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le ire e le ingiustizie partigiane sono in lui temperate da un sentimento più nobile, dall'amor della patria.

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Allato a questa vita così piena di realtà, in mezzo a cui Dante si moveva e a cui partecipava con quella varietà ed energia di sentimenti, che sono il privilegio delle forti nature, ce n'era un'altra, la vita delle scuole e dei libri. Là si apprendeva un'imagine non pur diversa, anzi contraria del mondo e dell'uomo. Il grand'uomo, l'eroe. non era Farinata, ma San Francesco d' Assisi; la grandezza era posta nella povertà, nell' astinenza, nell' ubbidienza, nell'umiltà; la vera azione era la preghiera e la contemplazione; la perfetta vita era estasi, aspirazione a sciogliersi dall' umano e attingere il divino. Lo stato umano o carnale dell'uomo, la sua purificazione e la sua glorificazione, questa commedia spirituale dell'anima 1è esso appunto il concetto dal quale è informata la Divina Commedia, e che giace in fondo a tutte le opere didattiche e poetiche di quel tempo. Dante, come tutti sanno, è l'Anima rappresentata in questi tre gradi della sua Storia, e Beatrice è la Grazia o la Fede, che la conduce a salute. Questo concetto nella sua prima semplicità era non un'opinione astratta o teologica, ma vita e azione: allora c'era la fede, e c'erano i miracoli e c'erano i santi. Al tempo di Dante già non era più un semplice dato della fede, ma un dimostrato, un concetto teologico-filosofico, mescolato di elementi platonici e alessandrini, di tradizioni pagane, di sottigliezze scolastiche. Indi è che Dante, come Beatrice, è un personaggio non operante, ma contemplante, è un essere allegorico, l'uomo o l'anima nella storia della sua redenzione, è un'idea, non è

1 Titolo di una rappresentazione allegorica del medio-evo, che è una storia dell' anima, concepita secondo queste idee. Lo scopo è mostrare come, sopraggiunta alla natura la grazia, alla ragione la fede, venga l'uomo nell'interezza e perfezione dell'esser suo: che è il concetto della Divina Commedia.

un carattere. Ma in seno a questo Dante ascetico e teologo, venuto dalla scuola e da' libri, è rimasto vivo l'altro Dante, quale la storia ce lo dipinge e quale l'abbiamo veduto dianzi, il partigiano, il patriota, l'esule, lo sdegnoso e vendicativo Dante, tutto umano e carnale, in flagrante contraddizione con quello. Onde nasce l'originalità della Commedia, dove ciò che vi è di più mistico ed ascetico si congiunge con ciò che vi è di più terreno e umano, rappresentazione della vita di quel tempo in tutte le sue gradazioni e contraddizioni, dal più intellettuale sino al più grossolano, da' più alti agl'infimi strati sociali, dalle astruserie della scuola alle lotte della vita pubblica ed a'misteri della vita privata. Certo, questo mondo in tanta varietà di elementi posti l'uno fuori dell'altro non è ben fuso e concorde, e vi permane un fondo astratto e pedantesco che resiste a tutti gli sforzi della fantasia. Sono in presenza due mondi irreconciliabili, un mondo teocratico-feudale, che ha per dogma l'annullamento della personalità, ed il mondo del comune libero, dove la personalità è tutto. Lì hai un mondo lirico-didattico, dove l'uomo è il santo che prega e contempla; qui hai un mondo epico-drammatico, dove l'uomo è l'eroe che opera e lotta; nell'uno l'uomo è ancora involto nell'oscura notte del mito, e ci sta come genere, anzi che come individuo perfetto; nell'altro l'uomo apparisce nel pieno possesso e nella piena coscienza di sè stesso; l'uno è il riflesso filosofico-artistico del passato; l'altro è il preludio della vita e dell'arte moderna.

E quale preludio! A questo mondo della libertà e della coscienza, ritratto dal vivo, da quel fondo vivace di realtà in mezzo a cui Dante era non solo spettatore, ma attore principale e appassionato, appartengono le più originali e profonde concezioni della poesia italiana; qui, in questo mondo, allato a Ugolino, a Pier delle Vigne, a Brunetto Latini, a Capaneo, a Nicolò III, a Guido da Montefeltro;

qui, in mezzo a questo corteggio di grandi figure, si drizza l'imagine di Farinata.

Come dal seno della mistica Beatrice è spuntata nella pienezza della vita reale la donna, Francesca da Rimini, cosi da entro a questo allegorico Dante, a questo protagonista della Commedia spirituale nel viaggio teologico da carne a spirito, a questo essere simbolico, umanità o anima, non ancora l'uomo, piuttosto genere che individuo, piuttosto idea che carattere, esce in luce, puro da ogni elemento mistico e dottrinale, l'uomo libero, cosciente, volente e possente, la compiuta e reale persona poetica, Farinata.

In Dante ci era molto del Farinata: indi la sua grande ammirazione per questo illustre cittadino. Due cose Dante dispregiava sovranamente: ciò che è fiacco e ciò che è plebeo, papa Celestino e maestro Adamo. Il suo ideale, il suo esser vivo, il suo esser uomo, il virile, l'eroico, è la Forza, non certo la forza materiale, ma la forza dell'animo, ciò che egli chiama magnanimità, grandezza d'animo, una forza invitta, che tiene alta la nostra personalità sulla natura e sullo stesso inferno e su tutti gli ostacoli e le vicissitudini. Questo concetto del virile è la Musa del sublime dantesco, nel suo lato negativo e positivo, come nei seguenti motti: Guarda e passa. — Sciaurati che mai non fur vivi. — Voler ciò udire è bassa voglia. E per dolor non par lacrime spanda. L'esilio che m'è dato, onor mi tegno. Alma sdegnosa, Benedetta colei che in te s'incinse. E cortesia fu lui esser villano. Questo concetto lampeggia pure in quella meravigliosa rappresentazione del viaggio di Ulisse, presentimento di Colombo, là dov'egli dice ai suoi:

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Considerate la vostra semenza :

Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza.

E dove dice di Bruto:

Vedi come si storce e non fa motto.

E a questo concetto appartengono tre alte creazioni della Commedia, la Fortuna, il Capaneo e il Farinata. Nella Fortuna la Forza non è ancora Libertà, non è ancora uomo, ma è Natura o Necessità, vuota di passione e di lotta, perciò tra le imprecazioni degli uomini immutabilmente beata e serena:

Ma ella s'è beata e ciò non ode:
Con le altre prime creature lieta
Volve sua sfera e beata si gode.

Nel Capaneo il concetto è colto al rovescio e in antitesi a papa Celestino. In questo papa e ne' suoi simili ci è l'assenza della forza, il non esser vivo; nel Capaneo ci è la millanteria della forza, la vanagloria dell' esser vivo: Qual io fui vivo, tal son morto. In questa profonda concezione di Dante la forza ci sta non per raggiungere alcuno degli alti ideali, a cui è fatta la nostra semenza, ma ci sta per sè stessa. Se mi è lecito di parlare un po'alla tedesca, è una forza subbiettiva, vuota di contenuto, senza scopo e senza motivo, perciò arbitraria, la forza per la forza. Gli antichi rappresentarono questo concetto nella favola de' Giganti che volevano scalare il cielo, e Giove che li fulmina è appunto la forza delle cose che si vendica e li gitta giù. Prometeo tace ed è tranquillo nel suo martirio, perchè Prometeo è già l'uomo, forza conscia e libera, che ha le sue idee e i suoi fini, e anche vinto si sente maggiore della natura o di Giove. Capaneo non è ancora l'uomo, ma è il nato de'giganti, la forza ancora bruta e naturale, di un'apparenza colossale al di fuori, ma vuota e fiacca dentro. In effetti, se guardiamo il di fuori, l' imagine della forza prende le più

grandi proporzioni. Capaneo, ucciso dal fulmine di Giove, non si confessa vinto, anzi dice con jattanza:-Qual io fui vivo, tal son morto. - Nè bastandogli, si studia mettere in maggior risalto la sua forza:

Se Giove stanchi il suo fabbro, da cui
Crucciato prese la folgore acuta,
Onde l'ultimo di percosso fui;

E s'egli stanchi gli altri, a muta a muta,
In Mongibello alla fucina negra
Gridando: buon Vulcano, ajuta, ajuta,
Si com'ei fece alla pugna di Flegra,
E me saetti, di tutta sua forza,

Non ne potrebbe aver vendetta allegra.

Capaneo concepisce Giove a sua similitudine: si finge un Giove plebeo e grossolano, pura forza materiale, e senz'avvedersene fa il ritratto e la condanna di sè stesso. Codesto Giove è crucciato che Capaneo osi vantarsi uguale o superiore a lui; e per farne vendetta lo percote con la folgore acuta. Ma non perciò Giove ha potuto piegare l'orgoglio di Capaneo, rimasto morto qual era vivo, nè il potrà mai, che che faccia: e qui è l'impotenza di Giove, il suo cruccio perpetuo, la sua vendetta non allegra. Capaneo dal fondo dell'inferno lo sfida e lo ingiuria, come facea vivo, e per meglio certificare l'impotenza del Dio nella sua lotta contro di lui, ti offre una successione di sforzi con un maraviglioso crescendo, fino a rappresentare il Dio nell'atto ridicolo di raccomandarsi al buon Vulcano, gridando: - Ajuto, ajuto! - ricordando con amaro frizzo la pugna di Flegra, quando fu assalito da'giganti. E a questo Dio, circondato di tutta la sua potenza e armato di tutte le sue armi, che cosa Capaneo contrappone? Un semplice me:

E me saetti di tutta sua forza.

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