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soccombevano ne'domestici affetti. Non valeva talora l'autorità d'un padre, d'una madre a determinare un figlio alla partenza: un fratello giovane e forte non sapeva vincere la repugnanza di lasciare la madre, la sorella inferma, un fratello ferito. Un Cristo Kipsalis, il più notabile fra i primati della città, fatto sordo nelle preghiere dei congiunti, degli amici e pressochè di tutti i cittadini, volle rimanere per servire di guida alla schiera inerme de' vecchi, de' fanciulli e delle donne.....

Dispongonsi quattro ponti per discendere dalle mura. Intanto suona le otto; scorrono nuove pattuglie per tutti i bastioni a raccogliere il resto dei soldati: solo le scorte, chiamandosi l'una l'altra secondo l'uso, sparano di tempo in tempo. Ma il pulsare dei puntoni, il battere dei martelli, il cigolio de travi, assicurandosi le macchine, le grida delle piangenti donne e dei fanciulli nell'estremo commiato, fecero ben manifesto ai Turchi il disegno dell'uscita e il luogo determinato all'uscita. I soldati del presidio, con in mezzo le femmine e i fanciulli traversano il fosso; e perchè i Maomettani erano parati, una scarica universale scoppia improvvisa da tutta la linea delle posizioni egiziane. opposte alle mura. Gettasi accortamente riverso a terra quel primo drappello che era disceso, aspettando che le genti ausiliarie diano segnale dell'assalto, e che il secondo drappello dalle mura si cali. Per lo spazio di un'ora, che parve ai miseri, com'è da credere, interminabile, s'attese la scarica degli schioppi sull'Aracinto, ma non udivasi che il fragore delle artiglierie e il fischio delle palle di moschetto che a quando a quando quella gente appiattata feriva andando la piena scarica a percuotere le mura. Stanchi dell' indugio que' miseri, e timorosi d'indurre confusione mutando l'ordine concertato, si fa passare di bocca in bocca il comando di alzarsi. Eccoli in piedi, impugnano le spade e si slanciano ad altissima voce gridando: «avanti, avanti, morte ai barbari. » I ripari, le fosse, le artiglierie, le baionette degli Arabi restano inabili a fermarli, sono in pochi minuti valicati i serragli, sparpagliati i fanti, uccisi gli artiglieri, abbattute le ostili trincere. Ma la turba degli abitanti non segue il suo avanguardo; udendosi una fatal voce che grida: « indietro, indietro, alle batterie » supponendo che fosse intimato di ritirarsi, voltano le spalle per tornare in città, e si abbattono nel nemico, perchè i Turchi e gli Arabi, avidi delle spoglie, avevano scalato le mura da tutti i lati. Nasce il più fiero e più disperato combattere: il bastione del Bozzari, ove celavasi la maggior conserva delle polveri, saltando in aria lacera e disfà una moltitudine di Musulmani. Infedeli e Cristiani battonsi rabbiosamente di strada in strada, di piazza in piazza s'inseguono, il ferro, il fuoco, le pietre sono armi eguali per ognuno. Non ebbe la morte mai più varj e spaventevoli aspetti. Į Cristiani

chiusi nelle case fortificate secondano il fuoco. Ma le donne timorose di essere colte, svergognate e straziate, corrono ai pubblici pozzi e vi si gettano co' loro figlioletti. Colmi i pozzi di morti e di mal vivi si accorre al mare, e nel mare non poche donne si lanciano. Talune cadendo restano semisepolte nel paludoso limo, cui vive, urlanti, schiamazzanti il tardo flutto ricuopre. Alcune però dettero prova di civile coraggio anche in quell' estremo di sventura. La torre di Anemomilo presa a rifugio dagli invalidi resistette fino al di ventiquattro, e una parte dei suoi difensori salvossi ai bordi di alcune barche jonie, che allontanatasi la flotta nemica, eransi a riva approssimate.

Sogliono per lo più le vittorie rallegrare i vincitori : quella di Missolongi non fu lieta nè ai Turchi, nè agli Albanesi, nè agli Arabi, che pugnando fra loro per avidità della preda s'accrebbero il danno. Quattromila infedeli, il fior dell' esercito, perivano: ma non restava in piede un sol Greco che atto fosse alle armi, computandosene duemilacento estinti nella città. Tre o quattromila donne trascinaronsi in Epiro, ed esposte al mercato erano dalla pietà dei Filelleni redente. Di circa tremila teste faceva trofeo Ibrahim, raccolte a caso nel campo, e spedivansi a Costantinopoli. Invece di partirsi in due la prima adunata dei fuggitivi dalla città, come avevan divisato, se ne marciava stretta in solida massa per la pianura e fu gran ventura che un tal ordine tenuto avessero, conciossiachè cinquecento Mammalucchi correvano a chiudergli il passo. Percuotevano, non essendo giunti a tempo, la coda di quella squadra, composta di malati e di donne, alla cui difesa periva il prode Sturnaris, che del drappello era guida. Trapassò il resto felicemente, e accozzatosi verso il monastero di San Simone con una torma di gente che fuggiva da Chissara, seguitarono la strada per l'Aracinto. Afferrate le radici del monte, scorsero gente armata; non dubitarono venisse loro incontro co' suoi soldati Caraiscaki: ma una grave scarica manifesta le bande albanesi mandate da Ibrahim a troncare il passo. Abbenchè estenuati dal digiuno di un mese, dai disagi del viaggio, da tanti patimenti e dolori, accingonsi i Greci a combattere. . . . .

Usciti da queste novelle miserie contemplavano i Missolongiti dalla volta dell'Aracinto la distrutta città, che tanto lunghi e penosi assedj aveva tollerati, e cui tanti sacrificj, tante più che umane virtudi non avevano bastato a preservare dall' estrema rovina. Poi numeravano loro stessi, e si trovavano mancare più di cinquecento persone.... Seguitò il misero avanzo di prodi a ritirarsi per due consecutivi giorni per asprissimi luoghi, traversando torrenti, lagune, montagne a tempo rigido e tristo. In quelle orrende solitudini non rinvenivano i miseri nè tetto che gli albergasse, nè uomo che gli scorgesse, nè pane che gli nutrisse,

essendo le terre dalla feroce crudeltà e barbarie ottomana affatto disertate. La fame che avevano voluto fuggire per quel lungo tragitto ostinatamente perseguitavali. Toccavano finalmente il castello di Dervechistena, tra le otto e le nove leghe discosto da Missolongi, ove giaceva Caraiscaki infermo, ma non trovandovi appena cibo, per reficiarsi, proseguivano per Salona. Tristo e intollerabile spettacolo era a vedersi ad ogni passo cadere un guerriero dalla fame sfinito e dalle fatiche. Più non posso seguirvi, diceva colui che cadeva una vendetta di più per voi che restate, fratelli: sia il tuo nome immortale, replicavano gl'illustri pellegrini, davangli l'ultimo bacio, e inabili a soccorrerlo, taciti e mesti proseguivano. Dopo aver perduto in simili casi più di secento uomini, giungevano, come pur volle Iddio, in quella città, ove da Costantino Bozzari, che allora teneva quella piazza, non so se con più venerazione od affetto erano raccettati. E Noti Bozzari e Cristo Zavella scrivevano da quella città al Governo generale in questi termini, per commuoverlo alla difesa di tutto il paese: « A voi, governatori della Grecia, deh l'animo per pietà non vi manchi. In noi per le sventure non mutò. Siam sempre quegli stessi per cui si difese la libertà tanto nelle montagne di Sulli, che sulle mura crollanti di Missolongi, e Missolongi sarà ovunque, ovunque sarem noi. »..

Tale fu il fine di Missolongi, che con un presidio di settecento uomini pressochè nudi, affamati e mal provvisti di difesa, sostenne per undici mesi l'assedio contro circa ventitremila barbari ben provveduti, da espertissimi duci cristiani avvalorati e guidati. Fu dunque allora il soccombere maggior gloria che il prevalere: espugnata era Missolongi, non vinta. ·(Dalla Storia del Risorgimento della Grecia, lib. VIII, in fine.)

RAFFAELLO LAMBRUSCHINI.

Nacque in Genova ai 14 agosto 1788, e, vestito l'abito ecclesiastico, studiò a Roma dove aveva parenti in alte dignità prelatizie. Seguì lo zio, vescovo d'Orvieto (e poi, lasciando trista fama, segretario di Stato), esiliato in Corsica nei tempi napoleonici (1812); ma restaurato il governo pontificio, rinunziò ad ogni desiderio di onori ed ufficj, e, semplice prete, si ridusse cogli altri di sua famiglia nel nuovo possesso di San Cerbone presso Figline. Ivi si diede tutto alle occupazioni agricole, e da quel nascondiglio campestre lo scavò fuori G. P. Vieusseux quando nel 1825 volle fondare il Giornale agrario toscano. A questo ei portò molta esperienza di metodi e molta maturità di studj, estesa anche a materie economiche, delle quali, come delle agronomiche, lesse sovente nella Accademia fio.

rentina de' Georgofili. Volse l'operosità sua anche alla pedagogia, e nel '35 mise fuori il periodico la Guida dell' Educatore, durato fino al 1845, al quale accoppiò poi le Letture per la Gioventù, avendo a cooperatori il Mayer, il Thouar, il Bianciardi, il Vannucci. Apri anche nella sua villa un convitto pe' giovani di agiate famiglie. Amico del Vieusseux, del Capponi, del Salvagnoli, del Ricasoli, preoccupandosi con essi de' più gravi problemi di educazione civile e specialmente popolare, di miglioramenti agronomici, di riforme politiche e religiose, nel 1848 insieme cogli ultimi due fondò il giornale la Patria, e fu deputato e vicepresidente del Consiglio generale dei Deputati della Toscana. Col rovescio delle cose italiane, ritornò alle faccende agricole, e nel silenzio della sua villa meditò e scrisse. Nel 1859 fu nuovamente deputato all'Assemblea toscana; poi senatore; e successivamente ebbe gli ufficj di ispettore delle scuole, professor di pedagogia e soprintendente dell'Istituto fiorentino; fu accademico, e arciconsolo della Crusca. Mori a San Cerbone agli 8 marzo 1873.

Come accade agli uomini che tengono la via del mezzo, parve, secondo scrisse egli stesso, « fanatico a chi lo credeva un liberale, ed eretico a chi lo credeva un cattolico fervente»: ma« sacerdote cattolico, condannava soltanto l'intolleranza odiatrice ».1 Quel ch'ei pensasse nel fatto della morale e della religione, con indipendenza di pensiero e temperanza di propositi, è chiarito nell'opera sua postuma Pensieri d'un solitario (Firenze, Barbèra, 1887, a cura di M. Tabarrini), in che si riflettono non solo le mutazioni delle condizioni morali della società in quasi mezzo secolo, ma anche quelle dell'animo dello scrittore, non sordo nè muto al succedersi delle vicende umane ». Di gran pregio sono i suoi scritti Dell' Educazione (Firenze, Cellini, 1849: rist. a cura di A. Linaker, Firenze, Bemporad, 1892) e Della Istruzione (Firenze, Le Monnier, 1871). Molte sue scritture di soggetto economico e agronomico sono sparse, e sarebbe bene raccoglierle, nel Giornale agrario e negli Atti dei Georgofili: classico è il trattato Intorno al modo di custodire i bachi da seta (Firenze, Cellini, 1852: 4a ediz., 1864). Un volume di Elogi e Biografie (di C. Cavour, del Vieusseux, del Ridolfi ec.) raccolse G. Rigutini (Firenze, Le Monnier, 1872). In tutte le sue scritture si rinviene nobiltà di pensieri, squisitezza di sentimenti, sicura dottrina e insieme una forma di stile foggiato alla buona tradizione italiana, che si raggentilisce nell'uso sapiente del vivo parlar toscano.

(Vedi per la sua vita, A. DE GUBERNATIS, Ricordi biografici, Firenze, tip. dell' Associazione, 1873, p. 68; M. TABARRINI, Vite e ricordi d'ital. illustri, Firenze, Barbèra, 1884, p. 289; A. LINAKER, Notizie sopra R. L., nella cit. ristampa dell'Educazione, e dello

1 Vedi A. CONTI, Letterat. e Patria, Firenze, Barbèra, 1892, pag. 313.

stesso, La vita ei tempi di E. Mayer, Firenze, Barbèra, 1898, vol. I, p. 102 sg.; P. DAZZI, Elogio di R. L., negli Atti dell'Accad. della Crusca del 1892; EMMA FERRARONI, Il Girard e il Lambruschini, Firenze, tip. Bonducciana, 1895; non poche pagine si riferiscono al Lambruschini nel libro di LUIGI RIDOLFI, Cosimo Ridolfi e gli istituti del suo tempo, Firenze, Civelli, 1901.]

Vantaggi materiali e morali della mezzeria toscana. Lettera al marchese Cosimo Ridolfi.- Effetto necessario della buona agricoltura dev'essere l'accrescimento non passeggiero e non casuale dei frutti della terra; e tal accrescimento, che mentre porga al proprietario un maggior interesse de' suoi capitali, e al direttore (chiunque egli sia) delle culture e dell'azienda, una più larga rimunerazione della sua industria, arrechi egualmente una mercede bastevole al contadino. Bastevole io chiamo quella, che somministri un conveniente sostentamento per sè e per la sua famiglia, a coloro che spendono tutte le loro forze e tutto il loro tempo nel coltivare la terra. Aggiungerò, senza timore d'essere da voi contraddetto, che questa mercede dovrebbe con equa proporzione crescere pel contadino, come cresce pel padrone la rendita netta. La buona agricoltura dà di che provvedere a tutti due; e perciò l'ho chiamata il pane per tutti. Giacchè dunque ella deve dare e dà tanto, vuole giustizia e umanità, e il pro nostro medesimo, che i doni suoi siano compartiti liberamente fra tutti quelli, che cooperano alla produzione dei frutti della terra.

Ma sventuratamente non si può escludere il caso che possidenti o fattori di cuore stretto e gelato, e perciò medesimo di poco senno, pensando di poter mandare innanzi la cultura dei terreni con operanti mal pagati, e costretti dal bisogno ad accettare qualunque mercede, si rallegrino al pensiero che, licenziati i mezzajoli, possano accrescere la parte padronale: e chiudendo gli occhi sui mali, che la loro durezza genererebbe immancabilmente, chiamassero a risolvere il quesito che abbiamo tra mano, non la scienza, non l'esperienza, ma l'avarizia; e attirassero sopra la nuova agricoltura quelle maledizioni, che sarebbero meritate dalla loro stolta grettezza. A costoro adunque è necessario dichiarare altamente che le riforme agrarie da noi credute necessarie e da noi desiderate, le avremmo noi i primi per riforme insipienti e crudeli, se dovessero procacciare a noi più agiata e dilettevole vita, e far languire di stento chi s'affatica e suda per noi: che la terra fecondata dalla virtù dei capitali, dal lavoro della mente e dal lavoro della mano, deve ad un tempo e retribuire del giusto merito i danari che si sono spesi, e premiare lo studio, e ricompensare le fatiche che noi non pensiamo soltanto a noi stessi, ma ai compagni della nostra opera; i quali hanno pur essi un

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