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La sua figura è rimasta giovine nella immaginazione popolare; il suo nome significa patriottismo, lealtà, moralità. È in lui quello stimolo interno, che rende l'uomo inquieto, e gli fa credere che nulla è fatto, finchè ci sia qualcosa a fare. Egli sa che resta ancora a fare l'unità morale della nazione, scemando la distanza che è tra le varie ragioni e le varie classi. La sua bandiera è pur quella che ha vista molte volte sventolare sui campi di battaglia, la bandiera della unità nazionale, bandiera oggi d'unificazione e di assimilazione: Italia e Vittorio Ema nuele. Egli sente che o la Sinistra non ha alcun senso o la sua missione è questa. Non è atto di nimicizia il suo distacco; è affermazione ricisa di principii comuni, il maggior servigio che poteva rendere alla Maggioranza. Natura nobile e ideale repulsiva a interessi privati e a gelosie regionali, egli è il contrappeso a tutte le piccole miserie che si chiamano esigenze politiche. Togliete alle maggioranze questi alti obbiettivi, e non saranno mai altro che un accozzamento d'interessi e di affari nei quali i partiti si corrompono, non si costituiscono.

IL PRINCIPIO DEL REALISMO

M'è venuto innanzi ultimamente l'Annuario di una Biblioteca filosofica, pubblicata a Lipsia fin dal 1868, e ricca già di sessantasette volumi. Mi ha fatto impressione vedere in quella raccolta certi nomi, che da un pezzo erano usciti di moda, Cartesio, Bacone, Locke e fino Condillac. Mi pareva trovarmi in pieno secolo VXIII.

Parimente stupii che in Germania gli studii filosofici fossero ancora coltivati con tanto ardore, che vi fosse possibile una cosi vasta pubblicazione, la quale presso di noi non avrebbe che pochissimi lettori.

E la Biblioteca non è solo una ristampa, ma ci trovo prefazioni, dilucidazioni e comentarii, i quali talora pigliano parecchi volumi, e rivelano la presenza di una mente attiva e direttrice. Questa mente è il presidente Kirchmann.

Mi ricordai allora della Società filosofica di Berlino, di cui il Kirchmann è uno de' membri più distinti e più attivi. Conoscevo per udita la sua Filosofia della conoscenza e la sua Estetica, e mesi fa m' era venuto alle mani un suo libriccino, intitolato: Il principio del realismo. E mi venne grande curiosità di sapere cosa era in Germania questo realismo, che menava tanto romore, e tirava dall'oblio Locke e Condillac. E tanto più mi ci accesi, che il nostro filosofo finisce il suo lavoro col desiderio di una comunione intellettuale fra gli uomini colti di tutti i paesi. Sicchè, quantunque questi studii mi sieno

in gran parte estranei e sieno stati come una vera digressione nella storia del mio pensiero, pur leggo, e leggo, e non mi sazio di leggere.

Era forse la prima volta che leggevo così di filato un libro tedesco. E m'avvenne non perchè l'Autore fosse esperto in quei lenocinii e in quegli artifizii che i Francesi chiamano arte di fare un libro, ma perchè non si distrae e tira diritto, e parla chiaro e semplice sempre, stretto intorno al suo argomento. Scrittore severo, tutto ordine e tutto precisione, schivo di frasi e di formole e di nebbie eleganti, sgombro di ogni sentimento e di ogni fantasia.

E perchè di realismo molto si parla tra noi in arte e scienza, ma generalmente in modo vago e confuso, credo non inutile esporre i concetti di uno scrittore, che a questa materia ha consacrata una gran parte della sua vita scientifica.

Il realismo non si ha a confondere con l'empirismo e il sensismo, rozzo avviamento a quello. E non è lo stesso che il materialismo, venuto su da un uso assai superfi ciale del pensiero nella trattazione della materia. Lo stesso Hegel biasima l'empirismo, ma non potrebbe biasimare il realismo nella sua forma presente. Perchè il realismo pone così alto il pensiero, come fanno gl' idealisti.

La differenza è in questo, che l'idealismo considera il pensiero come l' esclusiva e immediata sorgente dell' essere, sicchè il più alto, il primo nell' essere, non può venire appreso che dal pensiero; dove secondo i realisti da esistenza non si può conoscere se non con la percezione, e il pensiero non ha altro còmpito che di lavorare il contenuto dato da quella, purificandolo dalle false apparenze, e tirando di quivi il generale in forma di concetti e di leggi.

'Gl'istrumenti della conoscenza sono dunque la perbe'zione e il pensiero; e l'Autore, prima di darci il prin

cipio della conoscenza secondo il realismo, analizza questi due istrumenti.

La percezione si ha da' sensi, e si ha pure dalla coscienza, il senso intimo, o come dice l'Autore, la percezione interna.

Gli organi della prima (percezione) sono i sensi. La seconda non ha organi. Essa ha per base i diversi stati della propria anima, come sono il desiderio, o il sentimento del piacere e del dolore. Questa si potrebbe chiamare appercezione (Selbstwarnehmung).

Ma perchè non hai notizia così che della propria anima, manca la conoscenza degli stati dell' anima negli altri uomini. Puoi giudicarlo dalla fisonomia, dal gesto, dalle attitudini, per via di ragionamenti, perciò col pensiero; ma non potrai vederci più in là di quello che ti dà l'esperienza propria. Perciò il conosci te stesso è la base anche per tutti questi stati spirituali.

L'esperienza ti dà l'oggetto come estrinseco a te, un di fuori, e te lo dà immediatamente e subitaneamente, senza uso di categorie, come il principio di causalità, e senza processi, senza azioni e reazioni. E te lo dà necessariamente; anche il più fanatico idealista è sottoposto a questa necessità, e dee porre l'oggetto fuori di sè, come esistente.

Senza la percezione mancherebbe al pensiero il concetto dell' essere. L'esistente ha un contenuto e una forma. Come contenuto, passa nell'anima col mezzo della percezione nella forma del sapere, di un conosciuto. Ma non ci passa ugualmente come forma, come essere solo; la resistenza che questa forma offre per la sua durezza e il suo limite, rivela la sua presenza, sicchè l'essere nella sua natura positiva si sottrae alla conoscenza, e il suo concetto è per noi solo negativo, è l'inconoscibile nelle cose. Quando Schelling ed Hegel dissero essere e sapere sono il medesimo, e insieme sono differenti, dissero il

vero; perchè sono identici per rispetto al contenuto, e sono eternamente differenti per rispetto alla forma.

Come avviene che il contenuto dell'essere passi nell'animo per via della percezione, è un problema di filosofia e di fisiologia rimasto oggi, malgrado tanti progressi, cosi insoluto come al tempo de' Greci. La scienza non ha fatto altro, che trasformare l'essere nel sapere (idealismo) o il sapere nell' essere (materialismo). Il materialismo dimentica che tutte le osservazioni sono riuscite a stabilire la reciproca azione del cervello e degli stati dell' anima, ma non la loro identità. Non ci è istrumento così perfetto che possa fissare gli ultimi limiti del corporeo e le molecole del cervello e le loro vibrazioni: il legame tra la fine del corporeo e il principio dello spirituale rimane ignoto. Movimenti di molecole corporee sono e saranno sempre un corporeo, un diverso dal conoscere. E sono anche un semplice gioco tutt' i sistemi del monismo, così quello del Plotino, come quelli di Spinoza, Ficht, Schelling, ed Hegel. Questa unità, che si distingue poi subito di nuovo in essere e sapere, è parola vuota, da cui si può cavare tutto ciò che piace secondo l'abilità del prestigiatore, ma che non dice niente di concepibile.

Ma ci è un secondo istrumento della conoscenza, ed è il pensiero, la cui attività bene osservata ci mostra parecchi indirizzi: ripete come nella memoria; unisce o divide, come nella sintesi e nell'analisi paragona, confronta, rapporta, esprime le diverse specie di conoscenza, l'attenzione, la certezza, la necessità. Queste sono le sue attività o forze.

Ricordando, non gli è più bisogno l'oggetto: gli basta rappresentarselo. Dividendo l'oggetto in parti, proproprietà, elementi e concetti, facilita il linguaggio e la conoscenza, e da'concetti sale alle leggi delle cose che è lo scopo della scienza. Congiungendo oggetti e parti

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