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studj e dalla sua indole. Nell'amministrazione provinciale fu impiegato a Massa, a Ferrara, a Ravenna, e, ancora, a Ferrara. Nel 1803 venne nominato professore di storia naturale e d'agraria nel liceo di Como; ma non accettò quest'insegnamento, al quale non si sentiva adatto e continuò a vivere in non liete condizioni economiche. Ebbe l'ufficio di coadiutore della biblioteca di professore supplente d'eloquenza nell' Università di Bologna, crescendo il magro stipendio coll'impiego di scrivano. Scrisse nel 1807 per l'Accademia di Cesena il Panegirico di Napoleone legislatore: e da Napoleone, come scrisse di poi, aveva sperato non soltanto un saggio ordinamento 'civile, ma anche che « avesse voluto far della nostra Italia un solo corpo» meritando « certo da noi non solo d'essere adorato come un Dio, ma idolatrato come un'amorosa». Nell'aprile del 1808 fu nominato prosegretario del

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l'Accademia di belle arti in Bologna, e tenne quest'ufficio fino al 1815. Strinse in questo tempo memorabile anicizia con Antonio Canova. Dopo la caduta del regno italico, dal governo pontificio gli fu tolto l'ufficio e venne bandito dal territorio del papa. Si recò a Milano, ove era già pregiato il suo nome; e divenuto amico di Vincenzo Monti, fu con lui collaboratore della Biblioteca italiana, ma per non molto tempo. Desiderò, ma non ottenne (1817), la cattedra di lingua greca vacante in Parma,

per la morte del Mazza. Nel 1817 ereditò dal padre quanto gli bastava a menar vita non disagiata. Nel 1818 si recò in Recanati a visitar Giacomo Leopardi, che conosceva per lettere, e del quale sentiva e preconizzava agli amici la grandezza dell' ingegno. Dimorò poi di solito a Piacenza, dove promosse una Società di lettura, sospettato dal governo per le idee di liberalismo, che manifestava francamente negli scritti; difese animosamente la causa dei ragazzi di Piacenza» sdegnato del trattamento che si faceva de' fanciulli nelle scuole; favori la fondazione d'asili infantili. Nel 1824 per uno scritto gratulatorio al nuovo vescovo Loschi, accusato d'ingiuria alla Sovrana, fu, per le mène de' suoi nemici politici, esiliato dal Ducato. Si trasferì a Firenze e vi dimorò fino al 1830, stringen

1 Vedi A. D'ANCONA, in Spigolature nell' Archiv. di polizia austriaca di Milano: Pietro Giordani: l'esilio da Parma nel 1824 (Nuova Antolog., 16 marzo 1899).

dovi amicizia col Niccolini, col Capponi, col Colletta, che aiutò, come già il Cicognara nella Storia della scultura, nella revisione della Storia del reame di Napoli, e vi rivide il Leopardi. Dal governo parmense, del resto, era stato graziato fino dal 1825. Par dal benigno governo granducale fu sospettato ed esiliato; nè volle tornare più in Toscana, sebbene il governo granducale gli dichiarasse d'avere errato esiliandolo; e dimorò a Parma. Nel 1834, peraltro, col pretesto di una privata lettera sull'uccisione del direttore di polizia Sartorio, fu imprigionato, a istigazione della polizia austriaca, per ottantotto giorni, e poi, per volere della mite duchessa liberato e prosciolto per mancanza di reato.' Seguitando ad attendere agli studj e crescendo sempre in fama, promoveva efficacemente la pubblicazione di buoni libri, aiutava, consigliava i giovani promettenti, come già aveva fatto col Leopardi. Di ogni progresso che si facesse morale o materiale, metodi educativi, scuole d'infanzia, casse di risparmio, ritrovi civili, illuminazione a gas, s'interessava vivamente. Salutava con gioia ogni lume di civiltà che vedesse sorgere in Italia; vituperava con impeto di sdegno e potenza di parola i nemici del progresso umano, e quelli d'Italia. Fin dal 1818 pensava che « tutte le speranze d'Italia » fossero in Carlalberto; nel 1848, benchè nemico ai chierici e tutt'altro che giobertiano, salutò le prime imprese liberali di Pio IX chiamandolo miracoloso.» Vide il risorgere d'Italia, e dal governo provvisorio parmense fu fatto presidente onorario dell'università; ma visse ancor tanto da vedere il rovescio delle cose italiane, morendo improvvisamente il 14 settembre 1848.

Il Giordani medesimo considerando nel loro insieme i frutti della sua operosità letteraria, non si dichiarò del tutto contento di sè manca infatti tra essi un'opera vera, organica e ponderosa: nè la Storia dello spirito pubblico d'Italia per 600 anni considerato nelle vicende della lingua, nè il discorso Sulla natura del prete e del principe, nè gli Studi degli italiani nel sec. XVIII, nè il trattato Della religione in Italia, nè altri scritti ch'egli annunziava, condusse a termine, e neanche la Scelta di prosatori italiani, che proponeva in una nota lettera al Capponi. Sia pure che qua e là ne' suoi scritti desse accenni e saggi di grandi lavori e di grandi concetti; sia pure che si riveli espertissimo nello studio de' classici e nelle arti belle, e che la testimonianza di molti e autorevoli contemporanei gli confermi la fama più che di semplice erudito, di vero dotto; ma ei non seppe o non potè o non volle dare un'opera di lunga lena, cui restasse raccomandato il suo nome. Giovi tuttavia a scusarlo il lamento ch'ei fa costantemente nelle sue lettere di cagionevole salute, per la quale spesso gli era impossibile l'applicazione intellettuale. Fu

1 Vedi A. D'ANCONA, ibid.: Pietro Giordani, la prigionia in Parma nel 1834 (Nuova Antolog., 16 giugno e 1o luglio 1899).

pertanto uno stilista squisito, non però senza qualche artificio. Ci piace qui riferire ciò che dice di lui il Capponi, che ben lo conobbe, scrivendo a G. P. Vieusseux: « Soleva dire che lo scrittore è un pover'uomo quando non abbia un pozzo aperto in casa sua dal quale attingere incessantemente le voci e i modi che gli abbisognano: e bene aveva egli questo pozzo (quanto dai libri si può raccogliere) copioso e ricco di buona vena, ma era solito ad usarne con parsimonia giudiziosa. Anche diceva come egli avrebbe d'assai buon grado patteggiato col censore; tenesse pur questi l'arbitrio dei verbi e dei nomi sostantivi, quando lasciasse lui padrone degli aggettivi e degli avverbi. Diceva essergli avvenuto spesso di fabbricare i componimenti suoi attorno ad una parola che n'era stata come il germe: a quella guisa che il flugello sopra alla punta d'una bavetta ravvolge e chiude tutto il bozzolo. I quali detti con altri molti uditi spesso da lui, stanno a mostrare come il Giordani in tutta l'opera dello scrivere, avanti ogni cosa ponesse l'offrire esemplari di quell' arte, che veramente era l'arte sua. E così ancora viene a spiegarsi come egli amasse in brevi scritture trattare spesso tenui argomenti, dove le idee accessorie soverchiassero le principali, studioso piuttosto d'adombrarle che d'esprimerle, e mal piacendosi dei ragionamenti lunghi. Stando egli in mezzo a' contrari estremi, troppo comuni al tempo suo, della scorretta licenza e della gretta servilità, niun altri diede migliori esempj quanto all'uso della lingua e all'artifizio dei costrutti: ma in quel suo stile è pure qualcosa di soverchiamente rattenuto, e sto per dire di raccorciato, quasichè libera non vi corra nè franca l'onda della parola troppo guardinga di sè medesima. Scorreva bensì abbondante e vivacissima in quelle conversazioni letterarie, che si tenevano giornalmente in casa vostra o del Colletta: ricordate voi come gli aveste voi suggerito il pensiero di quella scelta di prosatori, nella quale da principio s'era egli tanto incalorito? Ed egli esponeva a noi la materia dei varj discorsi, nei quali voleva chiamare a rassegna gli scrittori d'ogni secolo; e solamente a porre in carta quel ch'egli diceva, festivo e arguto nei concetti e con parole molto accese, sarebbe stata (come pareva a tutti noi che lo ascoltavamo) la più efficace delle sue prose. Quello che il Capponi dice qui della conversazione attraente e dotta del Giordani è raffermato da altre testimonianze: il Byron, ad esempio, che non poteva patir la conversazione letteraria, sopratutto di stranieri, faceva espressa eccezione pel Giordani. Come epigrafista lasciò modelli insigni, provando, forse primo, il periodo epigrafico a nuovi ardimenti. Per quanto sentisse di sè, fu lieto di riconoscere nel giovane Leopardi quel perfetto scrittore italiano di cui vagheggiava l'idea. Del resto, sebbene superato, e non soltanto dal Leopardi, sebbene oggi meno gustato

1 Vedi MOORE, Mémoires de L. B., Bruxelles, Hamman, 1831, V, 318.

che qualche decennio fa, ben si può dire che colle sue prose giovasse e cospirasse efficacemente anch' egli al rinnovamento della nostra letteratura. Appartenne per profonda convinzione alla scuola classica, pur tenendosi lontano dalle romorose gare e polemiche di puristi e novatori, di classici e romantici. Nè le teoriche ch' ei professava e praticava, gli tolsero d'ammirare i nuovi scrittori e le opere ad altro fine drizzate che il mero diletto letterario: come ad esempio si vede nei suoi giudizj rispetto al Manzoni ed ai Promessi Sposi e nelle lodi al Giusti. Uomo d'alti sensi, di liberi opinioni apertamente professate, e di vita integra, ai suoi tempi potè conquistare ed esercitare utilmente quella che si chiamò dittatura letteraria. Alla prosa moderna, più vivace e sciolta della sua, ma nell'uso di molti troppo disadorna, egli può molto ancora insegnare, come uno de' grandi maestri dello stile, specialmente nelle scritture che gli furono ispirate da nobili impeti di sdegno o da veemente amore al giusto.

Lui vivente si pubblicarono parecchie sue cose (Firenze, Le Monnier, 1846) e sono le approvate. Compiuta edizione delle opere, con minuziosa ricerca degli schemi ę abbozzi di lavori non compiuti, fece A. GUSSALLI (Milano, Borroni e Scotti, 1854-65 in 14 vol.) che n'ebbe dal Giordani stesso in legato i manoscritti: 2 vi si deve aggiungere un opuscolo stampato a Londra col titolo Il peccato impossibile. Scelte delle sue scritture furono procurate da G. CHIARINI, Livorno, Vigo, 1876, e Firenze, Sansoni, 1890: da G. FINZI, MIlano, Carrara, 1884; da A. BORGOGNONI, Firenze, Barbèra, 1890.— Tra i Discorsi ed elogj ricordiamo l'Elogio di Niccolò Masini (1807), il Panegirico all'imperatore Napoleone (1807), l'Elogio di V. Martinelli (1809), il Panegirico ad Antonio Canova (1810) non del tutto compiuto, l'Elogio di Maria Giorgi (1812); tra gli Scritti d'argomento letterario, civile, artistico, La prima Psiche di P. Tenerani, il Ritratto di V. Monti, la prefazione al III vol. delle Opere del Leopardi, il Discorso su la scelta di prosatori italiani. Notevoli i volgarizzamenti da T. Livio, dalle Lettere di Seneca, dagli Annali lucchesi di B. Beverini. Copiosissime, elegantissime sono le sue lettere, che formano sei volumi nell'edizione del Gussalli; ma stampate a Milano durante la dominazione austriaca, troppe sono le lacune di passi importanti che in esse si trovano, e non sempre chiarite in nota le allusioni e il parlare equivoco e d'intesa: così ad esempio, a chi nol sappia, e ci ricordiamo esservi caduto taluno, può parer ch'ei vituperi la propria madre, ogni qualvolta nelle lettere al Cicognara scrive sdegnose parole contro la mamma, per la quale doveva fra loro intendersi l'Italia, Molte altre ne furono di poi sparsamente pubblicate; ad esempio

1 Vedi I. DELLA GIOVANNA, P. G. e la sua dittatura letteraria, Milano, Dumolard, 1882.

2 Vedi G. SFORZA, L'eredità di P. G., in Gazz. letteraria, XVII, n: 47.

da E. COSTA, Parma, 1884, 1886; da A. BERTOLDI, nel Giorn stor. d. lett. ital., fasc. 64-65, e dal medesimo a Reggio Emilia, Calderini, 1892: un saggio di bibliografia di siffatte pubblicazioni postume si vegga nel Giornale degli eruditi e curiosi, V, 165, 210, 274, 305, e poi nel Giornale di erudizione, vol. I, 97, 142, 261, 351, nonchè nella cit. ediz. parmense di Lettere del 1886. Una scelta di sue Lettere fu fatta dall' UGOLINI, Firenze, Barbèra, 1869. G. CARDUCCI estrasse dall' Epistolario i più notevoli Pensieri e giudizj di letteratura e di critica (vol. XIV dell'ediz. Gussalli): altri giudizj suoi sui più eloquenti scrittori italiani trovansi in un suo lavoretto pubblicato da FR. SQUAGLIA nel Propugnatore (vol. V, 278, a. 1872).

Per la biografia, oltre il MESTICA nel cit. Manuale vol. I, vedi L. SCARABELLI, Necrologia di P. G., nell' Arch. stor. ital., app. 5, 1848, e del medesimo, Per P. G. all'inauguraz. della sua effigie, Bologna, Tipogr. Regia, 1874; le Memorie di A. GUSSALLI nella citata ediz. delle Opere; G. CHIARINI, P. G. I primi anni e i primi scritti (1774-1809), nella N. Antologia, 16 ottobre 1885. Importanti assai sono nelle Prose critiche di A. BERTOLDI (Firenze, Sansoni, 1900), tre saggi intitolati: P. G. e altri personaggi del tempo - L'amicizia di P. G. con A. Cesari – Il Giordani, il Belli e vari altri. Delle sue carte edite ed inedite, che Antonio Gussalli legò alla Laurenziana, vedi la bibliografia di C. MAZZI nella Rivista delle bibliot. ed archivj, X, pag. 10 e segg.

La Presentazione al tempio dipinta dal Camuccini. Il cavalier Camuccini, nella parete destra della maggior cappella, pose dipinta la Presentazione di Cristo fanciullo al tempio. Vedi il tempio d'architettura magnifico: e nel vestibolo, sul più alto grado, Simeone, tenente colla destra al petto il Bambino; ignudo, bellissimo, splendiente, ridente; che guarda la sua giovinetta madre; la quale sta a sinistra, sovra un più basso scaglione, in piedi; colle palme devotamente giunte, la testa dolcemente piegata in atto di soavissima umilta, tra stupore e gaudio e dolore delle profetiche parole di Simeone. A sinistra di lei, più basso e discosto, il marito suo, attempato anziché vecchio; tiene per la povera offerta le due colombe. Dalla medesima parte sinistra del quadro (ma più lontano, e similmente in piedi) è una femina che volge le reni, e pur piegando mostra la faccia: stringe al seno un bambino; del quale, comunque non vedi che il dosso, pur conosci che stride, e che la madre si studia di chetarlo. Segue per fianco una giovane che tiene un agnello: le succede un'altra, della quale vedi soltanto la testa, spiritosa e piacente, che ti guarda. Nell'interno del tempio scorgi in fontano gli apparecchi di un sacrifizio. Al destro lato del quadro, sugl' infimi gradi, due camilli o chie

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