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e definitivo esperimento della possibil virtù rimasta alle forme del passato, come poi col Rinnovamento additava e schiudeva securamente la via dell'avvenire.

Tutta, o quasi, cotesta letteratura, abbiam detto, ha in sè il germe, che ne ha menomato il valore quanto all'arte: ottenuto il fine politico, a cui essa tendeva, que' versi e quelle prose sono diventate più che altro documenti di storia del nostro risorgimento politico; si leggono, senza dubbio; ma raro è che comunemente si rileggano. Lo stile pur anco di que' libri, ora involuto e nebuloso, ora violento, concitato, e quasi rabbioso, era adattato a que' tempi e a quegli eventi: non più alle condizioni de' di nostri. Chi adesso leggendo i versi del Berchet e del Rossetti non sente, quello che allora non avvertiva, quanto cioè rasentino la prosa? chi prova adesso i fremiti, che ci correvano per l'ossa quando, nella gioventù nostra, leggevamo le pagine retoricamente roventi del Guerrazzi?

Ma fra le opere di questo periodo, due però vanno eccettuate, oltre il Carme del Foscolo: e sono i Canti del Leopardi e il Romanzo del Manzoni, superiori gli uni e l'altro alle strette formole della scuola, se anche il primo di questi autori possa annoverarsi fra i classicisti, e fra i romantici il secondo, l'uno e l'altro essendo d'assai superiori ai dogmi assoluti e alle anguste forme delle scuole avversarie. Vibra potente nell'uno e nell'altro di questi scrittori la nota del patriottismo; anzi la gioventù italiana, che in specie dal '40 al '60 fece sua delizia de' Canti, interpretava il dolore onde essi sono informati come dolore della patria caduta nella servitù, e nelle prime poesie all'Italia e a Dante, e come a dire sul frontespizio, credeva di trovar la chiave del mistero, in che le altre erano involte; e quanto ai Promessi Sposi, l'aver così opportunamente messa la scena non ne'secoli del medio evo, ma ne'moderni, aiutava la fantasia a tramutar il non lontano passato nel presente, e veder gli Austriaci negli Spagnuoli. Ma indipendentemente da queste cose, che il lettore d'allora si fingeva, e l'odierno più non vi sogna per entro, le poesie del Leopardi e il romanzo del Manzoni, per intrinseco pregio d'arte, restano, e si può profetizzare che resteranno, fra le cose più belle della nostra letteratura, come sono fra le più cospicue produzioni intellettuali del secolo XIX. Dopo quel del Petrarca, l'Italia non aveva avuto un altro Canzoniere, come il leopardiano, in che si compiutamente e sinceramente si specchiassero le speranze e i dolori d'un'anima, e sì intima e squisita fosse la rispondenza fra la materia e la forma, e questa rendesse quella con si trasparente lucidità. E per quel ch'è dei Promessi Sposi, dopo l'Ariosto non si era veduto un altro poema (e il romanzo ne tiene ai di nostri il posto), di sì larga e varia rappresentazione, sebbene sembri null' altro, a prima vista, che un'umile storia di villaggio; nè, dopo quel di Dante, altro libro conteneva tanta diversità di umani caratteri e sì profonda c sicura conoscenza di passioni umane. Vive persone sono veramente i personaggi, anche secondarj, introdotti in esso, e vera la scena in che si muovono, mostrando nell'autore egual sentimento dell'uomo

e della natura esterna. Ond'è che il libro si legge da giovani perchè diletta: si rilegge adulti o vecchi perchè vi si impara; e ogni volta che vi si ritorna vi si trova dentro qualehe cosa, che prima non si era veduta o non si era abbastanza meditata. Lasciam poi l'alto concetto morale che tutto investe il romanzo, gli effetti, che, senza parer di fare altrui la predica, naturalmente produce nel lettore: ma, quanto all'arte, il maggior pregio del Manzoni è quello di non far apparire di averne od usarne alcuna che sappia d'artificio; sicchè ben può dirsi che all'arte abbia egli restituito la sincerità.

Il capolavoro del Manzoni ebbe imitatori ben noti e più o meno felici, non però numerosi; ma l'esempio suo indusse gli scrittori a far ritorno appunto alla sincerità, così nel pensare e nel sentire, come nello scrivere. E rispetto a quest'ultimo, ognun sa come rinnovando la controversia della lingua, ei volesse sopratutto richiamar la parola dall'uso morto degli scrittori al vivo dei parlanti, e farne uno strumento unico e agevole per tutti. I lavori in materia di lingua sono come il testamento letterario del Manzoni, che, dopo aver dato all'Italia un libro immortale, volle adoperarsi a dotarla di un solo e medesimo linguaggio: e se non tutti hanno teoricamente aderito alla sua dottrina, niuno ormai fra gli scrit tori vorrebbe vestire il suo pensiero colle forme de' secoli andati, atteggiando e foggiando a quella norma il periodo e i vocaboli.

Gran copia di fatti abbiamo di necessità dovuto restringere in breve spazio: ma vorremmo sperare che quanto abbiamo quasi in iscorcio accennato, possa aiutare il lettore a formarsi un'idea almeno di ciò che fu la letteratura italiana nella prima metà del secolo XIX. Dopo di questa è cominciato per l'Italia un nuovo corso storico, simile al quale non ve n'è stato mai alcuno nel volger di parecchi secoli. Questo di che abbiamo rapidamente discorso è il periodo di preparazione al nostro Risorgimento civile: nè oltre tal limite crediamo dover procedere; ma chi verrà dopo di noi giudicherà senza passione e con autorità maggiore la Letteratura dell'Italia libera ed una. La quale, pur volendo tacere ciò che di buono ha dato in questi pochi anni di nuova vita, auguriamo che vada sempre avanzando in eccellenza di opere: e che, senza sequestrarsi dal moto ormai infrenabile che seco rapisce tutta l'umana famiglia, sempre più volta a comunanza di pensieri e di azioni, mantenga ognora il carattere nazionale, e sia degna di un popolo, che ha dietro a sè una gloriosa tradizione, e cui sarebbe stato inutile risorgere dal secolare servaggio, se non avesse, e volesse avere davanti a sè un avvenire egualmente glorioso.

A queste parole che scrivevamo nel 1895, e che abbiamo conservato presso che intatte, altre potremmo aggiungere ora che il secolo XIX è chiuso, e si è aperto il ventesimo. Ma non sono mutate le ragioni, che ci indussero a fermare questo Manuale ad una cinquantina d'anni indietro, o poco più. Invero l'ultimo degli antori, dei quali qui sien ricordate la vita e le opere, è nato nel 1842. Dolorose e premature perdite hanno fatto gli studj letterarj, e ben ci duole che, sebbene di tanto siasi accresciuta la mole del volume,

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SECOLO XIX.

NOTIZIE LETTERARIE.

taluni dell'ultima, e dell'anteriore generazione, dei quali pur vive cara la memoria, di necessità sien qui rimasti senza un ricordo; ma una gran parte di quelli che nacquero e si educarono dopo codesta data, vive ancora, ed auguriamo possa dare altri frutti di utile operosità. Di questa però giudicheranno i posteri; e, sieno qual si vogliano i giudizj che porteranno sui singoli individui, dovranno riconoscere che la generazione vissuta fra la preparazione dell'Italia nuova e l'assetto della patria riconquistata, e perciò ancora distratta e preoccupata dalle cure di sì nobile ed alta impresa, ha pur tentato nuove forme d'arte e recato qualche notevole accrescimento al patrimonio della nazionale cultura. Pensi ora la generazione nuova a fecondare quello che la cadente le lascia e le raccomanda, e ascolti l'ammonimento che vien fuori naturale e spontaneo dalle vicende buone o ree delia nostra storia letteraria: non esser arte vera e durevole se non quella che si coltivi come civil sacerdozio, nè scrittore degno che l'ascoltino i contemporanei ed i posteri, se non quegli che all'altezza dell' intelletto accoppi l'ardore al vero, la nobiltà dei sensi, l'austerità del carattere e la sincerità della parola.

[Consulta A. L. (AMBROGIO LEVATI), Saggio sulla st. della Lett. Ital. nei primi 25 anni del sec. XIX, Milano, Stella, 1831; A. ZONCADA, I fasli della letteratura italiana nel secolo XIX, Milano, Gnocchi, 1853; A. DE GUBERNATIS, Ricordi biografici : pagine estratte dalla storia contemporanea letteraria italiana, Firenze, tip. dell'Associazione, 1873; G. ROVANI, Le tre Arti considerate in alcuni illustri contemporanei ital., Milano, Treves, 1874; G. ZANELLA, Storia della Letterat. Ital. dalla metà del 700 ai giorni nostri, Milano, Vallardi, 1880, e Della Letteratura Ital. nell'ultimo secolo, Città di Castello, Lapi, 1885; LEVINO ROBECCHI, Saggio di una bibliografia sulla questione classico-romantica, Milano, 1887; G. BARZELLOTTI, La Letterat. e la Rivoluzione in Italia avanti e dopo il 1848 e '49, in MORANDI, Antolog. crit. letter. mod., Città di Castello, Lapi, 1890, pag. 921; G. CARDUCCI, Il Rinnovamento letterario in Italia, in Opere, I, pag. 289; FR. DE SANCTIS, La letteratura ital. nel XIX secolo, lezioni raccolte da F. Torraca, e pubblicate con prefazione e note da B. Croce, Napoli, Morano, 1897; G. MAZZONI, L' Ottocento, Milano, Vallardi, 1901; La Vita italiana durante la rivoluzione francese e l'Impero, Milano, Treves, 1897. La Vita italiana nel Risorgimento (1815-1831), Firenze, Bemporad, 1898.- La Vita italiana nel Risorgimento (1831-1846), Firenze, Bemporad, 1899. — La Vita italiana nel Risorgimento (1846-1849), Firenze, Bemporad, 1900.- La Vita italiana nel Risorgimento (1819-1861), I, Firenze, Bemporad, 1901; P. BARBERA, Le rôle de la presse dans l'affranchissement de l'Italie, nella Revue bleu del 24 novembre 1900; P. ORSI, L'Italia moderna, Storia degli ultimi 150 anni, Milano, Hoepli, 1901; G. COSTETTI, Il teatro italiano nel 1800 (indagini e ricordi), Rocca San Casciano, Cappelli, 1901 ; V. FERRARI, Letteratura italiana moderna (1748-1870), Milano, Hoepli, 1901.]

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IPPOLITO PINDEMONTE.

Nacque in Verona il 13 novembre del 1753 di nobilissima famiglia, nella quale era come ereditario il culto delle lettere. Studiò a Modena nel collegio di San Carlo, e tornato a Verona, dove si continuava la bella tradizione di studj, che la fecero singolare nel secolo XVIII, molto gli giovarono il consiglio e l'esempio di Giuseppe Torelli e di Girolamo Pompei. Imprese dal 1778 varj viaggi, riportandone, con la conoscenza del Parini, dell' Alfieri, del Monti, un più vivo amore agli studj poetici, che soprattutto predilesse, pur coltivando anche le arti cavalleresche della vita elegante, specialmente la danza. Dal 1784 dimorò per molti anni in una villa ad Avesa presso Verona, passando di solito l'inverno a Venezia; nel 1788 si mise nuovamente a viaggiare e fu dall' autunno per dieci mesi a Parigi, dove vide, pur non scevro di dubbi sull'esito finale, il principiare della rivoluzione; e si trovò in amichevole consuetudine coll'Alfieri, che lo fece revisore o, com' ei diceva, lavandaio delle proprie scritture. Da Parigi andò a Londra, Berlino, Vienna, e tornò a Verona nel 1791. Viaggiò ancora per varie parti d'Italia; e rimpatriando vide nell'estate 1796 distrutta la villa d'Avesa dalle truppe francesi, e, nell'anno stesso, assistè alle invasioni francese ed austriaca in Venezia, sempre più chiudendosi in sè, e col proposito di non più prender viva parte alle rapide mutazioni politiche. Ma anch'egli aveva sognato una patria grande e libera, deplorando che l'Italia sedesse su« cento piagge e non fosse « in alcun loco; » che parlasse tante lingue e seguisse tante leggi ed usanze e trattasse tanti scettri senz'averne alcuno; fece suo il « sospir più caldo » dell'Alfieri, che l'Italia si ricostituisse in un sol corpo un giorno» non contentandosi del primato delle arti, ma volesse aver « tra mano il scettro, e l'arme intorno. Aveva cantato i primordj della rivoluzione francese, augurando che l'albero della libertà vi fiorisse, e germogliasse anche trasportato oltre l'Alpi, attenuando i mali e i dolori della conquista col dire che, se cotesto albero pel momento portava frutti amari, si maledicessero i cultori e non la pianta. » Poi deplorò la morte di Luigi e di Maria Antonietta, vituperò il terrore, quando tutto fuor che il delitto, era delitto », non volle soggiacere al despotismo napoleonico, e null'altro desiderò se non la pace e gli affetti. Visse gli ultimi anni assai cagionevole di salute e tutto dedito agli studj e alle pratiche di religione, e mori in Verona il 18 novembre del 1828.

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Delle sue opere di prosa e poesia che si riferiscono a svariati generi letterarj, parliamo secondo l'ordine cronologico. Fu scrittore tragico: anzi tale sperò e volle sul primo diventare. Nel 1778

1 Nel poemetto La Francia.

aveva composto la tragedia l'Ulisse; ne scrisse altre (Eteocle e Polinice, Geta e Caracalla), ma pubblicò poi solo l'Arminio concepito nel 1797 (Verona, Giuliari, 1804), d'ispirazione ossianesca e non senza pregj: vi è notevole l'uso del coro, che doveva riprendere poi felicemente il Manzoni. Nel 1812 uscì la terza edizione dell'Arminio con tre Discorsi teatrali, che furon premiati dall'Accademia della Crusca, la quale lo ascrisse tra' suoi membri. Nel 1784 pubblicò il componimento in versi sciolti La Fata Morgana, in cui canta come opera di questa maga il fenomeno aereo, che aveva visto tra Reggio e Messina, e la Gibilterra salvata, poemetto in sciolti (1782), che poi rifiutò. Le Poesie e Prose campestri, le prime pubblicate a Parma dal Bodoni nel 1788, le seconde nel 1794 a Verona, sono il genere di scritti che più corrisponde alla sua indole e alla sua vita. Del 1789 è il poemetto sulla rivoluzione francese intitolato Francia (Parigi, Didot, 1789), in cui celebra l'apertura degli Stati generali. Al suo terzo viaggio appartengono il racconto Abaritte, che contiene molti accenni autobiografici : * un lungo sermone, I viaggi, una Dissertazione sui giardini inglesi, de' quali dimostra l'invenzione italiana e accenna la prima descrizione nel poema del Tasso. Poco appresso compose una novella romantica in versi, Antonio Foscarini e Teresa Contarini, e Clementina, novella in prosa. Nel 1805 pubblicò le Epistole (Piacenza, Del Maino) e s'accinse alla traduzione dell'Odissea. Come saggio, pubblicò nel 1809 i primi due canti e alcuni frammenti d'una traduzione delle Georgiche, con due epistole, una a Omero e l'altra a Virgilio. La traduzione dell'Odissea finita nel 1819, fu messa a luce nel 1822. Nel 1807, ricevuto il carme del Foscolo su I Sepolcri, che era a lui indirizzato, rispose con un Epistola (Verona, Gambaretti, 1807), dov'è notevole sopra tutto la descrizione de' giardini inglesi, e sono belli i versi in cui è pianta la contessa Elisabetta Mosconi. Prima del Foscolo aveva immaginato, vedendo il deplorevole stato in cui si teneva il camposanto di Verona, un poema in quattro canti in ottave sui Cimiteri. Com' egli dichiara nell'Avvertenza alla Epistola di risposta al Foscolo, aveva quasi compiuto il primo canto quando seppe che il Foscolo componeva i Sepolcri a lui indirizzati (1806). Del Pindemonte, oltre a gran parte di questo primo canto dei Cimiteri e oltre alla citata Epistola, rimangono due redazioni d'un altro carme intitolato I Sepolcri, che probabilmente sono non rifacimento dell'antico poema immaginato sui Cimiteri, ma correzioni dell'Epistola re

1 Vedi M. SCHERILLO, L'Arminio del P. e la poesia bardita, nella Nuova Antologia, 16 aprile 1892.

2 Vedi G. MORICI, L'Abaritte di I. P., in Scuola Romana, IV, 206. 3 Vedi U. FosCOLO, Articolo critico intorno alla traduz. dei due primi canti dell' Odissea, nelle Prose letter., vol. II.

Vedi F. TORRACA, I sepolcri di 1. P., in Discussioni e ricerche, Livorno, Vigo, 1888.

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