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Maria.

Sono dunque, o Roberto, i celebrati
Vezzi che impunemente occhio non vede?
A cui non vuolsi pareggiar veruna
Delle donne mortali? Affè la lode
Non fu mercata a caro prezzo. Il grido
Di bella universal null'altro costa
Che il farsi a tutti universale.

Elisabetta (con un beffardo sorriso).

E troppo!

Nel vero aspetto vostro or vi mostrate!
Finor non foste che una larva.

Maria (infiammata di sdegno, ma con dignità).

Umano

Fu l'error che mi vinse in giovinezza;
Mi tradi la potenza, io non m'infinsi,
Io non mentii. Con nobile alterigia
Sdegnai la tenebrosa arte dei vili.
Il peggio è di me noto, e dir mi posso
Di mia fama miglior. Te sciagurata,
Se cade un giorno l'onorato manto,
Di cui sapesti, ipocrita scaltrita,
Celar la tresca de' tuoi sozzi amori!
Figlia d'Anna Bolena, ereditata
L'onestà tu non hai. Note già sono
Quelle caste virtù che alla mannaja
L'adultera tua madre hanno tradotta.

Talbo (entra fra loro).

Maria.

Talbo.

O potenze del cielo! a che siam giunti?
Questa, o Maria, la sofferenza? Questa
L'umiltà?

Sofferenza? Io tollerai
Quanto può tollerar petto mortale!
Via, codarda umiltà! via dal mio core,
O conculcata pazienza! Infrangi

Le tue catene, e dall'abisso irrompi,

O lungamente rattenuto sdegno!

E tu che desti alla serpe irritata

Uno sguardo omicida, arma il mio labbro
Di venefiche punte!...

Ella vaneggia!

Ella è tratta di senno! Ah, tu perdona

Alla delira provocata! (Elisabetta, muta di

rabbia, getta furibondi sguardi sopra Maria.) Leicester (nella massima agitazione cerca di allontanare Elisabetta).

Maria.

Chiudi

L'orecchio al vaneggiar della furente!
Fuggi da questo sventurato loco.

Il trono d'Inghilterra è profanato

Da una bastarda! Il popolo britanno

Da una mima è tradito! Ove il buon dritto

Regnasse, tu saresti nella polve
Stesa a' miei piedi, chè tuo re son io.

(Elisabetta parte velocemente. Il Talbo e il Leicester la seguono nel maggior disordine.)

(Dalla Maria Stuarda di F. SCHILLER, atto III, sc. 4.)

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In Recanati, città delle Marche, nacque d' antica e nobil famiglia Giacomo Leopardi, primogenito del conte Monaldo e di Adelaide dei marchesi Antici, ai 29 giugno 1798. Suo padre Monaldo (1776-1847), educato da un gesuita, si mantenne cattolico fiero e nemico delle nuove idee, che anche in Recanati penetravano, tanto che corse pericolo della vita per la vivace protesta, che fece contro l'abolizione de' titoli nobiliari. Amò gli studj e compose varie operette morali, storiche e polemiche contro i novatori e contro anche i conservatori più tepidi e tolleranti, ch' ei non fosse; raccolse una ricca biblioteca, che nel 1812 consacrò filiis amicis civibus. Non così si mostrò abile all'amministrazione domestica; sicchè nel 1803 ne fu legalmente interdetto e, prosciolto poi nel 1820,

non la riassunse giammai, continuando a tenerla la moglie, che con rigorose economie restaurò, dopo trentacinque anni, il patrimonio.2 Giacomo ebbe la prima istruzione in famiglia col fra

tello Carlo e colla sorella Paolina: maestri, prima un Giuseppe Torres messicano ex gesuita e già precettore di Monaldo e che rimase in casa Leopardi ben 37 anni; dal 1809 in poi, il sacerdote marchigiano Sebastiano Sanchini, che fu sempre caro al suo grande alunno, sebbene non gli avesse data, nè più avrebbe potuto, se non un' elementarissima istruzione. « Alla sua eroica fanciullezza, scrive il Giordani, nel Proemio al terzo volume delle Opere di Leopardi, niuno potè arrogarsi d'insegnar nulla ». Già fino da' dieci anni, s'era dato a provvedere da sè medesimo alla propria cultura; dai tredici ai diciassette, passando lunghissime ore nella biblioteca paterna, s'era immerso nello studio della filologia latina e greca. La sua salute ne soffri tanto, che rimase per tutta la vita malaticcio e deformato nelle spalle, sì da parer gobbo. Cade in questo tempo (1817) l'inizio della sua corrispondenza epistolare con Pietro Giordani, che esortava il già dotto giovinetto alla moderazione nello studio: consiglio, che non accade frequentemente di dover dare ai giovani. E pur di questi anni il primo amore suo, che fu per Geltrude Cassi-Lazzari, cugina paterna, la quale, già maritata e allora sui ventisei anni, dimorò in Recanati in casa Leopardi, dall'11 al 14 dicembre del 1817 e destò fugace ma fervida passione nel giovinetto, che ne lasciò ricordo in una prosa, una specie di diario dei primi dieci giorni che seguirono alla partenza della Cassi, e compose allora l'elegia Dove son? dove fui? che m'addolora? che è, tranne il frammento Io qui vagando, tra le rifiutate dall'autore, come rifiutato, salvo pure un frammento e dimenticato, fu il poemetto dell'Appressamento alla morte. A quella elegia dovevan tener dietro altre tre, di cui si conservano gli argomenti inediti fra le carte napoletane. Del 1818 (circa il giugno) ci rimane poi l'altra Tornami a mente il dì che la battaglia, che s'intitola Il primo amore. Pubblicandole più tardi, il poeta pospose le due elegie e assegnò ad esse la data 1817.2 Il padre e la famiglia avrebbero voluto avviarlo alla carriera ecclesiastica; ma Giacomo, sebbene, secondo il costume delle famiglie come quella di Monaldo, fin verso il ventunesimo anno vestisse l'abito di cherico, esitò, mostrandosi già dal 1818 disposto a ben altri pensieri. Le canzoni A Dante e All' Italia, che nella stampa del '18 e del '24 dedicò

Roma, Befani, 1885, e sempre dello stesso, I genitori di G. L., Recanati, Simboli, 1887; R. BONARI, I genitori di G. L., Napoli, 1886.

1 Vedi su Paolina C.ANTONA-TRAVERSI, La giovinezza di P. L., Roma, Trevisini, 1888, e dello stesso Paolina Leopardi, Città di Castello, Lapi, 1898; E. COSTA, in Note leopard., Milano, Lombardi, 1889, nonchè le Lettere di P. L. alle sorelle Brighenti, pubbl. dal COSTA, Parma, Battei, 1877.- Su Carlo, vedi P. VIANI, Appendice all' Epistol. di G. L., Firenze, Barbèra, 1878, pag. LXXIV; C. ANTONA-TRAVERSI, in Studj cit., pag. 179, e O. ANTOGNONI, Un recanatese in Roma e i fratelli L., in Bibliot. delle scuole ital., IX (1900), pag. 129.

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2 Vedi G. CHIARINI, Il primo amore e le elegie di G. L., nella Rivista d'Italia, III, 1 (1900), pag. 5 e segg.; G. TAMBARA, La giovinezza di G, L., Udine, Tosolini, 1900.

al Monti, e che rimontano a quest' anno, spiacquero al padre per i sentimenti che il figlio vi mostrava ben diversi dai suoi, ed essenzialmente mutati da quando nel 1815 scriveva una Orazione < per la liberazione del Piceno ». Il Giordani, il quale con gran compiacimento e conforto di Giacomo continuava ad esser con lui in relazione epistolare, e che nel settembre 1818, trattenendovisi circa quindici giorni, lo aveva visitato in Recanati, fu creduto, ma a torto, principale autore del notevole cambiamento d'idee, politiche prima e quindi filosofiche e religiose, che in lui avvenne; 2 certo è però che egli ebbe una grande e benefica efficacia sull'animo aperto ad ogni impressione di Giacomo e che, confortandone gli studj, presenti in lui una fulgida gloria italiana, e celebrò nel giovinetto oscuro e infermiccio di Recanati il primo prosatore del suo tempo, quale, cioè, egli se lo immaginava, fornito della lingua de' nostri trecentisti e dello stile de' greci. – Dobbiamo a questo punto ricordare l'amore, che pur da alcuni è messo in dubbio,3 di Giacomo per quella fanciulla che chiamò Silvia, e pare fosse Teresa Fattorini (1797-1818), tessitrice, figlia del cocchiere di casa. Nè questo fu il suo solo amor giovanile, dacchè, lasciando della Elvira ricordata nel Consalvo, che può essere altro nome dato alla Fattorini, ovvero anche denominazione senza rispondenza colla realtà, sembra che più tardi amasse un'altra popolana, Maria Belardinelli, ch' ei chiamò Nerina e pianse morta nelle Ricordanze composte nel 1829; altri fa, tuttavia, di Silvia e Nerina una sola e medesima persona. Il fratello Carlo ammette i due amori, giudicandoli, forse assai rettamente « molto più romanzeschi che veri»; e segue: « Vedevamo dalle nostre finestre quelle due ragazze, e talvolta parlavamo a segni. Amori, se tali potessero dirsi, lontani e prigionieri. Le dolorose condizioni di quelle due povere diavole, morte nel fiore degli anni, furono bensì incentivo alla fantasia di Giacomo a crear due de' più bei tratti delle sue poesie ».7-Intanto, crucciato e martirizzato

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1 Per questa dedica e per la risposta del Monti al Leopardi, vedi F. D'OviDIO, Un giudizio di F. De Sanctis smentito da un documento, Napoli, 1889. 2 Vedi E. COSTA, P. Giordani e la famiglia Leopardi, in Spigolature storiche e letter., Parma, Battei, 1887.

3 Vedi G. CHIARINI, op. cit., pag. 17.

Vedi G. MESTICA, Gli amori di G. L., nel Fanfulla della dom., 4 apri le 1880, e ora nel volume Studj leopardiani, Firenze, Succ. Le Monnier, 1901, pag. 60-190.

5 Vedi A. STRACCALI, nel Commento ai Cunti di G. L., Firenze, Sansoni, 1892, pag. 68.

6 Ad es. G. BRANCA, Gli amori di G. L., Macerata, Mancini, 1882, e G. A. CESAREO, Nuove ricerche su G. L., Torino, Roux, 1893, pag. 3 e segg. ; vedi anche una lettera di L. PIERETTI nella Tribuna del 19 maggio 1897. La questione è riassunta da O. BACCI, in Giorn. stor. d. lett. ital., XXI, 422: ma vedi, in generale, E. BOGHEN-CONIGLIANI, La donna nella vita e nelle opere di G. L., Firenze, Barbèra, 1898; e G. CHIARINI, L'amore nel Leop., in Rivista d'Italia, I, numeri 6 e 7.

7 Riferito dal VIANI, Appendice cit., pag. xxxvI.

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sempre dal pensiero» (Epistol., ediz. del 1892, n. 33), ch'era il suo maggior carnefice, attristato anche da una malattia d'occhi, oltrechè grandemente debilitato di nervi e impedito di occuparsi de' suoi studj, con uno smoderato e insolente desiderio di gloria » (Epistol., n. 17),1 e conscio ormai della sua dottrina e del suo ingegno, egli anelava di recarsi in una gran città. La sua condizione di corpo e di spirito in questo tempo ei la ritrae così al Giordani: Insomma, io mi sono rovinato con sette anni di studio matto e disperatissimo in quel tempo che mi andava formando e doveva assodarsi la complessione. E mi sono rovinato infelicemente e senza rimedio per tutta la vita, e rendutomi l'aspetto miserabile, e dispregevolissima tutta quella gran parte dell'uomo, che è la sola a cui guardino i più; e coi più bisogna conversare in questo mondo» (Epistol., n. 51). Nè in patria trovava con chi discorrere di cose letterarie, sicchè ei la disse borgo selvaggio e sepolcri di vivi, e l'esistenza a cui egli era condannato descrisse amaramente al Giordani (Epistol., n. 23). In famiglia v'era come un muro di ghiaccio fra lui e i genitori, e la plebe lo scherniva chiamandolo « il gobbo ». I genitori s'opponevano a'suoi disegni, per le ristrette condizioni domestiche e per timore del suo totale pervertimento a contatto d'un mondo così diverso. Il suo carteggio con letterati ben noti e di parte liberale gli era intercettato; egli medesimo, sorvegliato; con riprovevole sistema d'educazione, nieute ei sapeva della rovina finanziaria domestica. Aggravandosi le condizioni fisiche, crescendogli lo sconforto e la malinconia, fece nel luglio del 1819 col fratello un tentativo di fuga dalla casa paterna, che non riuscì,3 anzi accrebbe la sorveglianza domestica e le sciagure della sua vita. Molto fu scritto pro e contro circa le relazioni di Giacomo co' suoi. Tutto sommato, se al padre non arrise la fortuna concedendogli un figlio simile a lui nel modo di sentire e di pensare e nel suo ostinato sanfedismo, certo è che fu disgrazia al poeta nascere da un tal padre, e da una madre così disumanamente fanatica da augurarsi nelle malattie dei figli che morissero pure, se fosse loro dischiuso il cielo, ma così umanamente interessata e massaja da preferire il ristabilirsi del marchionale patrimonio alla loro felicità avvenire. Fu insomma una sventura reciproca l'esser legati da si stretti vincoli domestici. Fra quei genitori e quei figli, dei quali Carlo cercò la felicità fuori di casa e contro il voler de' suoi, Giacomo langui miseramente e Paolina, dopo varj disegni di matrimonio, restò pulzellona: era

1 Vedi MAZZOLENI, Il sentim. della gloria nel L., Bergamo, Ist. d'arti grafiche, 1898.

2 Vedi P. MORICI, Reminise. leopard., nell'Ordine di Ancona, 20-21 giugno 1881.

3 Vedi G. PIERGILI, Le tre lettere di G. L. intorno alla divisata fuga, Torino, Loescher, 1880; G. MESTICA, G. L. e i conti Broglio d'Ajano, nella Rivista d'Italia del 15 settembre 1898.

Pensieri ec., vol. I, pag. 411-12,

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