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DIOMEDE MARVASI 1.

Qui pietosa cura di moglie e di amici ha raccolto quanto rimane di Diomede Marvasi, memoria più durevole della tomba ove è conservato il suo corpo. Qui è conservato di lui quello che non può morire, la sua anima.

La prima volta io lo vidi nella mia scuola, e non lo dimenticai più. Fu tra i pochi immortali nella mia memoria. Lo vidi accanto a De Meis, a Lavista, a Vertunni, a De Luca, a Villari, a Minichini. Lo chiamavano Diomede, ed era gioja, brio, luce, il più simpatico a Lavista, il più caro a De Meis, quegli che Vertunni amava più. E il povero maestro quando non lo vedeva domandava subito: e Diomede?

Era un bel giovane, dai capelli ricciuti, dagli occhi incisivi, dai tratti mobilissimi. La sua vita di rado rimaneva al di dentro pensosa, e traboccava al di fuori, e si spandeva allegra, e si attirava e si assimilava tutto, contraffacendo e caricando. La sua fisonomia rifletteva tutte le impressioni, e accentuava le più vivaci, secondata dai gesti, da' lineamenti, dal moto delle labbra e degli occhi, ch'era una grazia. A quel tempo era in moda Leopardi, e un velo di malinconia e di tenerezza oscurava la fronte dei giovani sì che ne' lavori anche ottimi della scuola sentivi non so che sentimentale e artificiato. Veniva su una specie di forma convenzionale, con impressioni a freddo, vergini infelici, cristiani morenti, racconti sepolcrali, elogi funebri. La morte di mia madre,'

'Parole premesse agli Scritti di Diomede Marvasi.

la morte di alcuni carissimi giovinetti dava a questa forma naturale nutrimento. Ma Diomede non se ne contentava, e così per cortesia si univa agli applausi, con un'alzatina di spalla. La sua impressione pronta e sincera gli chiariva subito l' esagerazione, e in tanti languori teneri, se guardavi a lui, coglievi nella sua fisonomia equivoca e forzata un'aria d'impersuaso più disposto a riderne che ad intenerirsene. Parea volesse dire: sarà ottimo, ma c'intendo poco. Talora ricapitolando le impressioni dei giovani e improvvisando io un giudizio, che non mi finiva, guardavo a lui, che mi faceva un'alzata d'occhio, e dicevo fra me: ha ragione. La sua percezione era così sicura, che nè regole, nè usi, nè opinioni ci potevano, e rimaneva sempre a galla sulla sua fisonomia.

La sua voce dissipava dalle fronti quella nube, e tirava tutti nel vivo e nel vero. Non che egli pretendesse di gareggiare co' compagni in quel genere di argomenti, anzi se ne scusava, ci capiva poco. Andava là dove lo tirava natura, faceva racconti a effetto irresistibile, dove contraffaceva e caricava, il riso era sulla faccia prima che spuntasse, pareva una festa. Facevano un gran bene questi lavori, ne' quali aveva compagni Vertunni e Siniscalchi, lasciando nella scuola una impressione sana e vera.

Il suo dire fin da quel tempo aveva tutte le qualità che lo resero poi potentissimo nel Foro. Se non sempre corretto, era sempre caldo e rapido e colorito, espressione immediata di quel di dentro. La vita espansiva e impetuosa non gli permetteva indugiarsi nella frase e nella maniera, e si rivelava rapidamente di cosa in cosa, piena e sintetica, più come azione che come parola. In tanta leggerezza di argomenti metteva tutta l'attività e tutta la serietà del suo spirito. Lo festeggiavano, lo applaudivano, lo predicavano insuperabile in quelle sue caricature. Ridevano a tenersi i fianchi. E non vedevano quante serie qualità concorrevano a produrre quel riso, e come

sotto a quella apparenza leggiera c'era già la stoffa dell'oratore e dell'uomo d'azione.

A me piace intrattenermi con questo mio Diomede, cosi come mi è pinto nella memoria. Oramai sono in un tempo della vita, che le cose mi errano intorno come fantasmi, e i più belli e i più cari sono i fantasmi della mia giovinezza così vivi e tenaci, e non so staccarmi da loro.

Quell'uomo allegro, vano de' suoi capelli, come una fanciulla, tutto gesto e movimento, che ti dominava co'raggi dell'occhio, così infiammabile e cosi placabile, era il confidente universale. Non so come, ma sapeva tutte le intimità, tutti i segreti, partecipe de' piaceri e degli affanni altrui, come fossero suoi, era a ciascuno il suo altro. Natura schietta e calda ispirava la fiducia, e guadagnava l'amicizia.

Scarso era in lui quel potente laboratorio che si chiama l'immaginazione, e scarsa quella vita intensa dell' anima con sè stessa che si chiama la meditazione.

Le anime poetiche e speculative si appassionano non delle cose, ma delle loro ombre e idee, e godono del fantasma, e, pur che quello duri, altro non chiedono. Nella sua povera cameretta il poeta è più felice immaginando palagi incantati, che i re nelle reggie. I suoi ideali sono l'ultimo termine della sua felicità, e vi si appaga, pur come fossero cose, e pensando, contemplando, vi consuma intorno il cuore e il cervello. A Diomede soprabbondava il pensiero e l'affetto, ma ebbe sempre poca dimestichezza con le ombre e le astrazioni, e in una scuola di alte speculazioni, assentiva talora, non era persuaso. Fidava più nel suo buon senso e nella sua intuizione veramente meravigliosa. Voleva vederci chiaro, diceva talvolta. Hegel soprattutto non gli entrò mai nel capo.

Il suo pensiero aveva più spirito che profondità, e non cercava la generalità, anzi in quelle altissime regioni sentiva freddo, e calava subito al particolare, e se lo ap

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propriava e lo possedeva tutto. Riceveva le impressioni profondamente, e le rendeva non come immagini e idee, ma come oggetti vivi. L'ho udito talora a dire con un certo sentimento di orgoglio che egli animava gli oggetti, fossero pure aride cifre. E voleva dire ch'egli ci si metteva al di sopra, e gl'intendeva, e dava a quelli un senso. Ciò ch'era pure una generalità, ma immediata, derivata dagli stessi oggetti, e viva in loro, sicchè era una con quelli, e, com'egli diceva, l'anima di quelli. Questa elaborazione degli oggetti che gli veniva non da preconcetti o da principii remoti, ma dalla sua naturale e immediata apprensione era la sua originalità, o come si dice, il suo ingegno. Ond'è che tutto gli veniva fuori preciso, in forma chiara e semplice, subitanea com'è lo spirito, e calda com'è l'eloquenza, sempre spontanea. Non m'è accaduto mai di notare ne'suoi scritti ombra di sottigliezza o di nebulosità o di stagnazione, perchè non si raffreddava mai, non vagava nel vuoto, là dentro ci stava sempre lui, e sempre caldo e potente. Era uno scrivere animato, per usare il vocabolo suo favorito, simile al suo volto tutto sangue e tutto moto, dove stava sempre affacciata la sua rigogliosa vita interiore.

Il calore gli veniva pure dalla forza straordinaria del suo affetto, alla quale non era mestieri malia di immaginazione, e correva diritta alle cose, e in quelle cercava il suo appagamento. Il cuore indugiava così poco ne'lenocinii della passione, come il pensiero indugiava poco nelle frasi e nelle eleganze. Perciò il suo affetto non distratto e non ritardato era più profondo e più potente, e non si appagava che nell'azione. Amava seriamente e semplicemente, come l'amore fosse una religione o una vocazione. Perciò ebbe fin da quel tempo amici che gli rimasero legati per la vita, e non so di nessuno ch'egli abbia dimenticato. Le amicizie profonde e singolari prodotte non da conformità intellettuale ma da vicinanza di cuo

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