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è l'uomo savio del Guicciardini. Non c'è spettacolo più miserevole di tanta impotenza e fiacchezza in tanta saviezza.

La razza italiana non è ancora sanata da questa fiacchezza morale, e non è ancora scomparso dalla sua fronte quel marchio che ci ha impresso la storia di doppiezza e di simulazione. L'uomo del Guicciardini vivit, imo in Senatum venit, e lo incontri ad ogni passo. E quest' uomo fatale c'impedisce la via, se non abbiamo la forza di ucciderlo nella nostra coscienza.

SETTEMBRINI E I SUOI CRITICI

<< Carissimo l'argomento, autorevole il nome dell' autore io mi misi a leggere queste Lezioni con desiderio ardente e con grande aspettazione. Ma questa bella disposizione non durò oltre le prime pagine; chè il libro a più a più mi dispiacque, sì che, come alcuni che visitano Roma, ci entrai ascetico, e ne uscii miscredente ».

Queste parole non son mie. Le ha scritte Bonaventura Zumbini, che così comincia un suo lavoro critico sulle Lezioni del Settembrini.

Pochi giorni innanzi mi era capitato uno scritto sullo stesso argomento del signor Francesco Montefredini, irto di osservazioni severe, e parte già pubblicato per istampa.

Io non aveva ancor letto il libro del Settembrini. Lo aveva sentito molto lodare, e mi ero promesso di usare i primi giorni di vacanza parlamentare per raccogliermi e studiarlo. Intanto pensavo:

Caspita! La nuova generazione entra in iscena senza molti complimenti. L'ipse dixit non ha senso per questi signori, e il principio di autorità avrà molto a fare per mantenersi salvo. Come vanno diritti a dar la botta! Che aria da giudici prendono! E con che sicurezza buttan fuori la loro opinione! Cautele oratorie, giri ipocriti di frasi che inzuccherino gli orli amari del vaso, convenienze

1 Lezioni di Letteratura, di Luigi Settembrini.

sociali, tutto quest' arsenale di simulazioni e dissimulazioni imposto dalla moda, o, come si dice, dalla buona educazione, è qui gittato via come roba inutile.

Trovo in questi scritti una perfetta indipendenza di giudizio, ma pure accompagnata con tutte le forme del rispetto. Lo Zumbini e il Montefredini mi hanno aria di un duellante, che accingendosi inesorabilmente a tirare un colpo di spada, faccia gl' inchini d'uso all'illustre e autorevole avversario. E poichè il Settembrini è uomo di spirito, cosa altro gli rimane che risponder: grazie?

Di questi modi franchi, austeri, e insieme civili e inappuntabili non saprei mover lamento; anzi, a dir proprio quello che penso, sarei tentato di rallegrarmene, se avessero a prevalere nella nuova generazione. La sincerità non è la qualità predominante della presente generazione, trovatasi in condizioni difficilissime, e costretta ad imparare la difficil arte del simulare e dissimulare. Settaria quando cospirava, ora che regna, non ha potuto in tutto smettere l'antico costume, nè la libertà ha potuto indurre negli scritti e nella parola l'onesta e leale franchezza. Finchè stai su' generali, ti si lascia dire; ma se scendi al particolare e tocchi la persona, ti viene il sudor freddo e ti arresti e non ti senti più libero. L'atmosfera in mezzo a cui vivi è tale, che, senza saper come o perchè, ti vedi tirato a usare le più ingegnose cautele, i più scaltri avvolgimenti ne' biasimi, arte recata a perfezione nel parlamento e nella stampa detta seria. Ci è una parola caratteristica, venuta oggi molto in voga, ed è insinuazione: cioè a dire un'accusa lanciata con tante scappatoje e sotto così mutevoli apparenze, che non vi è parola o frase dove tu possa coglierla, arrestarla e riconoscerla: senti la trafittura e non vedi la spada. Nè reca maraviglia che quelli i quali per manco di cultura o d'ingegno si sentono inetti a questi giochi di scherma, a queste finezze e ipocrisie che si chiamano abilità, cor

rano all'altro punto, e riescano cosi grossolani e plateali, come gli altri sono scaltri e falsi. Tutto questo non mi par bello: anzi mi sembrano qualità di popoli in decadenza; in Italia mi pajono avanzi per lunga consuetudine di costumi servili; e se la libertà dee fruttificare, desidero che gl'Italiani possano cancellare quell' opinione di falsità che di essi è sparsa nell' Europa civile, e acquistare i modi schietti e virili che son proprii delle nazioni forti e libere.

Sieno dunque i ben venuti i signori Montefredini e Zumbini; e vogliano essi perseverare in questa via, di dire e di operare con perfetta sincerità, accompagnata con quella urbanità di gentiluomo, che è la grazia e il condimento del vero. Per noi è troppo tardi: siamo quello che siamo. Spetta alla nuova generazione trarre buoni frutti dalla libertà che noi le abbiamo conquistata, la più preziosa eredità che si possa lasciare a' figliuoli.

E c'è un'altra cosa che in questi scritti mi ha fatto impressione: ed è lo stile. La nostra generazione, salvo pochissimi, è più o meno nello stile arcadica, rettorica, e talora nebbiosa, come gente vissuta fuori della pratica delle cose, e nutrita in mezzo alle astrazioni ed a vaghe aspirazioni. Nel fôro, ne' teatri, nel parlamento, ne' diarii, nelle poesie, nelle prose, fino nelle trattazioni scientifiche regna spesso la rettorica, una certa esagerazione de' sentimenti, un certo lirismo d'immagini, uno scaldarsi a freddo nelle cose più semplici, e certe consuetudini e maniere di espressione, che sono testimonianza flagrante della nostra poca sincerità nel pensiero e nella parola e soprattutto ne' lavori letterarii. Di questa lebbra nessun vestigio ne' due scritti che avevo innanzi: nel Montefredini la severità e sobrietà dello stile è tale che rasenta l'aritmetica, con quelle osservazioni addossate senza tregua le une sulle altre come fossero cifre; nello Zumbini lo stile è quieto, uguale, come acqua

che vada per la china senza intoppo e senza rumore, e niente vi trovi soperchio e artificiato. Dissi fra me: Il Settembrimi scrive così vivo e spigliato: in verità mi pare che il Settembrini sia il giovine, e i vecchi siano loro.

Ma è vecchiezza che mi piace, perchè nasce non dallo scarno e dall'arido d'immaginazioni povere, ma da un radicale mutamento nel punto di, vista. È la nuova generazione che piglia il suo posto con criterii proprii. Prendo ad esempio lo scritto del Zumbini, non essendo quello del Montefredini pubblicato tutto intero.

Bonaventura Zumbini io l'ho conosciuto giovanissimo in Cosenza, sua patria. Mostrava fin d'allora ingegno pronto e molta serietà di vita. Dopo il 1860 l'ho trovato negli ufficii dell'insegnamento pubblico, e me ne dispiacque. Il professore ufficiale, soprattutto nelle basse regioni, costretto ad insegnare parecchie ore il giorno, e a ripetere la stessa canzone, perde ogni freschezza di ingegno, non può continuare i suoi studii, e, se la pazienza gli dura, diviene a poco andare quell' eccellente macchina che si chiama l'impiegato. Peggio ancora se il professore è chiamato ad ufficii amministrativi: dove la scienza è messa in fuga dagl' infiniti pettegolezzi e contrasti in mezzo a cui si trova quel poveruomo che dicesi Preside o Direttore. Sembra che lo Zumbini siasi presto stancato di questa vita, e chiesta più volte la sua dimissione, ed avutala, si è oggi affatto ritirato dalle pubbliche faccende e vive solitario co' suoi cari libri. Frutto di questi ultimi studii è il suo Saggio sulle Lezioni del Settembrini e la Critica italiana.

Per far meglio comprendere qual sia il suo punto di vista, mi si permetta che entri con lui in dialogo :

-Ecco un nuovo saggio critico. Mi piace che questo titolo abbia fatto fortuna. Dopo i miei saggi critici ho veduto comparire saggi politici, filosofici, critici in gran

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