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GUGLIELMO PEPE

Sono già sessant' anni di sanguinose agitazioni, per le quali l'Europa s'incammina a libertà. Su questa scena mobile quanti attori spariti! E non parlo già dei morti, colpa della fortuna. Quanti attori spariti che vivono ancora! Quanti che cominciarono nella sala patriottica e terminarono nella reggia dei Borboni! Nè vogliamo accusare noi più che gli altri. La vita politica logora e consuma; non v'è tempera si forte che resista; al primo calore febbrile succedono i disinganni, e i bisogni, e le cure private, e le reciproche accuse, e spesso le transazioni, e spesso le diserzioni. Assai è che pochi rimangano, non dico attori, ma spettatori benevoli di una seconda rivoluzione. Chi voglia fare la storia di questi sessant'anni, e cerchi un protagonista, un uomo in cui si rifletta e s' individui, non lo troverà: gli attori sembrano vane ombre, che mentre tu le stringi ti sfuggono dalle braccia; brillano un istante sulla scena, poi scompariscono. Ora udite.

Nel 1799 era in Napoli una sala detta patriottica, dove ogni di si accorreva a far fede di libertà. Vi era un libro pubblico, dove ciascuno a gara apponeva il suo nome quelle sottoscrizioni doveano più tardi divenire liste di proscrizione. E quando le cose volsero in rovina, quando moltitudini inferocite, guidate da un cardinale, che con la stessa mano benediceva e assassinava, movevano già sopra Napoli vittoriose, quella sala fu in breve

deserta. I più timidi supplicavano che il pericoloso libro si nascondesse; quando fu veduto un giovane di sedici anni avanzarsi e scrivervi il suo nome, Guglielmo Pepe, ultimo della lista. Quello scrivere fu un sacro giuramento, un pubblico votarsi alla libertà o alla morte. Da quel tempo la scena si è spesso mutata; nel rapido avvicendarsi di uomini e di cose trovi appena l' uomo di questo o quell' atto; il Pepe è l' uomo di tutto il dramma. Quel cuore di sedici anni voi lo trovate infino all' ultimo giorno sempre quello; la stessa eroica spensieratezza, lo stesso obblio ne' pericoli, a settantadue anni quella fede e quelle illusioni.

La rivoluzione lo colse in quell' età, in cui l'anima quasi ancora fanciulla esce appena dai puerili trastulli. I primi balocchi di questo sublime fanciullo furono cannoni e bombe; le sue prime sensazioni ferite e percosse; i suoi primi amori furono libertà ed Italia. Si è da molti lodata la carica della cavalleria inglese a Balaclava, e si è detto solo le truppe regolari sono capaci di questo sublime sacrifizio di sè alla disciplina. Ah! non siate ingiusti coi popoli! Non li vantate tanto un giorno, e non li calpestate tanto un altro! Sulla strada di Portici e Torre Annunziata stavano alcune migliaja di repubblicani, a cui era pervenuto ordine da Napoli di recarsi in ajuto della pericolante città. La strada era ingombra da quarantamila tra Sanfedisti, Russi e Turchi, tutti rivolti contro quel piccolo drappello. Ma che importa? ubbidirono, volendo dare di sè esempio memorabile agli uomini liberi. Stavano innanzi sessanta uomini tutti uffiziali fatti soldati con l'archibugio in ispalla, e tra essi il nostro giovane di sedici anni. Fu un' immensa strage; morirono vendicati. Il giovinetto ferito di bajonetta e poi di sciabola, riversato, calpesto, percosso e spogliato, fu in camicia menato in carcere. Queste furono le prime lezioni di Guglielmo Pepe, più utili assai

che non te le dànno le scuole. La sua istruzione fu compiuta nel carcere. Stavano quivi stivati settecento repubblicani. In quella immane catastrofe molti avevano smarrito il senno. Berio si aggirava gridando e respingendo con le mani i suoi compagni: credeva di trovarsi ancora in mezzo alle strade combattendo. Marino Guarano era quasi impazzato. Fra tanti dissennati, fra tante disperazioni, i soli giovani serbavano un' allegra spensieratezza. Chiamavansi cittadini. Discutevano di libertà. I poeti improvvisavano; altri, imitando i pubblici oratori, recitavano discorsi. Filippo Guidi insegnava matematica; Vincenzo Russo, il Catone di Napoli, e facondissimo dicitore, perorava in mezzo a' giovani, e presso a morte lasciava loro in legato i suoi ammaestramenti. Vi è un legame segreto che unisce l'uomo d'ingegno a' giovani: egli si sente fruttificare in loro, e li ama e ne è amato. Pepe gli si affezionò; si strinsero in amicizia; lo chiamava il mio Russo; pendeva dal suo labbro; e la libertà, che era stata infino allora per lui un entusiasmo da scuola, comentata dal Russo, divenne, com' egli dicea, la sua amica, la sua amante. Quante volte, credendo già di abbracciarla, gli è fuggita di mano, ma sorridendogli, invitandolo, appressandosegli, e poi fuggendo di nuovo! Pochi anni di poi veniva gettato nelle fosse del Marittimo, isola di Sicilia. Immaginate una cisterna incavata nel vivo sasso, che riceva un po' di luce dalla sua bocca, ed insieme con la luce, pioggia e vento, larga appena sei piedi, con un materasso su cui giacciono cinque infelici, rubandosi a vicenda quel poco d' aria che nell'angusto spazio stagna: quivi fu seppellito vivo l'ardente giovane. Questi luoghi si chiamano in Napoli criminali ce ne ha di varie specie: ciascuno ha la sua storia. Ciascuno, testimonio di dolori ignorati, tiene sulle sue mura qualche segno o ricordo d' illustri vittime, e quei segni riuniti sono sessant' anni di martirii, ses

sant' anni di storia, da Russo e Mario Pagano fino a Settembrini e Poerio, di una storia che oggi ancora si continua, solitaria, in mezzo alla crudele distrazione degli uomini. Là Pepe compì gli studii interrotti dalle battaglie: ritemprò il suo animo; si apparecchiò seriamente a servire il suo paese.

La sua vita è stata una lunga conseguenza di questa educazione. Maestro di sè stesso, vivuto nei campi, nell'esilio, nelle carceri, nuovo degli ozii e delle ipocrisie sociali, tu lo vedi rivelarsi candidamente qual egli è, con una schiettezza, che il fratello Florestano chiamava imprudenza. In corte lo soprannominavano il selvaggio; in campo il tribuno. Il povero Pepe era un tribuno, perchè solo osava dire a Gioacchino quello che tutti pensavano e gli nascondevano: una volta si attentò di dire al re che, se voleva salvo il paese e la sua dinastia, desse una costituzione al popolo; e il duca di Campochiaro tirarlo per l'abito perchè tacesse, infino a che, perdendo pazienza, e che? disse con impeto il Pepe; ma tu pensi pure allo stesso modo, e Carrascosa e D'Ambrosio e Filangieri e tutti quanti e volgea l'occhio in giro tutti impallidirono, il re sorrise. Uso all'opera più che alla meditazione, egli vedea presto e netto, e come rapidamente concepiva, così eseguiva. Mai non esitava: tra il pensiero e l'azione non poneva alcun intervallo. L' esitazione è propria di coloro, che in ciascuna quistione vogliono salvar tutto, e pensano a molte cose, alla loro ambizione, ai pericoli, agl' interessi, alla opinione del mondo. Le quistioni per il Pepe erano molto semplici nessun secondo pensiero gli velava la mente. Procacciare al paese quella libertà che si potea, e soprattutto affrancarlo dallo straniero, qui convergeano tutti i suoi disegni. Amava Gioacchino: è forse il solo re che egli abbia amato. Lo affascinavano il suo nobile portamento, la sua bontà, la sua bravura. Voleva far

ne un re liberale ed italiano; ma Gioacchino era debole, ondeggiava tra la moglie, i cortigiani ed il Pepe, e non si risolvea. Pepe allora non esitò più; e cospirò tre volte contro il suo amico, e tre volte i suoi compagni d'arme guastarono il tutto colla loro irresoluzione. Questa stessa irresoluzione perdette Gioacchino, che volle, quando non era più tempo, e non fu nè Italiano nè Francese. Sotto Ferdinando il Pepe proseguì lo stesso disegno, e già illustre per molti fatti di guerra nell'ultima campagna, usò la sua fama ad ordinare la milizia, a ristaurare la disciplina, ad esercitare i borghesi nelle armi, a suscitare nuove speranze di libertà. Le vostre milizie borghesi desiderano la costituzione, gli disse un giorno l'astuto Medici con uno sguardo indagatore. Certamente, rispose il Pepe sbalordendolo colla sua franchezza, e sarebbe savio che il re la concedesse. E quando, dopo cinque anni di lavoro, un' accozzaglia confusa di gente si raccolse in Monteforte impaziente di nuovi ordini, e gli uomini più notevoli stavansi trepidi e sospesi; il Pepe non esitò, e con poca cavalleria parti di Napoli e proclamò la costituzione. La stessa risolutezza, la stessa ubbidienza alla voce del suo cuore e del suo dovere, senza riguardo di sorta in tutte le sue azioni. Nessuna transazione. Gioacchino gli conferisce una baronia. La ricusa. Ferdinando gli dà il comando generale delle armi. Lo rifiuta. Si combatte in Ispagna ed in Portogallo? Pepe va in Ispagna ed in Portagallo. La Grecia insorge? Pepe offre i suoi servigi alla Grecia. Parigi si vendica in libertà? Pepe è a Parigi patrocinatore della rivoluzione italiana. Già grave d'anni, questa lucidezza di mente, questa prontezza di volontà non lo abbandona ancora. Nel 48 è proposto a Ministro? egli parte per i campi Lombardi. Vengono richiamate le sue genti dallo spergiuro re? La Halle esita e si uccide; Pepe si risolve e si chiude in Venezia. Thibaudeau, suo amicissimo, è fatto senatore? Gli

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