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rale? Voi lo sentite nel fondo del vostro cuore. Credete voi che abbiano osservata l'eguaglianza di diritto? Sì certamente; ed appunto hanno osservata la giustizia, perchè hanno operato a norma dell'eguaglianza. Ma realmente esse sono divenute fra di loro disuguali. Lo concedo, ma dico che appunto sono così disuguali e lo sono con giustizia, in vigore del principio dell' eguaglianza. Nol comprendete ancora? lo mi spiego.

Ditemi se al momento che Tadich e Robinson sbarcarono colle loro mogli, Tadich avesse ammazzato Robinson, avrebbe egli fatto una cosa giusta? Voi rispondete di no. E perchè? Perchè, voi mi direte, Tadich non era padrone della vita di Robinson. Ma perchè, chieggo io, non n'è egli padrone? Perchè, voi replicate, Tadich è un uomo come Robinson e niente più: e quindi se Tadich avesse avuto diritto di uccider Robinson, questi per egual ragione avrebbe avuto diritto di uccider Tadich; la qual cosa involge contradizione.

Ma trovandosi essi in un luogo dove non vi sono nè leggi nė tribunali nè pene, sarebbe stato almeno lecito al momento dello sbarco a Tadich di spogliare Robinson dei suoi vestiti o di legarlo come un cane e farselo schiavo? Il vostro cuore e la vostra bocca con impazienza mi rispondono di no. E perchè tutto questo? Per lo stesso principio di prima; e poi, replico, Robinson avrebbe avuto lo stesso diritto dal canto suo sopra di Tadich.

Voi dunque sentite, che, almeno in quest'epoca, l'eguaglianza è il principio di giustizia unico fra gli uomini: che quest'eguaglianza è fondata su di una verità fisica di fatto: cioè, che ogni uomo tal qual è realmente in sè stesso, nella guisa di nascere, nella figura e nelle facoltà interne, a dir breve, tanto riguardo alla macchina, quanto riguardo allo spirito nei suoi bisogni e nel suo fine, è simile ad ogni al

tro uomo.

Voi avete sentito del pari che nella divisione delle terre fu osservata l'eguaglianza fra le due famiglie.

Ma se l'uno dei due avesse voluto cacciar l'altro dal fondo e dalla casa avanti il raccolto per impossessarsi dei frutti pendenti? Voi mi dite che ciò sarebbe stata iniquità. E perchè? Perchè, mi rispondete, Robinson e Tadich essendo eguali ed essendo ognuno di essi in casa propria e sulla sua terra al pari dell'altro vero padrone, non sarebbe stato lecito all'uno di spogliar l'altro del suo possesso per usurparselo egli. Che se volessimo concedere un tale diritto di usurpazione, converrebbe concederlo ad entrambi, poichè non v'è nessuna ragione di preferenza nè nella natura delle cose nè in alcun patto tra di essi stabilito. Laonde un tale diritto, oltre di essere barbaro, violento e distruttore della pace e della stessa vita, sarebbe altresì assurdo e contraddittorio.

Dunque necessariamente deve riconoscersi che l'unico principio che fa sentire socialmente giusta e sacra la proprietà delle cose e per cui debba esser rispettata, si è la eguaglianza. Ma Robinson e Tadich, di già padroni del fondo coltivato colla loro industria, divengono altresì padroni dei frutti che ne derivano. Se dunque il fondo di Robinson produce di più del fondo di Tadich, Robinson rimane tuttavia legittimo padrone anche del di più, per la stessa ragione per cui egli è padrone del meno. Ora siccome era in forza dell'eguaglianza che si rendeva inviolabile la di lui proprietà, sarà appunto in forza dell'eguaglianza stessa che si renderà inviolabile il possesso di un maggior aumento di ricchezze, acquistato senza offendere i confini dell'eguaglianza altrui.

È ben chiaro che se il di più che Robinson possiede non lo avesse acquistato rispettando l'eguaglianza sua con Tadich, cioè a dire, se glie lo avesse usurpato o con violenza o con inganno o con timore, egli non ne sarebbe divenuto nè anche col tempo legittimo padrone: ma è del pari evidente che avendolo acquistato coll' industria ed anche coll'aiuto di quella che chiamasi fortuna, e così col non ferire niente il fatto altrui, egli deve considerarsi legittimo padrone dello stato suo maggiore, in forza appunto del principio dell' eguaglianza.

Perciò si sente altresì che non rimane leso il diritto dell' eguaglianza anche nella situazione in cui Robinson è ricco ed Orondal povero, in cui il primo è padrone e possidente, l'altro servo e semplice agricoltore. Piuttosto, se Orondal volesse rompere a capriccio un tale rapporto, egli violerebbe l'eguaglianza; e se taluno volesse giustificarlo, autorizzerebbe un'incessante guerra fra gli uomini, e ridurrebbegli allo stato dei lupi, degli orsi e dei leoni. Disinganniamoci: fra l'eguaglianza ben intesa ed il ferreo ed orrendo diritto del più forte non v'è mezzo ragionevole.

Procediamo più oltre. Queste famiglie si aumentano e l'isola diviene popolata. Alcuni corsari si affacciano ad essa, e gli abitanti fanno loro resistenza sotto la condotta di un capo da loro scelto. Egli respinge i corsari colla vittoria. La riconoscenza nella nazione vuole perpetuare la memoria di questo fatto e premiare il capo che si è segnalato, con decretargli una distinzione personale di onore, estesa anche alla di lui famiglia e discendenza.

Direte voi che ciò violi il diritto di eguaglianza naturale? Niente affatto. A chiunque altro co' talenti e col coraggio era aperto il campo di distinguersi in siffatta maniera: e quando per un consenso unanime della nazione un tale eroe ha acquistato l'anzidetta distinzione, egli ne diventa legittimo proprietario, al pari di quello che colla sua industria acquista un dato fondo o ne raddoppia il raccolto. Quindi, in virtù dell'eguaglianza, la quale fa sì che taluno non possa

usurpare ciò che l'altro possiede di sua ragione, quantunque possegga di più, in virtù, dico, dell'eguaglianza stessa, il popolo o il privato non può privare senza ragione l'eroe o la sua discendenza della distinzione di cui è in possesso. Ed ecco che l'eguaglianza, e la sola eguaglianza, lungi dall'essere contraria, anzi rende legittima la distinzione stessa dei ranghi; e come essa è un freno per i superiori a non soverchiare illegittimamente gl'inferiori, è del pari un freno degli inferiori a pro dei superiori, onde non essere a capriccio spogliati dei frutti dell'industria, dei talenti e del coraggio.

Se vogliamo parlare con esattezza, l'eguaglianza non è veramente un diritto, ma bensi essa è la misura e la salvaguardia naturale dei diritti.

Ma poniamo che nella popolazione di quest'isola si facessero leggi o suntuarie o agrarie, le quali limitassero le proprietà delle famiglie al puro bisognevole, e il di più per un assoluto comando lo togliessero ai proprietarj per darlo ai più poveri; cosa ne deriverebbe egli? Oltreche tale costituzione sarebbe contraria ai primitivi naturali diritti, come sopra abbiamo dimostrato, essa sarebbe la sorgente di una universale inerzia, l'ostacolo maggiore alla prosperità nazionale, alla popolazione, all'industria, al coraggio, ai progressi della coltura e dell' incivilimento della società. Chi sarebbe infatti tanto sciocco da sudare affaticandosi oltre un dato segno di necessità colla previdenza di dovere affaticare per altri? Con qual coraggio procurare, senza speranza di migliorare, o lumi o arti o scienze o copia di ricchezze, per essere certamente privato dei beni che sogliono recare? Ne verrebbe adunque che ognuno, limitato al puro bisognevole, non potrebbe opportunamente soccorrere l'impotente, l' ammalato, il difettoso, che pure si ritroverebbero sempre nella società; che non potrebbonsi premiare i servigj altrui nè incoraggire co' premj pubblici o colla riconoscenza privata le virtù sociali; che ognuno dovendo limitarsi necessariamente al travaglio ́ed all'economia, l'ignoranza, i pregiudizj, gli errori, la rozzezza dei costumi, la ferocia delle passioni e la durezza del cuore sarebbero il retaggio. inevitabile di una tale situazione. E quindi lo Stato sarebbe nella massima depressione, languore, barbarie e debolezza. Laonde per fare il bene di tutti non si farebbe realmente quello di alcuno.

È dunque chiaro che l'eguaglianza di beni e di condizioni è una chimera in natura, e una chimera del pari ingiusta che nociva; che tentare d'introdurla colle istituzioni umane sarebbe un tentare l'oppressione e la degradazione della specie umana, e che essa diverrebbe dannosa assai più per coloro, al giovamento dei quali si temesse, che non osservata, potessero abusarne. Che la disuguaglianza, per lo contrario, di beni e di stato è inevitabile; che dessa

è una conseguenza naturale delle cose e dei diritti umani, ed un effetto del rispetto usato all'eguaglianza; e che finalmente, fino ad un dato segno, essa è la più utile, anzi necessaria condizione di uno Stato.

Io credo finalmente superfluo di parlare della disugnaglianza di autorità, nata dalla costituzione del governo civile. Il volgo sente con troppo di forza che una città senza leggi, senza governo e senza autorità, una città in cui il malvagio non fosse contenuto, corretto e spaventato da una forza preponderante e legittima, sarebbe una spelonca di bestie feroci ed una vera immagine del caos. È quindi è che per fare appunto rispettare l'eguaglianza, è necessario introdurre l'impero e l'obbedienza.

Chè nelle condizioni della costituzione della sovranità inchiudendosi realmente una vicendevole servitù fra chi comanda e chi ubbidisce, colla sola differenza, che in chi comanda la servitù va accompagnata dalla dignità, perchè il di lei scopo ed il di lei unico dovere, d'onde partono tutti i suoi diritti, essendo la massima felicità nazionale, ella deve rivolgere tutte le sue cure e deve far confluire tutti i suoi benefici effetti unicamente in chi serve, ciò appunto tende a mantenere la felicità comune colla proporzione e colle regole dell' eguaglianza. È perciò che in nessuna parte l'eguaglianza trovasi si ben promossa, protetta e difesa, quanto in una buona società civile, cioè in un popolo retto da un forte e ben subordinato governo, in cui tutti siano servi della legge e nessuno del privato. Che se mai su di ciò rimanessero tuttavia delle idee confuse, sarebbe più opportuno schiarirle nell'atto che si spiegasse che cosa sia libertà.

Avanti però di dimettere questo foglio, taluno potrebbe chiedermi una vera e ristretta definizione dell'eguaglianza, di cui fino a qui abbiamo ragionato. Dicasi una parafrasi o la spiegazione del vocabolo, piuttosto che una filosofica definizione. Un'idea semplice e relativa non si può filosoficamente definire. Qui « l'eguaglianza non è altro che lo stato medesimo dei diritti naturali umani, in quanto in ogni individuo non sono o maggiori o minori che in ogni altro individuo. » Taluno potrebbe anche dire « non essere altro che l'identità di misura, ossia l'esistenza della stessa quantità di diritti in tutti gli individui umani. »

Affine poi di conciliare tutte le idee esposte in questo scritto, è mestieri di fare una importante e vera distinzione fra il diritto considerato in se stesso e l'oggetto del diritto, che è la cosa su cui egli si versa. Quello che appellasi jus è una cosa puramente astratta, intellettuale, incorporea, come per esempio l'anima: per lo contrario, l'oggetto su cui il diritto si versa può essere, ed è quasi sempre, una cosa concreta, sensibile e materiale. Così il jus di dominio è una cosa intellettuale ed indivisibile: per lo contrario, l'oggetto

del dominio è una cosa materiale, come l'oro, i campi, le case. E siccome accade benissimo che molte anime umane abitino diversi corpi di grandezza disuguale, benchè essi siano fra di loro uguali: anzi una stessa anima in età differenti si esercita e sta unita ad un corpo di differente grandezza, senza scemare o aumentare niente della sua sostanza, così i diritti umani possono riguardare ed agire su oggetti esterni di estensione differente, senza scemare della loro intrinseca quantità.

Cosi si verifica, com' essi, benchè esistenti egualmente in diversi individui umani ed esercitandosi su di oggetti disuguali, nell'atto che stanno per urtarsi o per collidersi o per equilibrarsi, fanno sempre sentire la loro eguaglianza. Due atleti egualmente robusti posti alla guardia l'uno di un picciolo effetto e l'altro di un assai maggiore, non si possono l'un l'altro soverchiare per rapirselo, e quantunque vengano caricati di pesi disuguali, non lasciano però di essere dotati di forze affatto eguali: così il pastore nella sua capanna ed il grande nel suo cocchio dorato sono egualmente inviolabili, e su disuguali oggetti manifestano una pari forza nei loro diritti. In breve, l'eguaglianza risiede nei diritti, e la disuguaglianza nei soggetti esterni su cui si esercitano.

Ecco cosa sia l'eguaglianza, e come debbasi intendere, applicare ed esercitare.

LAZZARO PAPI.

Nacque a Pontito nel Lucchese, ai 23 ottobre 1763, e fece i primi studj a Lucca nel Seminario di San Martino, donde, volendolo i suoi costringere e vestir l'abito ecclesiastico, fuggì a Napoli e si fece soldato. Ritornato dopo qualche anno in patria, si recò a Pisa per attendere alla medicina, non tralasciando le lettere, alle quali aveva conforti dal Pignotti, e per corrispondenza dal Cesarotti, cui sottopose una mediocre tragedia intitolata Clearco, stampata nel 1791 (Pisa, Pieraccini) e della quale la cosa più notevole è la prefazione, in che si dimostra ammiratore dell'Alfieri. Prese moglie, che gli morì al primo parto: gli mori anche il padre amatissimo. Intanto andava oltr'alpe ingrossando quel turbine, che minacciava anche l'Italia, ond' egli domandava dubitoso ad un amico:

Tu che dell'avvenir nel grembo oscuro
Spinger sai l'occhio dell'occulta mente,
E ciò ch'è dubbio altrui vedi sicuro,

Dimmi: quel che dall'Alpi ora discende
D'armi e d'armati innondator torrente,
Ceppi a noi reca, o libertà ci rende ?

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