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cutore di comandi, a cui la sua anima rimanga estranea; ma è insieme l'uomo offeso che vi aggiunge di suo l'odio e la vendetta. Il concetto della pena è la legge del taglione o'il contrappasso, come direbbe Dante: Ruggiero diviene il fiero pasto di un uomo per opera sua morto di fame, lui e i figli. Se il concetto rimanesse in questi termini astratti, il modo della pena genererebbe il disgusto e non sarebbe senza un'ombra di grottesco. Ma qui il disgusto è immediatamente trasformato nel sublime dell'orrore, perchè l'esecutore della pena non è un istrumento astratto e indifferente di Dio, ma è lo stesso offeso che sazia nel suo nemico la fame dell'odio e della vendetta. A questo non hanno badato quei comentatori di si tenera pasta che si turano il naso per non sentire il puzzo delle cervella e del sangue, e gridano indecente e disgustoso lo spettacolo. Perchè ciò? Perchè nel lettore vi sono due impressioni, e nel poeta ce n'è una sola. Dante dominato dall'orrore del fatto e con in capo già abbozzata e fervente l'immagine di Ugolino non si arresta alle cervella ed al sangue, che entrano come immagini confuse nella sua visione; egli dice: il teschio e le altre cose: e quando Ugolino solleva la testa, e ci scopre quel teschio da lui guasto, Dante non guarda già il teschio, ma Ugolino, e gittando in mezzo l'immagine feroce del pasto e facendogli forbire la bocca usando de' capelli di quel capo a modo di tovagliuolo, spaventa tanto l'immaginazione, che la tiene colà e le toglie il distrarsi nel rimanente dello spettacolo. Ora chi vuol gustare una poesia, dee rifare in sè quel primo momento creativo del poeta. Ma noi questo canto del conte Ugolino l' impariamo a mente sin da fanciulli, e lo diciamo bello sulla fede de'maestri; e quando ci si sveglia il senso estetico, è già troppo tardi, la prima e ingenua impressione è perduta irreparabilmente, e non sappiamo ritrovarla, non ringiovanirla. Raffreddati non sentiamo, ma analizziamo; l' in

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tero della concezione ci sfugge, e meno ci sentiamo atti a riafferrare l'insieme, più dimoriamo nei particolari, ed allora è ben naturale che noi scopriamo le cervella e il sangue, e ci turiamo il naso. Chi ha virtù di lavarsi da queste seconde impressioni e riverginare il suo senso estetico, non vede qui tendini, nervi e cervella; la fantasia di Dante è rapida e non glie ne lascia il tempo; ma rimane come spaventato e annichilito innanzi a quella colossale apparizione, impregnata di odio, e di odio non settario, ma di uomo e di padre offeso, e sospetta qualche terribile istoria che ha condotto un essere nato di uomo ad atto cosi fuor dell'umano, cosi ferino. Or quando 'uomo in proporzioni così ideali occupa la scena, tira a sè l'occhio e l'anima dello spettatore e gli ruba ogni altra vista, ogni altra impressione. E guardate che grandezza di proporzioni Dante ha date a questo Ugolino, Sembra che quel suo atto cosi straordinariamente feroce sia espressione adeguata del suo odio, e basti già a colpire di terrore la immaginazione; ma no, egli è più fiero che la sua azione, e si manifesta in quell'atto e non si appaga, come un malcontento artista che non vede sulla carta il suo ideale e non lo spera. Il dolore di Ugolino è disperato, non saziato, non placato da quella vendetta: il suo dolore riman vivo e verde, tanto che a solo pensarci, pur pensando, lacrima, come pur ora fosse stato offeso. Anche in Shakespeare ci è un padre a cui sono ammazzati i figli, e: che fai? gli grida un amico: non calcarti il cappello, non torcere gli occhi così: pensa a vendicarti.-Egli non ha figli! risponde Macduff. Risposta spaventevole, che fa intravvedere nel padre la disperazione della vendetta, non potendo ammazzare i figli di colui che ha ammazzati i figli suoi. Ma il concetto

1 Aroux dice: toute la haine du sectaire incarnée dans le père altéré de vengeance. Io qui trovo il padre, ma non veggo il settario.

di Dante è ancora più alto. Ugolino ha sotto i suoi denti il nemico, e rimane insoddisfatto, e non perchè desideri una vendetta maggiore, ma perchè non c'è vendetta che possa saziare il suo dolore, essere eguale al suo odio. Il suo dolore è infinito; la sua anima rimane al di sopra della sua azione. È stata notata una certa somiglianza tra le prime parole di Ugolino e le prime di Francesca 1; vi è certo lo stesso concetto, ma con diversa musica. Perchè nelle due situazioni vi è qualche cosa di simile e di diverso, somiglianza di concetto con diverso sentimento. Amendue ricordano con dolore il passato. Cedono alla dimanda di Dante, e piangono e parlano insieme. Ma per Francesca è un passato voluttuoso e felice congiunto con la miseria presente, e la sua anima innamorata ingentilisce il pianto ed abbella il dolore: onde la mollezza e la soavità di quei versi:

Nessun maggior dolore

Che ricordarsi del tempo felice

Nella miseria. .

Ma se a conoscer la prima radice

Del nostro amor tu hai cotanto affetto,
Farò come colui che piange e dice.

Per Ugolino passato e presente sono d'uno stesso colore, sono uno strazio solo che sveglia sentimenti feroci e ravviva la rabbia; attraverso le sue lacrime vedi brillare la cupa fiamma dell'odio. Il rodere è posto accanto al lacrimare; quell'uomo piange, ma il suo pianto ti spaventa, e ti pare ad ogni tratto che in mezzo alle lacrime, mutato il dolore in rabbia, dia di morso a quel teschio. Parla e piange, e non già per fare il volere di Dante, come la gentile Francesca, ma per odio, perchè

1

Parlare e lacrimar vedra' mi insieme.
Farò come colui che piange e dice.

le sue parole fruttino infamia al traditore. L'ultima pennelleggiata è in quel terribile tal vicino. Vicino risveglia idea benigna d'amicizia e dimestichezza di uomini che vivono ed usano insieme; ma in bocca ad Ugolino è una ironia amara.

Con questa combinazione patetica la poesia entra anche in questo prosaico fondo dell'inferno, e fonde il ghiaccio e risuscita la vita. E la poesia non è altro che la rappresentazione del tradimento, che è la colpa qui punita in tutte le sue gradazioni, fatta non dal traditore, il cui cuore indurito e perciò ghiacciato è morto ad ogni sentimento, è immobile come quel teschio, ma fatta dalla vittima, divenuta il suo carnefice.

Creata questa situazione, il regno della ghiacciata e prosaica necessità ridiviene il regno libero dell'arte. Ugolino, se, come traditore, è lui pure tra' ghiacciati, come vittima, posta li dal divino giudizio col capo come cappello al capo dell' offensore, è non solo un istrumento fatale dell'eterna legge, ma l'offeso che mette nell' adempimento dell'ufficio tutte le sue passioni di uomo e di padre. Indi è che nella rappresentazione della pena il concetto della giustizia rimane un sottinteso: nè il poeta vi fa alcuna allusione, nè Ugolino ne ha coscienza. Bertram dal Bormio è non altro che peccatore e dannato, che riconosce in sè la giustizia della pena e può dire :

Così si osserva in me lo contrappasso.

In questo caso l'interesse poetico non può nascere che dall'orrore e dalla maraviglia di una pena cosi insolita, un busto che tien per le chiome pesol con mano il suo capo tronco, un orrore e una maraviglia che si trasforma in un appagamento intellettuale quando la pena è spiegata e legittimata. Ma Ugolino qui non è il peccatore e il dannato, e non è neppure un esecutore della

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legge divina se non inconscio. Una sola cosa egli sa, aver sotto a'denti il teschio del suo nemico e di sfogare in quello il suo odio. Dante stesso non è colpito se non da ciò che in quel fatto è personale, sfogo d' odio d'uomo offeso:

O tu che mostri per sì bestial segno
Odio sovra colui che tu ti mangi,
Dimmi il perchè, diss' io, per tal convegno:
Chè se tu a ragion di lui ti piangi, ec.

Cosi Ugolino è un personaggio compiutamente poetico, che può manifestarsi in tutta la ricchezza della sua vita interiore.

Già in pochi tratti il poeta ha abbozzata questa colossale statua dell'odio, di un odio che rimane superiore a quel segno bestiale, che già ha fatto tanta impressione in Dante. Ma in seno all'odio si sviluppa l'amore e il cupo e il denso dell'animo si stempra ne' sentimenti più teneri. Quest'uomo odia molto, perchè ha amato molto. L'odio è infinito, perchè infinito è l'amore, e il dolore è disperato, perchè non c'è vendetta uguale all'offesa. Tutto questo trovi mescolato e fuso nel suo racconto, non sai se più terribile o più pietoso. Accanto alla lacrima sta l'imprecazione; e spesso in una stessa frase c'è odio e c'è amore, c'è rabbia e c'è tenerezza: l'ultimo suono delle sue parole, che chiama i figli, si confonde con lo scricchiolare delle odiate ossa sotto a' suoi denti.

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Gli antecedenti del racconto sono condensati in rapidissimi tratti, che ti risvegliano tutta la vita del prigioniero, al quale i mesi e gli anni che per gli uomini distratti nelle faccende volano come ore, sono secoli contati minuto per minuto. Ugolino è chiuso in un carcere, a cui viene scarsa luce da un breve foro, al quale sta affisso; ed il suo orologio è la luna, dalla quale egli conta i mesi della sua prigionia. Quell'angustia di car

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