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Beauharnais: diede Lucca e Piombino in feudo principesco alla sorella Elisa maritata al côrso Felice Baciocchi: soppresse la repubblica ligure unendola all'impero (4 giugno), e i genovesi gliene resero grazie. Il fascino dell'uomo fatale aveva accecato i popoli; ed invero la storia di Europa nei primi quindici anni del secolo si personifica tutta quanta in lui.

Malta, non restituita dagl' inglesi ai cavalieri gerosolimitani, contrariamente al trattato di Amiens, fu pretesto della terza Lega europea contro la Francia (1805). Maravigliose le vittorie napoleoniche; massime quella d'Austerlitz (2 dicembre 1805), con la quale celebrò il primo anniversario della sua incoronazione: i russi rientrarono nei loro confini; l'Austria segnò la pace di Presburgo (26 dicembre), per la quale cedè alla Francia tutti i suoi possedimenti italiani: Ferdinando IV Borbone, scusatosi invano col prepotente vincitore d'aver violata la promessa neutralità, fuggì per la seconda volta in Sicilia sotto la protezione delle navi inglesi (25 gennaio 1806); i francesi ripresero Napoli (14 febbraio), di cui Napoleone fece re il fratello Giuseppe (30 marzo). Massa e Carrara furono riunite al principato di Lucca sotto Elisa Baciocchi: ebbe il ducato di Guastalla l'altra sorella Paolina maritata al principe Camillo Borghese, ma essa, amante del quieto vivere e aliena dagli affari politici, lo vendè quasi subito per sei milioni di lire al regno d'Italia. In Germania ed in Italia Napoleone istitui parecchi feudi (dodici ducati nel Veneto, quattro nel Napoletano, uno in quel di Massa, tre nei territorj di Parma e Piacenza) per gratificare coloro, ed erano molti, che gli avevano reso segnalati servigi in pace ed in guerra: cominciò egli, come poi fecero sul suo esempio gli avversarj, a mercanteggiare i popoli, mentre risuonavano tuttora le solenni affermazioni degli umani diritti decantate e proclamate dalla rivoluzione francese.

Lo scioglimento dell'impero germanico (1o agosto 1806) dopo mille e sei anni di esistenza, spinse Federigo Guglielmo III Hohenzollern re di Prussia a muover guerra alla Francia: è questa la quarta Lega. Napoleone vince i prussiani a Jena (14 ottobre 1806), i russi a Friedland (14 giugno 1807), e stipula con lo tsar Alessandro I la pace di Tilsitt (7 luglio 1807). Da Berlino aveva decretato il blocco o sistema continentale» (21 novembre 1806) per annientare, secondochè egli erroneamente giudicava, la potenza commerciale degl' inglesi, non potendo debellarli con le armi. Per meglio effettuare quel disegno, invase il Portogallo, che era fedele alleato degl' inglesi, e quindi la Spagna. D'accordo con l'ambizioso e intrigante ministro spagnuolo Emanuele Godoi principe della Pace, suscita ribellioni nel popolo e nemicizia tra il re Carlo IV Borbone e il figlio primogenito principe delle Asturie, poi Ferdinando VII. Napoleone li chiama ad un convegno (aprile) a Baiona e dimostra loro che la nazione spagnuola non vuol più sapere nè dell'uno nè dell'altro: Carlo IV

abdica subito e accetta una rendita dalla Francia: Ferdinando VII, raggirato, ingannato, cedè finalmente quando seppe che gl'insorti erano stati vinti dai francesi a Madrid (2 maggio). Lieto Napoleone d'esser riuscito nell'intento, diede la corona di Spagna a Giuseppe Bonaparte (6 giugno 1808), surrogandogli nel regno di Napoli il proprio cognato Giovacchino Murat (15 luglio). Altri mutamenti subì a quei giorni l'Italia: il regno d' Etruria, tolto a Lodovico I Borbone, fu aggregato alla Francia (24 maggio), e con lo stesso decreto egual destino toccò a Parma e Piacenza. Poco prima aveva ordinato fossero le Legazioni incorporate al regno d'Italia (2 aprile), vendicandosi in tal guisa di Pio VII, che si rifiutava di condiscendere ai suoi voleri. Con un decreto da Vienna del 27 maggio 1809 (Napoleone l'aveva di nuovo conquistata guerreggiando contro la quinta Lega europea formatasi nel 1809, mentre egli si travagliava con poco profitto a sottometter la Spagna) riuni all'impero il rimanente degli Stati pontificj; e siccome Pio VII non si piegava in niun modo e l'aveva anche scomunicato (11 giugno 1809) comandò fosse tratto a Grenoble (6 luglio) e di lì a Savona (15 agosto), dove stette in durissimo carcere; ma il forte vegliardo sfidava imperturbato la tracotanza di Napoleone, che lo fece trasportare, sebbene infermo, a Fontainebleau (20 giugno 1812); ivi giunse poco dopo egli stesso (19 gennaio 1813): « caso fatale, esclama il Botta (Storia d'Italia dal 1789 al 14, lib. XXV), che là dove otto anni prima era Pio arrivato trionfante, ora prigioniero arrivasse; e di là, dove ora Napoleone signore del mondo arrivava, prigioniero due anni dopo se ne partisse. Finalmente, dopochè si furono fatte mutue concessioni, conchiusero un secondo Concordato il 25 gennaio 1813. Napoleone non voleva contrariare i cattolici, che erano la gran maggioranza della nazione francese, poichè, sebbene vincitore della quinta Lega (pace di Schönbrunn, 14 ottobre 1809), tuttavia la sua alterigia soldatesca, le enormi requisizioni di uomini e di danaro ed il blocco continentale pesavano a sudditi e ad alleati. L'Inghilterra, intangibile ed implacabile, suscitavagli nemici in tutti i mari, su tutte le spiaggie; ed anche senza l'intervento inglese, i popoli stanchi e malcontenti romoreggiavano, e più si fecero sentire quando la Grande armata raccolta contro l'impero moscovita, fu distrutta dai ghiacci ruteni (sesta Lega, 1812). La Germania levossi, eroicamente terribile, come un solo uomo al grido de' suoi poeti Ernesto Arndt (1769–1860), Teodoro Körner (1791-1813), Giovanni Uhland (1787-1862): Inghilterra, Russia, Svezia, e poi Austria, Spagna, Portogallo ed anche il Murat, cui si fece sperare sarebbegli conservato il trono di Napoli, și unirono nella settima Lega (1813): un milione di collegati contro appena trecentomila francesi. Nelle memorabili giornate di Lipsia (16-18 ottobre 1813) Napoleone fu fiaccato e rivalicò il Reno: lo inseguirono gli alleati: parve moltiplicarsi difendendo a palmo a palmo il territorio francese; ma le sue stesse vittorie lo

sfinivano, e i francesi non volevano più saperne di pagare e morire per lui. Parigi capitola quasi senza combattere il 31 marzo 1814, e Napoleone parte il 20 aprile da Fontainebleau, dopo il celebre addio alla Vecchia Guardia, per l'isola d'Elba concessagli dagli alleati come sua dimora.

Il vicerè Eugenio, fedele al patrigno, si sforzò di conservargli il regno italico; ma incalzato dagli austriaci, minacciato dal Murat, che si avanzava a marcia forzata con l'esercito napoletano, sottoserisse il trattato di Schiarino Rizzino (16 aprile) e lasciò l' Italia (27). A Milano scoppia allora un feroce tumulto, in cui il conte Giuseppe Prina novarese, ministro delle finanze nel regno italico, onesto e valente, è trucidato dalla plebaglia, messa su dai tristi che volevano il dominio austriaco (20 aprile). Gli austriaci occuparono la Lombardia: intendevano di pigliarsi anco il Piemonte, ma Russia ed Inghilterra non lo permisero, e gl'inglesi, per impedirlo, erano sbarcati a Genova. Tornarono gli spodestati sovrani, salvo a Napoli, dove restò il Murat. Allorchè Napoleone ebbe visto la Francia inondata da tanti nemici, aveva lasciato in libertà Pio VII (23 gennaio 1814): a ben altro doveva pensare.

I governi restaurati si diedero a disfare rabbiosamente ogni cosa nuova, ripristinando le vecchie istituzioni anteriori al 1789. In codesta opera stoltissima, il più stolto ed altresì il più perverso fu in Sicilia Ferdinando Borbone. Bentosto i popoli si pentirono di aver desiderato il ritorno dei loro principi, che davano prova di tanta msipienza, ed alcuni con stupore, altri con immensa gioia udirono Napoleone fuggito dall' Elba, approdato in Francia (1o marzo 1815), essere rientrato a Parigi (20 marzo) tra gli applausi della nazione francese, essa pure niente soddisfatta di Luigi XVIII (fratello e successore dell' infelice Luigi XVI) posto dalla reazione europea sul trono di Francia. Fu un trionfo di cento giorni: a Waterloo (18 giugno) inglesi e prussiani, guidati da Arturo Wellesley duca di Wellington (1769-1852), sbaragliarono l'ultimo esercito del despota d'Europa, che venne confinato a Sant' Elena, sotto la guardia degl' inglesi. Napoleone mori di languore su quello scoglio solitario, senza un parente che gli chiudesse gli occhi, il 5 maggio del 1821.

Giovacchino Murat, cui rimordeva la coscienza d'aver tradito il benefattore e cognato, appena lo seppe giunto in Francia, mosse coi napoletani (22 marzo 1815) verso l'alta Italia, eccitando col proclama di Rimini (30 marzo) gl'italiani a combattere per la indipendenza della patria. Troppo tardi: avevano finalmente imparato a proprie spese in qual conto dovessero tenere cotali promesse. Vincitore sul Panaro (4 aprile), occupa Modena; vinto a Carpi, ad Occhiobello (12 aprile), a Macerata (3 maggio), respinto nel regno, promulga da Pescara (12 maggio) una costituzione assai liberale per cattivarsi i patriotti. Fallitagli anche questa speranza, shandato il suo esercito a Mignano (16 maggio), datesi già ai Borboni

sei provincie, tumultuando le restanti, cedè all'avversa fortuna, e coll'accordo di Casalanza (20 maggio) rinunziò al regno. Lo stesso giorno recossi a Pozzuoli, di là ad Ischia, il 22 in Francia. Il 23 entrarono in Napoli gli austriaci accolti coi soliti tripudj: ogni vestigio del governo murattiano presto scomparve, « solamente, scrive il Colletta (Storia del reame di Napoli, lib. VII), la regina, prigioniera sul vascello, stava ancora nel porto, spettacolo e spettatrice delle sue miserie! »

Comincia di qui per l'Italia un'epoca infelicissima, che il Balbo (Sommario, Append.) chiamò « della preponderanza austriaca. » Il principe Clemente Venceslao di Metternich (di Coblenza: 17731859), fino dal 1809 primo ministro d'Austria, acerrimo sostenitore dell' assolutismo, imperava a tutti gli Stati italiani, e, lui auspice, si diede all'Italia nel Congresso di Vienna del 1815 un assetto totalmente a benefizio dell'Austria. Essa infatti prese per sè la Lombardia e il Veneto: assegnò il ducato di Parma alla imperatrice Maria Luigia seconda moglie di Napoleone, e quello di Modena a Francesco IV figlio di Ferdinando di Lorena e di Beatrice d'Este figlia ed erede d'Ercole III Rinaldo ultimo estense. Pio VII, Ferdinando IV Borbone e Ferdinando III di Lorena riacquistarono i loro Stati; lo Stato dei Presidj venne aggiunto alla Toscana. Ebbe il ducato di Lucca Carlo Lodovico figlio di Lodovico I Borbone già re d'Etruria; alla morte di Maria Luigia duchessa di Parma, le succederebbero i Borboni di Lucca, e il ducato di Lucca sarebbe annesso alla Toscana, come difatti accadde nel 1847; Massa e Carrara a Beatrice d'Este; morta costei il piccolo principato passerebbe al duca di Modena, e così fu nel 1829: il regno di Sardegna, accresciuto dell'abolita repubblica di Genova, tornò in podestà di Vittorio Emanuele I, succeduto al fratello Carlo Emanuele IV, che aveva abdicato (4 giugno 1802): il principato di Monaco agli antichi principi Grimaldi-Goyon de Matignon sotto la protezione del re di Sardegna: Corsica ai francesi: il Canton Ticino alla Confederazione Svizzera: Malta agli inglesi : la repubblica di San Marino fu l'unico Stato non sconvolto da tante mutazioni. Tale l'assetto d'Italia pei trattati del 1815: aveva ragione il Metternich di chiamarla beffardamente un'espressione geografica.

Frattanto il Murat, bandito di Francia, ricoveratosi in Corsica, concepiva l'ardito pensiero di riconquistare il regno con un drappello di seguaci : confidava che i napoletani, disgustati dello scellerato Borbone, si unirebbero a lui. Salpò da Aiaccio il 28 settembre 1815; sbalzato da una tempesta, con pochi approda a Pizzo di Calabria: tradito dal maltese Barbarà che egli aveva salvato e beneficato, e niuno movendosi in suo favore, fu preso, fucilato e sepolto per odio e disprezzo nel carnaio comune (13 ottobre).

Dal 1815 al 1820 i governi d'Italia attesero a ricostruire il passato sulle rovine della rivoluzione, della quale caddero le isti

tuzioni, ma rimasero le grandi idee, che furono dette principj dell'ottantanove. Non potendo i liberali (erano in generale le persone più colte) raccogliersi apertamente e conferir di politica, cospirarono in società segrete o sètte, di cui la Germania avea già dato l'esempio nel 1812-13, quando si apparecchiava a scuotere il giogo francese. La setta dei Carbonari (più accreditata e attiva di tutte), che dapprima aveva servito ai Borboni contro i francesi, si diramò, come fitta rete, da un capo all'altro d'Italia. La rivoluzione di Cadice (6 gennaio 1820) contro il despota Ferdinando VII, dal quale i ribelli vollero e ottennero una larga Costituzione, fu incitamento ai Carbonari di Napoli. Il moto, scoppiato a Nola (2 luglio 1820) per opera dei sottotenenti Morelli e Silvati e del prete Menichini, si propagò con incredibile rapidità in tutto il regno al grido Dio, Re, Costituzione!» Ferdinando I (nel 1815 aveva mutato il titolo di IV in I denominandosi re delle Due Sicilie) concede la costituzione spagnuola (6 luglio) e la giura sul Vangelo (13), chiamando sul proprio capo « i fulmini della vendetta celeste, se mentisse, o se dovesse mancare al giuramento! » In quel mentre i sovrani di Russia, Austria e Prussia con altri minori si erano radunati prima a Troppau nella Slesia, indi a Laybach (Lubiana) nella Carniola, per provvedere alla Spagna e a Napoli. Anche Ferdinando, dopo avere eletto suo vicario il figlio Francesco, si recò colà per tutelare, come egli spudoratamente affermava, i legittimi diritti dei sudditi (18 gennaio 1821). Appena arrivato, consente di buona voglia che gli austriaci intervengano a soffocare la rivoluzione. L'esercito napoletano, duci Guglielmo Pepe di Squillace (1783-1855) e il barone siciliano Michele Carrascosa, scontratosi con essi a Rieti e ad Antrodoco (7 marzo 1821), si sbanda senza combattere, e viene tosto ristabilito il despotismo borbonico (23 marzo). Con quali atroci nefandezze l'animo rifugge a narrarlo la storia ha segnato di un marchio incancellabile d'infamia, oltre il re, don Antonio Capece Minutolo, principe di Canosa, ministro di polizia, che ne fu primo ispiratore ed autore.

A turbare la felicità di quei reazionarj giunse l'annunzio della rivoluzione carbonaresca di Piemonté. Anche là il moto cominciò tra i soldati in Alessandria, Torino e Fossano (10 marzo 1821). Principali istigatori e autori ne furono gli ufficiali conte Santorre di Santarosa, Giacinto Provana di Collegno, Carlo di San Marzano, Moffa di Lisio, Ansaldi ed altri. Vittorio Emanuele I, ripugnandogli d'imitare il Borbone, nè sentendosi disposto a dare la costituzione richiesta solamente dagli affiliati alla setta (in Piemonte aveva nome Federati») abdicò il trono (13 marzo) al fratello Carlo Felice, che allora era a Modena. Fino al suo ritorno, no

1 Intorno a questo punto controverso concernente la condotta di Vittorio Emanuele I e di Carlo Alberto, vedi DOMENICO PERRERO, Gli ultimi Reali di Savoia, ec., Torino, F. Casanova, 1889, e GIUSEPPE CESARE MOLINERI, Storia d'Italia dal '14 ai nostri giorni, cap. VI, § VII.

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