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E tacque in atto di chi aspetta.

A una siffatta dimanda, don Abbondio, che pur s'era ingegnato di risponder qualcosa a delle meno precise, restò li senza articolar parola. E, per dir la verità, anche noi, con questo manoscritto davanti, con una penna in mano, non avendo da contrastare che con le frasi, nè altro da temere che le critiche dei nostri lettori; anche noi, dico, sentiamo una certa ripugnanza a proseguire: troviamo un non so che di strano in questo mettere in campo, con così poca fatica, tanti bei precetti di fortezza e di carità, di premura operosa per gli altri, di sacrifizio illimitato di sè. Ma pensando che quelle cose erano dette da uno che poi le faceva, tiriamo avanti con coraggio.

Voi non rispondete?" riprese il cardinale. "Ah, se aveste fatto, dalla parte vostra, ciò che la carità, ciò che il dovere richiedeva; in qualunque maniera poi le cose fossero andate, non vi mancherebbe ora una risposta. Vedete dunque voi stesso cosa avete fatto. Avete ubbidito all'iniquità, non curando ciò che il dovere vi prescriveva. L'avete ubbidita puntualmente: s'era fatta vedere a voi, per intimarvi il suo desiderio; ma voleva rimanere occulta a chi avrebbe potuto ripararsi da essa, e mettersi in guardia; non voleva che si facesse rumore, voleva il segreto per maturare a suo bellagio i suoi disegni d'insidie o di forza; vi comandò la trasgressione e il silenzio: voi avete trasgredito e non parlavate. Domando ora a voi se non avete fatto di più; voi mi direte se è vero che abbiate mendicati de' pretesti al vostro rifiuto, per non rivelarne il motivo." E stette li alquanto, aspettando di nuovo una risposta. Anche questa gli hanno rapportata le chiacchierone, - pensava don Abbondio; ma non dava segno d'aver nulla da dire: onde il cardinalé riprese: "se è vero, che abbiate detto a que' poverini ciò che non era, per tenerli nell'ignoranza, nell'oscurità, in cui l'iniquità li voleva.... Dunque lo devo credere; dunque non mi resta che d'arrossirne con voi, e di sperare che voi ne piangerete con me. Vedete a che v' ha condotto (Dio buono! e pur ora voi la adducevate per iscusa) quella premura per la vita che deve finire. V'ha condotto.... ribattete liberaniente queste parole, se vi paiono ingiuste, prendetele in umiliazione salutare, se non lo sono.... v'ha condotto a ingannare i deboli, a mentire ai vostri figliuoli."

Ecco come vanno le cose, diceva ancora tra sè don Abbondio: a quel satanasso, -e pensava all'innominato, le braccia al collo: e con me, per una mezza bugia, detta a solo fine di salvar la pelle, tanto chiasso. Ma sono superiori; hanno sempre ragione. È il mio pianeta, che tutti m'abbiano a dare addosso; anche i santi. — E ad alta voce, disse: ho mancato; capisco che ho mancato; ma cosa dovevo fare in un frangente di quella sorte?”

E ancor lo domandate? E non ve l'ho detto? E dovevo dirvelo? Amare, figliuolo; amare e pregare. Allora avreste sentito che l'iniquità può aver bensi delle minacce da fare, de' colpi da dare, ma non de' comandi; avreste unito, secondo la legge di Dio, ciò che l'uomo voleva separare: avreste prestato a quegl' innocenti infelici il ministero che avevan ragione di richieder da voi: delle conseguenze sarebbe restato mallevadore Iddio, perchè si sarebbe andati per la sua strada: avendone presa un'altra, ne restate mallevadore voi; e di quali conseguenze! Ma forse che tutti i ripari umani vi mancavano? forse che non era aperta alcuna via di scampo, quand' aveste voluto guardarvi d'intorno, pensarci, cercare? Ora voi potete sapere che que' vostri poverini, quando fossero stati maritati, avrebbero pensato da sè al loro scampo, eran disposti a fuggire dalla faccia del potente, s'eran già disegnato il luogo di rifugio. Ma anche senza questo, non vi venne in mente che alla fine avevate un superiore? Il quale, come mai avrebbe quest'autorità di riprendervi d'aver mancato al vostro ufizio, se non avesse anche l'obbligo d'aiutarvi ad adempirlo? Perchè non avete pensato ad informare il vostro vescovo dell'impedimento che un'infame violenza metteva all'esercizio del vostro ministero?"

- I pareri di Perpetua! - pensava stizzosamente don Abbondio, a cui, in mezzo a que' discorsi, ciò che stava più vivamente davanti, era l'immagine di que' bravi, e il pensiero che don Rodrigo era vivo e sano, e un giorno o l'altro tornerebbe glorioso e trionfante, e arrabbiato. E benchè quella dignità presente, quell'aspetto e quel linguaggio, lo facessero star confuso, e gl'incutessero un certo timore, era però un timore che non lo soggiogava affatto, nè impediva al pensiero di ricalcitrare: perchè c'era in quel pensiero, che, alla fin delle fini, il cardinale non adoprava nè schioppo, nè spada, nè bravi.

Come non avete pensato," proseguiva questo, che, se a quegl'innocenti insidiati non fosse stato aperto altro rifugio, c'ero io, per accoglierli, per metterli in salvo, quando voi me gli aveste indirizzati, indirizzati dei derelitti a un vescovo, come cosa sua, come parte preziosa, non dico del suo carico, ma delle sue ricchezze? E in quanto a voi, io, sarei divenuto inquieto per voi; io, avrei dovuto non dormire, fin che non fossi sicuro che non vi sarebbe torto un capello. Ch'io non avessi come, dove, mettere in sicuro la vostra vita? Ma quell'uomo che fu tanto ardito, credete voi che non gli si sarebbe scemato punto l'ardire, quando avesse saputo che le sue trame erano note fuor di qui, note a me, ch'io vegliavo, ed ero risoluto d'usare in vostra difesa tutti i mezzi che fossero in mia mano? Non sapevate che, se l'uomo promette troppo spesso più che non sia per mantenere, minaccia anche non di rado, più che non s'attenti

poi di commettere? Non sapevate che l'iniquità non si fonda soltanto sulle sue forze, ma anche sulla credulità e sullo spavento altrui?"

Proprio le ragioni di Perpetua, - pensò anche qui don Abbondio, senza rillettere che quel trovarsi d'accordo la sua serva e Federigo Borromeo su ciò che si sarebbe potuto e dovuto fare, voleva dir molto contro di lui.

Ma voi," prosegui e concluse il cardinale, "non avete visto, non avete voluto veder altro, che il vostro pericolo temporale; qual maraviglia che vi sia parso tale da trascurar per esso ogni altra cosa?"

"Gli è perchè le ho viste io quelle facce," scappò detto a don Abbondio; "le ho sentite io quelle parole. Vossignoria illustrissima parla bene; ma bisognerebbe esser ne' panni d'un povero prete, e essersi trovato al punto."

Appena ebbe proferite queste parole, si morse la lingua; s'accorse d'essersi lasciato troppo vincere dalla stizza, e disse tra sè: ora vien la grandine. Ma alzando dubbiosamente lo sguardo, fu tutto maravigliato, nel veder l'aspetto di quell' uomo che non gli riusciva mai d'indovinare ne di capire, nel vederlo, dico, passare da quella gravità autorevole e correttrice, a una gravità compunta e pensierosa.

"Pur troppo!" disse Federigo, "tale è la misera e terribile nostra condizione. Dobbiamo esigere rigorosamente dagli altri quello che Dio sa se noi saremmo pronti a dare; dobbiamo giudicare, correggere, riprendere; e Dio sa quel che faremmo noi nel caso stesso, quel che abbiam fatto in casi somiglianti! Ma guai s'io dovessi prender la mia debolezza per misura del dovere altrui, per norma del mio insegnamento! Eppure è certo che, insieme con le dottrine, jo devo dare agli altri l'esempio, non rendermi simile al dottor della legge, che carica gli altri di pesi che non posson portare, e che lui non toccherebbe con un dito. Ebbene, figliuolo e fratello; poichè gli errori di quelli che presiedono, sono spesso più noti agli altri che a loro; se voi sapete ch'io abbia, per pusillanimità, per qualunque rispetto, trascurato qualche mio obbligo, ditemelo francamente, fatemi ravvedere affinchè dov'è mancato l'esempio, supplisca almeno la confessione. Rimproveratemi liberamente le mie debolezze e allora le parole acquisteranno più valore nella mia bocca, perchè sentirete più vivamente che non son mie, ma di Chi può dare a voi e a me la forza necessaria per far ciò che prescrivono."

-Oh che sant' uomo! ma che tormento!-pensava don Abbondio: anche sopra di sè: purchè frughi, rimesti, critichi, inquisisca; anche sopra di sè. Disse poi ad alta voce: oh monsignore! che mi fa celia? Chi non conosce il petto forte, lo zelo imperterrito di vossignoria illustrissima! E tra sè soggiunse: anche troppo.

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Io non vi chiedevo una lode, che mi fa tremare, " disse Federigo, perchè Dio conosce i miei mancamenti, e quello che ne conosco anch'io basta a confondermi. Ma avrei voluto, vorrei che ci confondessimo insieme davanti a Lui, per confidare insieme. Vorrei, per amor vostro, che intendeste quanto la vostra condotta sia stata opposta, quanto sia opposto il vostro linguaggio alla legge che pur predicate, e secondo la quale sarete giudicato.

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Tutto casca addosso a me, disse don Abbondio: "ma queste persone che son venute a rapportare, non le hanno poi detto d'essersi introdotte in casa mia, a tradimento, per sorprendermi, e per fare un matrimonio contro le regole.

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Me l'hanno detto, figliuolo: ma questo m'accora, questo m'atterra, che voi desideriate ancora di scusarvi; che pensiate di scusarvi, accusando; che prendiate materia d'accusa da ciò che dovrebb`esser parte della vostra confessione. Chi gli ha messi, non dico nella necessità, ma nella tentazione di far ciò che hanno fatto? Avrebbero essi cercata quella via irregolare, se la legittima non fosse loro stata chiusa? pensato a insidiare il pastore, se fossero stati accolti nelle sue braccia, aiutati, consigliati da lui? a sorprenderlo, se non si fosse nascosto? E a questi voi date carico? e vi sdegnate perchè, dopo tante sventure, che dico? nel mezzo della sventura, abbian detto una parola di sfogo al loro, al vostro pastore? Che il ricorso dell'oppresso, la querela dell' aflitto siano odiosi al mondo, il mondo è tale; ma noi! E che pro sarebbe stato per voi, se avessero taciuto? Vi tornava conto che la loro causa andasse intera al giudizio di Dio? Non è per voi nuova ragione d'amar queste persone (e già tante ragioni n'avete), che v'abbian dato occasione di sentir la voce sincera del vostro vescovo, che v'abbian dato un mezzo di conoscer meglio, e di scontare in parte il gran debito che avete con loro? Ah! se v'avessero provocato, offeso, tormentato, vi direi (e dovrei io dirvelo?) d' amarli, appunto per questo. Amateli perchè hanno patito, perchè patiscono, perchè son vostri, perchè son deboli, perchè avete bisogno d'un perdono, a ottenervi il quale, pensate di qual forza possa essere la loro preghiera."

Don Abbondio stava zitto; ma non era più quel silenzio forzato e impaziente: stava zitto come chi ha più cose da pensare che da dire. Le parole che sentiva, eran conseguenze inaspettate, applicazioni nuove, ma d'una dottrina antica però nella sua mente, e non contrastata. Il male degli altri, dalla considerazion del quale l'aveva sempre distratto la paura del proprio, gli faceva ora un'impressione nuova. E se non sentiva tutto il rimorso che la predica voleva produrre (chè quella stessa paura era sempre li a far l'ufizio di difensore), ne sentiva però; sentiva un certo dispiacere di sè, una compassione per gli altri, un misto di tenerezza e di confusione. Era, se ci si lascia pas

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sare questo paragone, come lo stoppino umido e ammaccato d'una candela, che presentato alla fiamma d'una gran torcia, da principio fuma, schizza, scoppietta, non ne vuol saper nulla; ma alla fine s'accende e, bene o male, brucia. Si sarebbe apertamente accusato, avrebbe pianto, se non fosse stato il pensiero di don Rodrigo; ma tuttavia si mostrava abbastanza commosso, perchè il cardinale dovesse accorgersi che le sue parole non erano state senza effetto. Ora, prosegui questo, uno fuggitivo da casa sua, l'altra in procinto d'abbandonarla, tutt'e due con troppo forti motivi di starne lontani, senza probabilità di riunirsi mai qui, e contenti di sperare che Dio li riunisca altrove; ora, pur troppo, non hanno bisogno di voi; pur troppo, voi non avete occasione di far loro del bene; nè il corto nostro prevedere può scoprirne alcuna nell'avvenire. Ma chi sa se Dio misericordioso non ve ne prepara? Ah non le lasciate sfuggire! cercatele, state alle velette, pregatelo che le faccia nascere.

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Non mancherò, monsignore, non mancherò, davvero,” rispose don Abbondio, con una voce che, in quel momento, veniva proprio dal cuore.

Ah si, figliuolo, si! esclamò Federigo; e con una dignità piena d'affetto, concluse: lo sa il cielo se avrei desiderato di tener con voi tutt'altri discorsi. Tutt'e due abbiamo già vissuto molto: lo sa il cielo se m'è stato duro di dover contristar con rimproveri codesta vostra canizie, e quanto sarei stato più contento di consolarci insieme delle nostre cure comuni, de' nostri guaj, parlando della beata speranza, alla quale siamo arrivati così vicino. Piaccia a Dio che le parole le quali ho pur dovuto usar con voi, servano a voi e a me. Non fate che m'abbia a chieder conto, in quel giorno, d'avervi mantenuto in un ufizio, al quale avete così infelicemente mancato. Ricompriamo il tempo: la mezzanotte è vicina; lo Sposo non può tardare; teniamo accese le nostre lampade. Presentiamo a Dio i nostri cuori miseri, vôti, perchè gli piaccia riempirli di quella carità, che ripara al passato, che assicura l'avvenire, che teme e confida, piange e si rallegra, con sapienza; che diventa in ogni caso la virtù di cui abbiamo bisogno.

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Così detto, si mosse; e don Abbondio gli andò dietro. — (Dai Promessi Sposi, cap. XXV-XXVI.)

GIUSEPPE MANNO.

Di antica e nobil famiglia sarda nacque in Alghero ai 17 marzo 1786. Conseguita a Cagliari la laurea in giurisprudenza, entrò nella magistratura, finchè nel 1816 il Duca del Genevese lo prese a suo privato segretario, e l'anno appresso, presentatole

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