mestiere, o si sparge trafficando ol

tremonte, e riporta alla famiglia i risparmj, che le danno la forza di continuare la sua lotta colla natura e colla povertà. Un distretto di questa fatta conta tante migliaja di proprietarj quante sono le famiglie; ma la ricchezza non viene dal suolo, e vi s'investe come frutto delle arti o del traffico. Laonde si vede una singolare mistura di costumi rusticali e d'esperienza mondana, l'amore del lucro e l'ospitale cordialità, la facilità di saper vivere in terra straniera, e l'inestinguibile affetto di paese, che presto o tardi fa pensare al ritorno. In alcuni monti la possidenza privata è ancora un'eccezione; il comune possiede vastamente i pascoli e le selve e le acque e le miniere; nè basta sempre l'esser nato da gente nata in paese; ma bisogna appartenere ai patrizj del comune, agli originari. Senza avvedersi, essi conservano ancora una comunanza, la quale rimonta alle genti celtiche; appena ha fatto luogo qua e là al possesso romano; e non mai sofferse vera signoria feudale, ma onorò solo negli antichi conti e capitani il nome del principe e l'autorità delle leggi. Alcune di queste comunanze, pochi anni sono, tenevano ampie valli; la Leventina, lunga più di trenta miglia, era un solo comune, e si suddivise prima in otto e poscia in venti; il distretto di Bormio era un solo comune, e ancora conserva indivisa fra i nuovi comuni molta parte dall' antica proprietà. In molti luoghi il comune piccolo si distingue dal comune grande, o diremo la moderna parocchia dal primitivo clano. Questo regime appare più puro ed assoluto in quelle valli che si aggregarono alle leghe dei Grigioni, e soprattutto nella Mesolcina, perchè sfuggirono alle riforme dei governi amministrativi.

Alcune delle estreme valli sono troppo alpestri per l'agricultura; la neve le ingombra nove mesi dell'anno, ma le trova deserte e silenziose. Chiusi i poveri casolari, il pastore discende per le valli coll'armento; gli uomini appiedi, le donne sui cavalli, cogli infanti nelle ceste come le tribù dell'oriente. A brevi giornate di cammino la carovana si arresta dove il contadino del piano l'aspetta, le vacche alpine stanziano qualche giorno a brucare gli esausti prati; poi, inseguite dalle brine, passano a più bassi campi, fino ai prati perenni. Quando la natura si riapre, la famiglia ritorna al suo viaggio, rivede fioriti i campi che lasciò bruni e squallidi; risale lungo i tortuosi torrenti, trova i pochi che rimasero nella valle a diradare le selve, e sudare alle fucine; e si sparge sulle alpi, che così chiama ancora quei pascoli dove la primitiva comunanza non conosce altra disegualità che il numero degli armenti.

Fra questi estremi, sono le belle colline coltivate come il monte, ubertose come il piano. Quivi una contadinanza, la quale non possiede la sua terra, eppure non emigra, può tributare al padrone il frumento, divider seco il vino e i

bozzoli, e serbar tanto per sè da vivere colla famigliola, e allevarla nel semplice tenore de' suoi padri. Quivi un comune è disseminato in venti, in trenta, in quaranta casali di vario nome, che la chiesa, posta sul poggio più ameno, raccoglie in un comune sentimento di luogo. Liberi di coltivare la terra a loro talento, purchè non si defraudi dal pattuito frutto il proprietario, essi le sono affezionati come se fosse loro proprietà. Se il padrone si muta, il colono subisce la legge del nuovo, e talvolta una famiglia dura da tempo immemorabile sullo stesso terreno. Tutto l'anno è un continuo lavoro; le viti, il gelso, il frumento, il granoturco, i bachi, le vacche, la vangatura e la messe, il bosco e l'orto danno una perenne vicenda di cure, che desta l'intendimento, la previdenza e la frugalità. Lavorando sempre in mezzo alla famiglia, senza comandare nè obedire, il contadino pur si collega al lontano commercio pel prezzo de' suoi bozzoli, e pel lavoro che la seta porge alle sue donne. Nei siti meno lieti e più ripidi, dove il cittadino non ama investire capitali, l'agricultore è spesso il padrone del suo terreno; e rappresenta quello stato sociale ch'era così sparso negli aborigeni, quando furono i secoli della maggior forza d'Italia e del più puro costume.

Questi aspetti della vita rusticale nel piano, nel monte e nel colle, si spiegano talvolta in modo aperto e risoluto; ma trapassano per lo più dall'uno all'altro con varia tessitura, che il commercio e l'industria rendono più complicata. Questa varietà palesa quanto l'agricultura sia antica fra noi, ed in quanti particolari modi abbia sciolto i singoli problemi, che le varietà naturali del paese le aveyano proposto.

Per effetto di tuttociò, la pianura lombarda è la più popolosa regione d'Europa. Essa conta per ogni chilometro di superficie 176 anime, mentre la pianura belgica ne ragguaglia solo 143. E se si comprende nel computo anche la parte alpina, ancora si hanno 119 abitanti, dove la Francia ne conta solo 61 e nella sua parte meridionale, che è più meridionale della Lombardia, soli 50. La popolazione specifica nelle Isole Britanniche e nell'Olanda giunge solo a due terzi della nostra; nella Germania alla metà; nel Portogallo e nella Danimarca a un terzo; nella Spagna a un quarto; nella Grecia a un ottavo; nella Russia a un decimo. — Il nostro popolo adunque per effetto di principj amministrativi al tutto suoi, come quelli del censo perpetuo, delle sovrimposte comunali, e della servitù vicendevole d'aquedutto, fecondò in tal modo la sua terra, che sovra lo spazio dove la Francia nutre una famiglia, ne nutre all'incirca due, pur pagando a proporzione di superficie la stessa somma d'imposte

Gli abitanti delle città sono quattrocentomila; e molti oppidi e borghi di sei, di otto, di diecimila abitanti, benchè

non abbiano nome di città, contano numerose famiglie civili; la possidenza è diffusa in tutte le classi; onde, ogni cosa considerata, è forse questo il paese di Europa che offre il maggior numero di famiglie civili in proporzione all'inculta plebe. (Dalle Notizie naturali e civili su la Lombardia, vol. IV, pag. 275 e segg. delle Opere edite ed inedite, ediz. Le Monnier.)

ALESSANDRO POERIO.

Figlio primogenito al celebre avvocato barone Giuseppe, fratello a Carlo, il glorioso martire, nacque Alessandro in Napoli nell'agosto del 1802, e seguì il padre in esilio a Firenze nel 1815; poi, fallita la rivoluzione del 1821, per la quale si battè a Rieti, lo seguì a Gratz, ove con altri era il Poerio stato confinato. Studiò in varie università di Germania, e a Weimar conobbe e frequentò il Goethe. Nel 1823 fu ai Poerio permesso di soggiornare in Firenze, ed Alessandro conobbe i dotti e i patriotti d'ogni parte d'Italia, ch'ivi dimoravano. La rivoluzione del 1830 lo attrasse a Parigi, e meditava con Guglielmo Pepe di soccorrere gli insorti dell'Italia centrale nel 1831. Potè nel 1835 ritornare col padre in Napoli, dove attese agli studj e a preparare i moti politici. Nel 1847 era a Roma prendendo parte al risveglio della vita nazionale, e inneggiando alla eterna città, dalla quale « ancor si noma ogni alta cosa. Tornato in Napoli, consentaneo a ciò che aveva scritto nella poesia il Risorgimento: «Non fiori, non carmi Degli avi sull'ossa; Ma il suono sia d'armi, Ma serti sien l'opre, si ascrisse volontario al corpo di spedizione del Pepe, e con lui passò il Po, reeandosi a Venezia. Prese parte ai combattimenti contro gli Austriaci, e in quello a Mestre del 27 ottobre 1848 fu ferito gravemente e ripetutamente alla gamba destra, cadendo al grido Viva l'Italia, e con intrepidezza soffrendo l'amputazione, senza che ciò lo salvasse dal morire il successivo 3 novembre, compianto dai commilitoni e dai veneziani.

Stampó, senza il suo nome, nel 1843 a Parigi dal Didot, Alcune Liriche, che N. Tommaseo, suo amicissimo, giudicò troppo forse meditate e limate ma pur uscenti dal pieno petto; » 2 e veramente ne' suoi versi è un po' di durezza e di sforzo, ma vi si trova pure nobiltà di sensi e di concetti, e spesso efficacia. Tutte le sue poesie raccolse MARIANO D'AYALA (Firenze, Le Monnier, 1852; Napoli, 1860): altre cinquanta inedite pubblicò V. IMBRIANI nella

1 Vedi R. KÖHLER, Ein Brief G. an A. P. u. Aufzeichnungen d. letzteren seinem persönlichen Verkehr mit G., in Kleinere Schriften, Berlin, Felber, 1900, pag. 145.

2 Vedi Dizionario estetico, Milano, Reina, 1853, II, 252.

Rivista Bolognese del 1869-70: e qualehe altra cosa G. AMALFI a Sorrento nel 1886. V. IMBRIANI, che gli era nipote, oltre alcuni Pensieri inediti (1882), raccolse il suo Epistolario del 1848 col titolo A. Poerio a Venezia (Napoli, Morano, 1884). Altre poesie inedite mise a luce V. DEL GIUDICE, I fratelli Poerio, Torino, Roux, 1899.

[Per la biografia, vedi, oltre i Cenni preposti dal D'AYALA alla cit. ediz., e riprodotti nelle Vite degli Italiani benemeriti della libertà, Firenze, Cellini, 1868, p. 332, A. VANNUCCI, I martiri della libertà ital., Milano, Bortolotti, 1880, III, 345, e GIUS. BUSTELLI, A. P. cittadino, soldato e poeta, in Scritti, Salerno, tip. Nazio nale, 1878, II, 114; sulle poesie, vedi P. ARDITO, nel Giorn. Napoletano del 1878, vol. VIII.]

A Giacomo Leopardi.

O anima ferita

Da la discorde vita,

Vaga qual eri de l'eterna idea

Forse più ch'altra fosse anima umana,
Meritamente, a breve andar, ti parve

La terra amara e vana

Al paragon di tue beate larve.
E tu, Giacomo, tu gloria secura,
Tu maraviglia dell'età futura,

Passasti in fra la gente oscuro e solo.
Ma poi che accolse le tue membra vinte
Dalla invocata morte il freddo avello,
Pari a sublime sprigionato augello,
S'alzò tua fama a volo.

Alla vergine ignara

Cui tenta il sen d'amor cura segreta,
La tua canzon fu cara;

E quei che stanca nell'eterne cose
La mente irrequïeta,

E l'esule affannoso a cui ritorna

Più bella della patria ognor l'imago,
E qualunque erra qui misero e vago
D'un ben che gli traluca, e non aggiorna,
Sentir l'imperio del gentil tuo verso;
Chè tu fosti, o cantore,

Intelletto e pietà d'ogni dolore.
Dimmi, e da quelle note

Si meste, in che de' tui

E de gli affanni altrui tanto sospiri,
Dimmi, com'esser puote

Ch'aura di greca giovinezza spiri?
E lamentavi che la tua perisse

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