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UN DRAMMA CLAUSTRALE

Il benemerito Palermo ha pubblicato nel 1860 due volumi col titolo: Manoscritti palatini ordinati ed esposti. E chi vede la copia e l'importanza di quei Manoscritti, non può esser contento che rimangano ancora inediti. Sono ricchezze che l'Italia ha obbligo di trar fuori delle cave e mettere in circolazione.

Gli elenchi del Palermo sono accompagnati con lunghi estratti e giudiziose osservazioni: il che se non basta a porgere un criterio letterario di quegli scritti, può almeno dare sicura notizia del loro concetto e della loro tendenza. Sicchè quella pubblicazione non è stata in tutto sterile per la storia della nostra letteratura.

I Tedeschi, che mettono in questi studii una grande serietà, fecero molto caso della raccolta del Palermo, e vi attinsero preziose notizie, dolenti che dovessero star contenti a quegli estratti e non avessero innanzi le intere opere. E come si suol fare colà, quando si vuol scrivere di queste cose, alcuni non hanno dubitato di venire di proposito a Firenze, seppellirsi nella Biblioteca nazionale e consultarvi quei manoscritti. Cosi fecero Ebert e Klein. E fermarono l'attenzione sopra una rappresentazione, intitolata D'uno monaco che andò a servizio di Dio. Parve loro in tanta varietà di misteri un individuo sui generis, di cui nessuna letteratura aveva esempio, e lo

battezzarono Klosterspiel, rappresentazione o dramma claustrale, perchè attori e spettatori sono monaci. E se con questo criterio si debbono classificare i drammi, niente vieta che ci sieno anche i drammi di corte, quando per avventura attori e spettatori sieno cortigiani.

I due dotti tedeschi nel discorrere di questo dramma si accordano in parecchi punti, ma dissentono nel punto sostanziale, cioè nel concetto. Secondo Ebert, il concetto sarebbe questo, che abito non fa monaco, cioè a dire che non basta esser monaco per salvarsi, ma si richiedono le buone opere. Or questo pare a Klein un concetto proprio de' tempi della Riforma, conveniente forse a Geronimo Savonarola, ma impossibile in tempi più schietti e ingenui, quando non si fa distinzioni tanto sottili tra l'apparenza e la sostanza. Oltrechè non è nel dramma alcuna allusione anche minima a questa differenza. Klein dunque, rigettando l'interpretazione di Ebert, come troppo soggettiva, sostiene il dramma esser non altro che l' apoteosi della vita monacale come via a salute.

Ognuno intende quanta importanza abbiano nella storia dell' arte questi concetti, che contengono il problema sostanziale dell'arte al medio evo. Chi vuol comprendere quell' architettura e quei dipinti e quei bassirilievi e quelle laude e quei poemi, dee domandarsi in che modo era allora compresa la vita nello scopo e ne' mezzi, e se quel dramma risponde a questa domanda, sia il suo concetto quello di Ebert, o quello di Klein, esso è un documento importantissimo e degno di attirare l'attenzione e le discussioni dei critici.

Oltrechè, questo dramma, se non è il più antico dei misteri italiani, come pare a' due critici stranieri, è certo antichissimo. E se ne persuaderà facilmente chi faccia attenzione alla grande semplicità dell' ordito ed alla forma astratta e quasi ancora allegorica de' personaggi, privi anche di nome proprio, come il figlio, il padre, la ma

dre, ec. Sembra uno di quegli scheletri ovvero ossature di rappresentazioni sviluppate all'improvviso e a piacere degli attori, e ridotte e raffazzonate più tardi da qualche letterato. Il dramma è stato probabilmente ritoccato e ripulito da qualche frate verso la fine del secolo decimoquarto.

Considerando l'antichità di questo dramma, e l'importanza del suo concetto, ho voluto trarlo dal suo carcere cartaceo, dove si trova smarrito e confuso con altri quattro drammi, e pubblicarlo nella sua integrità, con lievi correzioni d'ortografia e di verso. In certi punti il senso è dubbio o guasto; ma non ho voluto metterci mano, non ho voluto guastare col mio intonaco la venerabile antichità. L'autore istruisce co' più minuti particolari gli attori di quello abbiano a fare per esprimere con le attitudini e i gesti il carattere e gli affetti de' personaggi. Alcune di queste istruzioni, come troppo insignificanti e volgari, ho lasciato, parendomi che quelle cosi frequenti e inutili interruzioni scemino l' interesse e stanchino l'attenzione.

Io metto senz'altro il dramma sotto l'occhio de' lettori, e dopo esaminerò le opinioni di Ebert e di Klein, e vi aggiungerò alcune considerazioni.

Il dramma è in un codice della biblioteca palatina, numero 445, e vi si trovano modo d'introduzione alcune

parole, che riferirò con la stessa ortografia:

<< Qui chomincia la rappresentatione d'uno santo padre e d'uno monacho dove si dimostra quando il monacho andò al servigio diddio chome ebbe molte tentatione et era buono servo diddio intanto chel santo padre suo maestro chon chi stava volendo intendere che luogho dovesse avere in cielo fece oratione addio che gli rivelassi in che stato egli era ec. »

Ecco ora il dramma.

L'ANGIOLO annunzia la festa e dice cosi:

O voi che avete mutato de fuore
L'abito per andar me' pel cammino
Che ci fu scorto dal pio Salvatore;
Cosi vogliate drento del divino
Amor vestirvi avendo umil core,
Credendo certamente che il destino
Dell'alto Iddio che ogni cosa provvede
È di far salvo chi il serve con fede.
Però vi fia per costor dimostrato

Un santo padre a cui l'angiol predisse
Che il suo buon servo sarebbe dannato;
Onde per questo a sì ben far si misse,
Che meritò gli fosse rivelato

Essere salvo e che il ben far seguisse:
E però in silenzio state attenti,
E siate sempre di ben far contenti.
La MADRE: Deh! perchè stai, figliuol, così pensoso,
E tanto fuor dell'uso ti sgomenti?
Etti per caso alcun fatto cruccioso,
Oppure hai altro che non ti contenti ?
Mancati nulla? Non tener nascoso,
Ma dimmi presto se non ben ti senti,
E non istar più fermo in tanto tedio,
Ma se c'è male alcun, che sia rimedio.
Il FIGLIUOLO: Se io ti pajo fuor d'uso turbato,
O dolce madre mia, non è cagione

Mal ch'io mi senta, nè perch'io sia stato
Da altri offeso; ma l'affezione

Ch' io ti porto e ho sempre portato
Fa combatter col senso la ragione,
E perchè ragion vince e il senso è vinto,
Si mostra il viso di dolor dipinto.
L'anima drento gode ed è contenta,
Dappoi che di ragion usa al governo
Il fragil senso di fuori ispaventa
Amando il ben caduco e non l'eterno,

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