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geda confermandole le stesse speranze che altra volta le avea date. Ma perchè insultare questa povera infelice? gli disse allora uno che era presente al discorso.... Baffi era stato già condannato a morte, ma la sentenza s'ignorava dalla moglie. Chi può descrivere la disperazione, i lamenti, le grida, i rimproveri di quella moglie infelice? Speciale con un freddo sorriso le dice: Che affettuosa moglie! Ignora finanche il destino di suo marito. Questo appunto io voleva vedere; ho capito: sei bella, sei giovine, vai cercando un altro marito. Addio.

Sotto la direzione di un tale uomo, ciascuno può comprendere quale sia stata la maniera con cui sieno stati tenuti i carcerati. Quante volte quegli infelici hanno desiderata ed invocata la morte!... Ma la mia mente è stanca di più occuparsi de' mali dell'umanità.... (Dal Saggio sulla rivoluzione di Napoli, § XLIX, ediz. Barbèra, pag. 392 e segg.)

GIAMBATTISTA BROCCHI.

Nacque in Bassano ai 18 febbrajo 1772; mostrò fin da fanciullo inclinazione agli studj letterarj e a quelli della natura: giovane ancora, scrisse su Dante alcune Lettere a milady W.-Y. (Venezia, 1797); nel 1812 fu professore di Botanica nel Liceo di Brescia; nel 1808 ispettore delle miniere. Versato in ogni ramo della scienza, riuscì sommo geologo e paleontologo. Viaggiò tutta Italia per avvantaggiare i suoi studj, e nel 1814 pubblicò l'opera sua più celebre, la Conchiliologia fossile subapennina, in che descrisse e paragonò le conchiglie di un periodo della storia terrestre coll'esattezza colla quale il Cuvier aveva descritto le ossa degli ani mali; 2 a Roma, ove soggiornò più volte, volse la mente così alle arti, come alle investigazioni geologiche e climatologiche, e nel 1820 vi pubblicò l'opera Sullo stato fisico del suolo di Roma. Lo attraeva da lungo tempo l'Egitto, e vi si recò nel 1823, percorrendolo minutamente, com' anche la Siria e la Nubia, e facendo preziose raccolte ed osservazioni: ma la morte lo colse in Cartum ai 23 settembre 1826. Di questo viaggio, che avrebbe reso tanti servigj alla scienza, resta solo il Giornale, che postumo venne pubblicato in Bassano, dal Roberti, nel 1841.

[Per la biografia, vedi T. CATULLO, nella Biografia del TIPALDO, I, 311; G. BARBIERI, Elogio. Milano, Vallardi, 1837; DEF. SACCHI, Uomini utili, Milano, Silvestri, I, 278; G. B. BASSEGGIO,

1 Sullo scarso valore di queste Lettere, che sentono l'influsso del Bettinelli, vedi G ZACCHETTI, La fama di D. in Italia nel sec. XVIII, Roma, Soc. editr. Dante, 1900, pag. 143.

G. MENEGHINI, Dei meriti dei veneti nella Geologia, Pisa, Nistri, 1861.

nel vol. Bassano e i Bassanesi illustri, e A. STOPPANI, Elogio, nel vol. Primo centenario di G. B. B., Bassano, Pozzato, 1873, pag. 15, e in esso a pag. 49 la Bibliografia degli scritti del Brocchi. Pel centenario celebrato a Bassano abbiamo anche queste pubblicazioni: Per la solenne commemorazione in Bassano del primo centenario di G. B. B., offerta dell'Accademia Pontaniana, e Alla memoria di G. B. B., omaggio dell'Accademia delle scienze fisiche e matematiche, Napoli, 1872.

Della malaria di Roma e del modo tenuto dagli antichi per preservarsene. Sembra che non si possa porre in dubbio che i germi morbifici della cattiva aria si introducano nella macchina nostra pegli organi cutanei assorbenti, più che per quelli della respirazione. A simile credenza ci fa scorta il provare che ben più energica è l' influenza di quest'aria se 'uomo sia sopito nel sonno, di quello che se rimanga in istato di veglia, benchè gli organi respiratorj esercitino nell'un caso e nell' altro il medesimo e consueto uffizio. Ma così non è del sistema inalante; imperocchè l'assorbimento che si fa pel ministero di esso è molto più attivo durante il sonno, come dai fisiologi è detto. . . . . Ora, se le febbri terzane ghermiscono più presto l'uomo e più tenacemente quando in tale stato rimanga esposto all'azione di un' aria infetta, si può conchiudere che la via principale per cui s'insinuano i miasmi quella sia de' pori cutanei, che non resteranno certo inoperosi nella veglia, ma sarà allora più lento l'uffizio loro. Ciascheduno potrà arguire da ciò, di quanto giovamento esser debba presidiare con buone vestimenta la superficie del corpo e per intercettare il contatto con l'aria ambiente e per serbare in vigore la traspirazione, onde sieno più presto espulsi que' miasmi che fossero assorbiti. Idonea all' uopo più che qualunque altra materia era la lana, che solevano indossare gli antichi.

Sembra, o cosi almeno vo divisando, che l'azione che la mal' aria esercita sull' animale economia principalmente consista nello scemare l'irritabilità delle fibre muscolari, o piuttosto nel deprimere la forza vitale, che resulta dalla irritabilità sopraddetta e dalla sensibilità de'nervi. Il primo sintomo, e si può dire istantaneo, che si manifesta in chiunque riceva l'impressione di un' aria di questa tempera, è il pallore; atteso che il sangue per la diminuzione di essa forza non può essere sospinto in quella copia di pria nelle ramificazioni de' sottili vasellini arteriosi, che recansi alla cute. Succede poi la lassezza delle membra e la deficienza delle forze; e giacchè la macchina tutta è colpita da languore, dobbiamo credere che, per mancanza del debito grado di tono, sia sturbata la funzione degli stessi vasi esalanti della cute, di questo grande emuntorio del nostro corpo. Quindi è che la materia della traspirazione arrestata ne' suoi

canali si altera, e venendo di nuovo assorbita e portata in circolo così guasta, diventa allora il germe di ostinate e spesse volte pericolose malattie. Ma un doppio danno si aggiunge ed è, che mentre così inerti rimangono i pori esalanti, maggiore all'incontro è l'azione degli inalanti, poichè lo stato di debolezza in che l'uomo si trova, aumenta l'attività dell' assorbimento cutaneo.

Chi non si avvede adunque che, anche per questo rispetto, saranno giovevoli le vesti di lana, quando sieno immediatamente poste a contatto del corpo? Vellicando esse la cute, contribuiranno come stimolo esterno a risvegliare la sopita forza negli organi della traspirazione, e mediante il calore che mantengono intorno alle membra, si agevolerà inoltre l'espulsione della materia che debbe essere eliminata.

Merita particolare considerazione in questo argomento una speciosa circostanza che ha sempre destato la maraviglia dei fisici vale a dire, che la cattiva aria tanto funesta agli uomini, è innocua agli animali cosi domestici come selvatici. Chiunque attraversa le campagne infestate da questa lue, e dove pericolosa cosa sarebbe trattenersi poche ore della notte, rimane grandemente sorpreso a vedere le gregge e le mandre impunemente vagare per quei pestiferi luoghi, ed ivi starsene a cielo aperto nella più perversa stagione. Ma l'indumento che hanno sortito dalla natura, il pelo e la lana, che uniformemente vestono la superficie del loro corpo, è per queste creature un preservativo contro le malattie, che assalgono nelle medesime circostanze gli individui della nostra specie, differentemente in ciò costituiti. Ad impedire l'introduzione degli eluvj insalubri assai giova inoltre quell' umore untuoso, che frasuda dal pelo medesimo, e che spalmando la cute si distende sugli orifizj de' vasi inalanti velati già dall' epidermide.

Più provida e più pietosa coi bruti direbbesi essere stata la natura che non verso l'uomo, esposto ignudo sulla terra alle ingiurie degli elementi; ma essa gli porge facili i mezzi onde possa supplire a quanto gli fu negato, e provvedere cosi alle proprie necessità. Il selvaggio, senza altra industria, s'indossa le spoglie degli animali che uccide; l' uomo incivilito, da quelli che nutre pel suo sostenimento trae la materia con cui protegge il corpo dalle intemperie. Il divisamento di ricavarla dai vegetabili fu suggerito dalla ricercatezza e dal lusso; e se pure in qualche paese per peculiari circostanze viene insinuato dal bisogno, dovrà sempre questo espediente essere posposto all' altro. Non sarà mai chi voglia negare, che ben più confacente sia per essere quell'indumento, che naturalmente mancando a noi si accatta dagli altri animali, coi quali abbiamo rispetto alla fisica costituzione tanti punti di convenienza.

All' uso delle vestimenta di lana attribuisco adunque in gran parte l'invidiabile privilegio che avevano gli antichi

popoli del Lazio, di mantenersi in quello stato di sanità, senza il quale non avrebbero così a dismisura popolato queste contrade. Io credo che non faccia mestieri di autorità per mostrare quanto esse ridondassero di abitanti, essendo cosa notoria. Basta dire che per testimonianza di Plinio cinquantatre popoli erano anticamente nel Lazio, in cui, come ognun sa, stava incluso l'Agro Romano. Benchè debbasi supporre che quegli stati non fossero in sostanza che cinquantatre territorj, governati ciascuno da una picciola capitale, il numero non per tanto ne è ragguardevole. Soggiogati dalle armi romane, perdettero la politica loro condizione, e la più parte eziandio il particolare loro nome. Molti paesi dell' agro furono distrutti, quali sarebbero Collazia, Tellena, Ficana, Politorio, Afrodisio, Satrico, e talvolta di due ne fu fatto uno, come avvenne di Laurento e di Lavinio.

Non ho tampoco bisogno di peregrine erudizioni, per dare a conoscere che, per lungo tratto di tempo, la lana fu la sola materia di cui si valeva il popolo nelle vesti ; e tanto n'era accurata la scelta, che molti paesi salirono in fama perchè ne somministravano di prelibata. Fra le lane d'Italia, Strabone, Plinio e Marziale rammentano la Tarantina, la Parmense, l'Alsinate, la Modenese, la Patavina e la Ligure; se ne traeva dalla Spagna, dalle Gallie, dall' Istria e dall'Asia eziandio, ove era celebrata per la sua splendidezza....

Rispetto alla forma delle vestimenta, questa era del pari la più acconcia; poichè senz' avere parti discontinue e nel tempo stesso senza angustiare le membra, coprivano que' manti la persona. Io non vorrò già stendere un trattato de re vestiaria; ed essendo alieno dallo scialacquare una inopportuna erudizione, mi limiterò ad accennare soltanto due principali sorta di vesti comuni a tutti gli ordini: la Tunica, intendo dire, e la Toga. La prima era come una camicia di lana posta sulla cute, tutta intiera, tutta chiusa, con brevi maniche, che giungeva sino alla metà della gamba, e che stringevasi ai lombi con una cintura. . . . . Fra gli antichi, molti per pulizia mettevano due tuniche: ed allora la interna chiamavasi dalla sua situazione subucula e intusium.

La toga, particolarmente propria de' romani e degli abitanti del Lazio, indi fatta comune agli altri popoli, consisteva in un panno, sulla cui forma assai si disputa dagli eruditi, volendolo alcuni quadrilungo, altri circolare ed altri ancora a foggia di semicircolo. Comunque ciò sia, essa era sovrapposta alla tunica, e gettandone un lembo sull'omero sinistro, involgeva tutto il corpo, lasciando libero il braccio destro, e scendeva fino alle calcagna. Essa aveva maggiore o minore ampiezza secondo la condizione e la fortuna dei privati; ed havvi chi dice che quelle più madornali erano larghe da dieci palmi..... Questo manto cotanto opportuno nel clima di Roma, venne adottato sino dagli antichissimi tempi; era una volta promiscuo agli uomini ed alle donne a detta di

Varrone presso Nonio, ed usavasi al giorno ed alla notte, dovendosi credere che servisse in quest'ultimo caso di coperta: toga commune fuit vestimentum et diurnum et nocturnum et muliebre et virile. Ma le femine poi sostituirono ad esso la Palla, che era di forma poco dissimile, e dentro cui potevasi medesimamente avviluppare il corpo..... Togati erano pertino i plebei e togati i contadini. Di fatto annoverando Marco Catone nel suo libro dell' agricoltura le varie masserizie che debbe provvedere il padrone pei suoi coloni, registra pure le toghe. Cosa indecorosa sarebbe stata di mostrarsi in pubblico con la sola tunica; di maniera che Ennio chiamò per ischerno tunicata la gioventù Cartaginese, perchè soleva, si direbbe da noi, comparire in farsetto.

Un'altra veste molto anch'essa usitata, era il Sago di cui conviene fare alcun cenno. Era questo una sorta di mantello aperto, più lungo della tunica, che annodavasi sull'omero destro con una fibula, e che poco differiva dalla Clamide e dal Paludamento, se non che questi erano composti di più fina lana. Esso veniva portato dai villici.....

Ora se tanto manifestamente è riconosciuto che una delle cause prossime della febbre in questo paese è l'esporsi all'aria notturna con abiti leggieri nella cattiva stagione; se coloro i quali più hanno a cuore la propria salute sogliono munirsi di un buon mantello alla notte ne' mesi di luglio e di agosto, non occorre che uom si affacendi a mostrare quanto accomodate fossero le vesti antiche. Vero è bensi che quella voluminosa toga negli ardori estivi doveva riuscire poco aggradevole, per lo che da Marziale le fu dato l'epiteto di sudatric; ma niuno esiterebbe per certo, soggiacendo ad un semplice disagio, di evitare una pericolosa terzana. — (Dalla Memoria Dello stato fisico del suolo di Roma, Roma, De Romanis, 1820, pag. 222 e segg.)

PIETRO GIORDANI.

Nacque in Piacenza il 1° gennaio 1774. Si addottorò in giurisprudenza a Parma, non inclinando però ad esercitare l'avvocatura; poi tornato a Piacenza entrò nell'ordine benedettino (1797), ma non arrivò oltre il suddiaconato, e presto se ne pentì, dacchè la sua determinazione era nata da disgusti domestici,1 e da un veemente amore con una signora coniugata. Ottenne poi nel febbraio 1803 di essere secolarizzato, e già prima era uscito dall'ordine. Venuto a Milano (1800) ebbe ufficj civili, troppo alieni dai suoi

1 Vedi E. COSTA, I genitori di P. G., in Spigolature, Parma, Battei, 1887. 2 Vedi G. CAPASSO, La giovinezza di P. G., Torino, Roux, 1896; E. CoSTA, Lettera a Rosa Milesi, pubbl. per nozze Tamassia-Centazzo, Parma, - Battei, 1896,

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