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ALESSANDRO MANZONI.

La famiglia era di Barzio in Valsássina, stabilitasi nel territorio di Lecco al Caleotto presso Pescarenico.' Don Pietro Manzoni risedè in Milano, alternando tuttavia la dimora tra la città e la villa, ed Alessandro gli nacque in Milano il 7 marzo 17852 in Via San Damiano n. 20, da Giulia figlia di Cesare Beccaria. Studiò presso i frati comaschi in collegio a Merate (1791-96), e a Lugano (1796-98), dove ebbe maestro il p. Soave, ch' ei mandava in collera usando scrivere re, imperatore, papa senza le iniziali maiuscole. Dimorò in famiglia per qualche tempo a Castellazzo de' Barzi e a Milano; fu indi rimesso nel collegio Longone o de' Nobili a Milano, tenuto

dai padri barnabiti. Poco soddisfatto di questa istruzione ed educazione, la deplorò poi con fiere parole ne' versi In morte di Carlo Imbonati. Usci di collegio nel 1800, e si diede a giuocare al ridotto della Scala. Ma da tal vita dissipata lo trasse con opportuna rampogna Vincenzo Monti, ch'egli venerò sempre ed amò, celebrandone la mente e il cuore in quella quartina, che dettò alla sua morte: e imitandolo col poema Il trionfo della libertà, composto nel 1801. S'invaghi, e scrisse versi per una giovinetta genovese, l'ange

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lica Luigina; e, forse indottovi dalla famiglia perchè si liberasse da tale inclinazione, andò a Venezia sullo scorcio del 1803, ed ivi incappò in altro amore, dal quale lo guari quella stessa che n'era oggetto, rinviandolo a scuola. Nel marzo del 1804 era di nuovo a Milano. Amantissimo della madre, che lo adorava, e teneramente indulgente a lei che, legalmente divisa dal marito, conviveva con Carlo Imbonati, da lui non conosciuto mai di persona, la riaccompagnò a Parigi (1805) quando essa vi tornò da Brusuglio, ove aveva sepolto l'Imbonati (morto a Parigi il 15 marzo 1805),

1 Sulla famiglia Manzoni, vedi F. CALVI, in Famiglie notabili milanesi, Milano, Vallardi, 1875, vol. I; sul Caleotto, vedi Ricordo della festa celebrata al Caleotto il 7 marzo 1885, ec., Lecco, Rota, 1885.

2 Vedi P. BELLEZZA, Anniversari manzoniani: Quando nacque e quando mori A. M., nella Rassegna Nazionale del 1° agosto 1895.

3 Vedi A. STOPPANI, I primi anni di A. M., Milano, Bernardoni, 1874 P. PETROCCHI, La prima giovinezza di A. M., Firenze, Sansoni, 1898.

dal quale era stata fatta erede di tutto il patrimonio. Eguale affetto non senti pel padre, morto il 17 marzo del 1807, e che non fu a tempo a rivedere, quantunque accorresse a riceverne l'ultimo sospiro. A Parigi frequentò per varj anni colla madre ritrovi eleganti e dotti, e specialmente alla Maisonnette le sale di Sofia vedova Condorcet e in Auteuil quelle di mad. Cabanis, ove intervenivano uomini coltissimi, per lo più volteriani e antinapoleonici, come l'ateo Volney, il giacobino Garat, i filosofi sensisti G. G. Cabanis, Destutt de Tracy e il letterato Claudio Fauriel (1722-1844), amantissimo e peritissimo di cose italiane, il quale esercitò, allora e poi, molta efficacia sull'educazione artistica del Manzoni, come si rileva dall' importante scambievole carteggio, che va dal 1807 al 1830.1 Questa vita mondana ed intellettuale non fu senza effetto sull'animo del giovane Manzoni, che seguì le dottrine scettiche e degli enciclopedisti, allora facilmente abbracciate dai giovani, sebbene non potesse dirsi irreligioso mai, salvo che per trascuranza delle forme esterne del culto. Ritornò a Milano nel settembre del 1807. Sposò il 6 febbraio del 1808 Enrichetta Blondel di sedici anni, nativa di Casirate, figlia di un ginevrino; celebrò il matrimonio, secondo la religione evangelica riformata, che era quella della sposa, il famoso latinista G. Gaspero Orelli pastore, essendovisi rifiutati i sacerdoti cattolici. Nell'ottobre gli sposi si recarono a Parigi, dove l'Enrichetta abiurò poi la religione protestante (15 febbraio 1810), e fu celebrato di nuovo il matrimonio cattolicamente; e, per effetto del l'amicizia coi sacerdoti Eustachio Dégola, genovese, e Enrico Grégoire, francese, ne segui anche il sincero ritorno del marito alla fede cattolica, che egli, del resto, professò ben diversamente dai sanfedisti e dai reazionarj allora ripullulanti.3 Di questa conversione, che fu manifesta nel 1810, si danno diverse spiegazioni e si narrano varj aneddoti, non tutti autentici ; certo è che fu sincerissima. A Parigi ebbe la prima figlia Giulia, tenuta a battesimo dal Fauriel. Tornò a Milano nell'agosto del 1810, comprando nel 1814 la casa che abitò poi sempre colla crescente famiglia, sull'angolo di Via Morone e Piazza Belgiojoso, e allontanandosi da Milano solo per recarsi nel 1819 a Parigi, ove rimase per circa dieci mesi, e nel 1827 insieme colla famiglia a Firenze, dove fu lietamente accolto al gabinetto Vieusseux e conobbe il Niccolini, il Leopardi, il Cap

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1 A. DE GUBERNATIS, Il M. e il Fauriel studiati nel loro carteggio ine dito, Roma, Barbèra, 1880.

2 Su di esso, vedi L. DONATI, G. G. degli Orelli, Zurigo, Zücher, 1894. 3 Vedi EDWIGE BERTOLINI, Il sentimento religioso del M. e dello Chateaubriand, nella Rass. Naz. del 1° giugno 1900.

* Vedi A. DE GUBERNATIS, Eustachio Dégola, il clero costituzionale e la conversione della famiglia M., Firenze, Barbèra, 1882; e cfr. R. BONGHI, La conversione della famiglia M., in Horce subseciva, Napoli, Morano, 1888, pag. 145.

5 Sulle relazioni corse fra loro, e sulle loro diverse attitudini d'ingegno e diversità d'intenti, vedi T. MAMIANI, in Nuova Antol., XXIII, 768;

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poni; e in Toscana tornò poi nel 1856 ed altre volte, per breve tempo. Alternò la dimora di Milano con quella di Brusuglio, dove si occupava con piacere di faccende agricole, e cominciò anche a scrivere un trattato sulla vite. Nel 1831 fece sposa la figlia Giulia a Massimo D'Azeglio. Viveva modesto e ritirato, in mezzo ad una famiglia esemplare educata cristianamente, e la serenità e pace di quella vita si rispecchia nelle sue opere. Per la famiglia ebbe tuttavia moltissimo a soffrire: la morte di molti de' suoi cari gli procurò dolori gravissimi: perdè la moglie nel 1833, la madre nel 1841 dei figli, Giulia, Cristina, maritata Baroggi (1841), Sofia, maritata Trotti, Matilde, nubile (1856). Ebbe tra' suoi più cari amici Giovanni Torti, Giovanni Rossari, Ermes Visconti, il Confalonieri, l'Arconati, il Berchet, il Tommaséo, e specialmente Tommaso Grossi, cui fu legato d'amicizia fraterna e che convisse molti anni con lui. Fu amicissimo anche di Luigi Tosi, canonico a Milano, poi vescovo di Pavia, al quale vuol forse concedersi su di lui maggior autorità, che realmente non avesse. Nelle liete e dotte conversazioni serali, ciò che non fece mai in pubblico, apriva argutamente l'animo suo. Quella schiera d'amici lombardi, coi quali compiacevasi usare lo schietto parlare meneghino, imparò ben prcsto a venerarlo e considerarlo come caposcuola e maestro. Più tarde, ma non meno utili e calde amicizie, ebbe con Antonio Rosmini, conosciuto nel 1826 per mezzo del Tommasèo, ch' ei venerò per l'altezza della mente e della dottrina e per l'illibatezza della vita, e della filosofia del quale fu convinto seguace, e con Giuseppe Giusti, del quale lodò e ammirò la forma schiettamente toscana degli scritti. Nel 1837 sposò in seconde nozze la milanese Teresa Borri, vedova del conte Stefano Decio Stampa, che gli morì nel 1861. Tutto dedito alla vita domestica e di studioso, non partecipò romorosamente ai moti pel risorgimento nazionale; sicchè l'Austria, anche dopo i fatti del '20 e ben sapendolo autore del Cinque maggio, non lo accumunò nelle persecuzioni e ne' processi a tanti de' suoi amici, ai quali nei servigj alla patria amava di confessarsi

C. BENEDETTUCCI, A. M. e G. L., Recanati, Simboli, 1886 e in C. ANTONA TRAVERSI, Studj su G. L., Napoli, Detken, 1887; G. TAORMINA, Saggi e note di letter., Girgenti, Formica, 1890, pag. 117, ec.

1 Vedi I. FRANCHI, A. M. a Firenze, in Domenica letteraria, anno II, numeri 25 e 27.

2 Vedi A. GALANTI, A. M. agronomo, nella Perseveranza, n. 4907, a. 1873. 3 Vedi C. MAGENTA, Monsig. L. Tosi e A. M., Pavia, Bizzoni, 1876. Vedi l'attestazione in proposito di G. B. Giorgini recata in un articolo di A. D'ANCONA, in Rass. bibliogr. letter., vol. II, 192.

5 Vedi R. BONGHI, Le Stresiane, annotate da G. MORANDO, nell' opera Per Antonio Rosmini nel primo centenario dalla sua nascita, II, 1-193, Milano, Cogliati, 1897; di recente pubblicazione è il Carteggio fra A. M. e A. Rosmini raccolto e ordinato da GIULIO BONOLA, Milano, Cogliati,,1900. 6 Vedi S. STAMPA], A. M., la sua famiglia, i suoi amici, Milano, Hoepli, 1885.

inferiore e più tardi, quando la sua fama divenne mondiale, non avrebbe osato toccarlo. Ma la patria fu sempre in cima de' suoi pensieri, nè mai nulla concesse ai dominatori stranieri. Nel 1814 aveva sottoscritto la protesta contro il voto del Senato, il quale chiedeva Eugenio a re del Regno italico, volendo invece che si rimettessero i destini del paese ai rappresentanti la nazione, cioè ai comizj: nel 1815 volle cantare l'impresa italiana di Murat, ma questa finì miseramente prima ch'ei terminasse la sua canzone: nel '21 vide in immaginazione varcato il Ticino dalle legioni dei costituzionali piemontesi e compose quel canto, che, col componimento per Murat, restò affidato alla sua memoria sino a tempi migliori. Sul cominciare delle Cinque giornate incitò il figlio Filippo, malazzato, a seguire i due fratelli Pietro ed Enrico sulle barricate, e sottoscrisse la domanda di aiuto che i Milanesi fecero a Carlo Alberto. Dopo che l'Austria nel 1848 riconquistò la Lombardia, si ritirò a Lesa sul Lago Maggiore: rifiutò, credendovisi inetto, l'ufficio di deputato che gli aveva affidato il collegio di Arona (Lett. del 7 ott. a Giorgio Briano). Chiamò, pur credendoci sempre, bella utopia quella dell' unità nazionale, che però era destinato a veder raggiunta, con Roma capitale; e, costituita la monarchia di Vittorio Emanuele, accettò l'ufficio di senatore (1860), ed assistè nel 1861, per la prima volta, alla seduta che proclamava il regno d'Italia, tornando a Torino nel 1864 a votare il trasferimento della capitale in Firenze, il che implicava la caduta del regno temporale de' papi. Non fu mai a Roma; ma nel 1872, con nobilissima lettera al sindaco della città, ormai capitale d'Italia, accettò la cittadinanza onoraria, confessando le aspirazioni costanti d'una lunga vita all'indipendenza e unità d'Italia. La viridis senectus consacrò incessantemente ai cari studj. Lavorava con molta lentezza; scriveva poche lettere, anche ai più intimi; timoroso sempre di veder divulgate le opinioni sue, che non fossero maturamente meditate, e perciò non scrisse quasi mai pe' giornali. Lo angosciò la morte del diletto figlio Pietro (aprile 1873) e poche settimane dopo, cioè ai 22 maggio del 1873 alle ore 61⁄4 pom., lo raggiunse nel sepolcro. Ebbe funerali solenni ai quali tutta Italia prese parte e a cui intervenne Umberto di Savoja, allora principe reale; nell'anniversario primo della morte si eseguì la messa di requiem di G. Verdi. La casa di Via Morone fn comprata dal conte Arnaboldi, che la volle conservata alla venerazione de' posteri, e ridotta a museo manzoniano, come Brusuglio fu custodito da Pietro Brambilla, che sposò Vittorina, figlia di Pietro Manzoni, e che donò alla biblioteca di Brera, perchè fossero conservati in appo

1 Vedi tuttavia G. SFORZA, Del M. giornalista, nella Domenica letter., I, 44. 2 Vedi C. FABRIS, Gli ultimi mesi di A. M., nel Rosmini, 16 maggio 1887. 3 Vedi Onoranze funebri ad A. M., Milano, Pirola, 1873, per cura del municipio di Milano.

sita sala, i manoscritti autografi delle cose edite e inedite del Manzoni. Il 22 maggio 1883 fu inaugurato in Piazza San Fedele un monumento, opera del Barzaghi, omaggio dei Milanesi al grande concittadino. Godè vivo della vera fama e, anche si può dire, della felicità che troppe volte è contesa agli uomini grandi; modestissimo, alieno dalle borie aristocratiche, non si servì mai del titolo gentilizio di conte; rifiutò le onorificenze che molti sovrani gli offrirono a gara, accettando solo, dopo la proclamazione del regno d'Italia, quelle che gli concesse Vittorio Emanuele, da cui accettò anche, sollievo opportuno alle domestiche strettezze, una pensione annua di dodici mila lire.

Diremo delle sue opere, trattandone secondo quei periodi che ben distingueva il MESTICA nel suo Man. della Lett. ital. nel sec. XIX. Il primo periodo, quello della giovinezza, va fino al 1810 e corrisponde alle idee del Manzoni, volteriane in filosofia, giacobine in politica, classiche in letteratura. Per non dire di traduzioni da Virgilio e Orazio e di un sonetto ritratto di sè stesso (1801), è di questo periodo, nel quale non si hanno che poesie, il ricordato Trionfo della libertà, poemetto epico-lirico in quattro canti in terzine, cominciato dopo il 9 febbrajo del 1801, e pubblicato, postumo, nel 1878 da C. Romussi (Milano, Carrara). Celebra in esso la Libertà, che nella repubblica cisalpina trionfa del dispotismo e della superstizione. Ha reminiscenze della Bassvilliana e della Mascheroniana, con apparizioni di martiri antichi e moderni, uso ed abuso di mitologia, di fantasmi, d'invettive. V'ha l'apoteosi di Vincenzo Monti poeta:

Ed io pur anco, ed io, vate trilustre,
Io ti seguo da lunge, e il tuo gran lume
A me fo scorta nell' arringo illustre.

Ritornatogli sott'occhio in età matura questo scritto del suo quindicesimo anno, dichiarò rifiutarlo come opera poetica, approvandone tuttavia i sentimenti « come dote di puro e virile animo ». Abbiamo anche un bel sonetto a Francesco Lomonaco esule napoletano, per la sua Vita di Dante (1802), l' idillio Adda, dedicato al Monti (1803), col quale lo invitava in campagna, e tre Sermoni d'ispirazione pariniana (1803-1804), che mostrano attitudini notevoli all'osservazione pronta e felice e all'ironia, di che è finamente materiata l'ode L'Ira d'Apollo, in occasione delle polemiche sul romanticismo. Abbozzò appena un poema sull' Innesto del vajuolo, mentre soltanto ne pensò un altro sulla fondazione di Venezia. Tralasciando alcune poesie minori (frammenti d'un'ode Alle Muse e l'ode amorosa: Qual su le cinzie cime), ricordiamo i versi sciolti: In morte di Carlo Imbonati, versi a Giulia Bec

1 Vedi R. BONGHI, Discorso per l'inaugurazione della sala manzoniana il 5 nov. 1886, Milano, Rebeschini, 1886.

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