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dell'eredità. Al contrario la repubblica per moltissimi era . l'avènement del quarto Stato: ciò che non gli potè mai entrare in capo, borghese sino al midollo. Si svegliò in lui il senso feroce del conservatore, e resistette. Non voleva il suffragio universale, non voleva Camera unica; non voleva socialismo e non voleva imperialismo. Molto dovè ridere di quei repubblicani, brava gente, ma inetta. E quando disse loro: l' Empire est fait; presentiva che quest'ultima sua resistenza sarebbe stata anche vana.

Con la sua nota flessibilità accettò l'impero, come aveva accettata la repubblica. Gli pareva innanzi a fatti compiuti senza di lui e a malgrado di lui debito di buon cit tadino mescolarvisi e tirarli a pro del paese. All' uomo politico successe lo scrittore, e decorò di un monumento imperituro quell'Impero che non poteva approvare. Fu lui che sospinse l'impero nelle vie parlamentari con quel suo noto teorema delle libertà indispensabili. La nuova generazione era sorta con Gambetta in testa; le esequie di Victor Noir erano una funebre rivelazione di non so che torbido nell'aria; Rochefort rumoreggiava. E l'impero perdette la testa e fece la guerra, invano resistente Thiers.

Era mancata finora una grande occasione, proporzionata al suo ingegno e al suo patriottismo. La caduta dell'impero, l'invasione e la vittoria tedesca e l'insurrezione comunarda costituivano una situazione disperata di cose, che in mano a lui si trasformò in una restaurazione nazionale così pronta e così piena che fu la meraviglia del mondo.

La vittoria sui comunardi rese possibile la repubblica conservatrice. La sventura è maestra di saggezza. E la nuova generazione tutta repubblicana, della quale Thiers fu l'educatore politico, fra tanti mali acquistò serietà di propositi; e comprese quel motto del gran vecchio: Ou la république sera conservatrice, ou elle ne sera pas. Anche Gambetta fu savio. Tutti compresero che la vic

toire appartient au plus sage. Cessò l'Arcadia del 1848, gli alberi, le proclamazioni, le cautele scritte, le responsabilità in carta e il potere in fatto. E avvenne questo miracolo che i conservatori anti-repubblicani costituirono la repubblica, e che cadde Thiers e non cadde con lui la repubblica. Gli è che i retori lavoravano sulle frasi, e Thiers sulla forza delle cose, che tirasi appresso volenti e nolenti gli uomini. Questo acuto sguardo nello stato di fatto, e nella forza delle cose, aggiunto il calcolo esatto delle forze e dei mezzi, era il buon senso o la saggezza di Thiers, che lo rendeva unico in un paese, che metteva tanta passione in tanta astrazione. Poi, quel suo saper fare, quella sua apparenza di amabile superficialità nella sua saviezza, quella sua bonomia piena di spirito rendeva la sua superiorità accessibile e popolare.

Auguro saggezza alla Francia; e anche al mio paese. La saggezza è meno romorosa del genio, ma è più salutare alle nazioni.

NINO BIXIO

E anche io voglio pensare di te, Nino Bixio, e ricordarti alla mia mente. Sono memorie che fanno bene, e ci svelgono alle nostre piccolezze e alle nostre miserie.

Era un ignoto a una gran parte degl' italiani. Brillò improvviso come una stella accanto a Garibaldi. Nessuno gli domandò; chi sei? onde vieni? Cominciava la vita nuova e la vita pigliava data da quel tempo. Dopo Garibaldi, colui che pigliava posto nella immaginazione popolare, era Bixio. Appartenevano a quella tempra di uomini straordinaria e veramente epica, che suscita il maraviglioso e crea la leggenda.

Garibaldi era la calma nella forza, la buona fede nelle idee, una sublime semplicità di spirito, che non gli lasciava vedere tutto ciò che di basso o di piccolo poteva essere attorno a lui. Dominava colla dolcezza dello sguardo, con la sicurezza della voce. Aveva tutte le qualità, che in altro tempo creavano i semidei e i santi. La sua rettitudine, la sua serenità, il suo amore dell'umanità, la sua semplicità e mansuetudine ricordavano alle genti l'immagine del Cristo.

La sua grandezza doveva oscurare tutto intorno a se. Pure non si può nominare Garibaldi, che non si ricordi Bixio. Era, sotto certi rispetti, un'antitesi.

Bixio era la forza nervosa, sdegnosa, impaziente d'indugi e di resistenze. Non sapeva concepire il pensiero o il volere in astratto. Volere era per lui fare, e ci andava diritto e rapido, e guai a chi si trovava tra via

Non girava le difficoltà, le troncava; non ammetteva esitazioni e non osservazioni; non voleva persuadere e non discutere; comandava, e talora in quel suo stretto genovese, e voleva esser capito subito e ubbidito. Questo che spesso è dispotismo o capriccio o arbitrio ne' cervelli angusti e assoluti, era purificato in lui dal fine buono e dal suo gran cuore di patriotta: aveva l'impazienza di chi è nato all'azione, e lo sdegno di chi molto ama. Quando si pronunziava Garibaldi, le facce s'irradiavano come innanzi a una luce superiore; quando si pronunziava Bixio, testa e occhio si abbassavano come innanzi a una forza irrefrenabile e irresistibile. La folla amava Garibaldi, e gli si avvicinava; ammirava Bixio in lontananza.

Quest'uomo che su' campi di battaglia pareva una tigre, pericolosa anche a' vicini, nella Camera divenne apostolo di pacificazione: tanta mansuetudine era sotto a quelli sdegni. Non capiva le passioni de' partiti, non capiva soprattutto perchè Cavour e Garibaldi confusi in una stessa ammirazione popolare dovessero esser divisi. I suoi discorsi erano capilavori di bonarietà, di naturalezza e di efficacia. Parlava, come operava, diritto e rapido. Non usava argomentazioni e non commozioni di affetti. Gli pareva che le sue idee dovessero fare sugli altri quello stesso effetto che sopra di lui e gli bastava enunciarle. Questa sua persuasione era tanta che la resistenza lo rendeva attonito, e quando la Destra si attentava a interromperlo co' suoi oh! oh! balenava nell'occhio lo sguardo della battaglia e faceva moti convulsi come per tenersi.

Cessate le grandi lotte, prese a poco a poco l'aria borghese della Camera, e non trovò più posto per sè, non più parola. Tutte quelle combinazioni e cospirazioni di dietro scena, quelle manovre, quel linguaggio a secondo fine, quelle maldicenze all'orecchio, gli parevano piccolezze di comari, o come diceva il bravo Ricasoli, pettegolezzi di cantanti. Errò fra Sinistra e Destra e non

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