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L'UOMO DEL GUICCIARDINI

La pubblicazione delle Opere inedite del Guicciardini fu uno di quei fatti che avrebbe dovuto dare grande impulso a' nostri studii storici. Sono di tali scoperte che basterebbero da sè a creare un intero ciclo di critica storica tanta copia vi si trova di notizie, con quelle riflessioni e impressioni che le rendono vive e irraggiano di nuova luce tutto un secolo.

E si tratta di un secolo intorno al quale si è più scritto e meno compreso; di un secolo chiamato del risorgimento, e che fu pur quello della nostra decadenza. Il problema storico di quell' época non mi pare sia stato ancora posto e discusso e svolto con grande esattezza.

Il problema è questo. L'Italia a quel tempo era salita al più alto grado di potenza, di ricchezza e di gloria, e nelle arti e nelle lettere e nelle scienze toccava già quel segno a cui poche nazioni e privilegiate sogliono giungere, e da cui erano allora lontanissime le altre nazioni, ch' ella chiamava con romana superbia i barbari. Eppure, al primo urto di questi barbari, l' Italia, come per improvvisa rovina, crollò, e fu cancellata dal numero delle nazioni.

E i barbari gittarono di nuovo il grido selvaggio : Guai a' vinti! E non solo li calcarono, ma li dileggiarono, trattandoli come non fossero uomini e riempiendo

il mondo di querele e di rimproveri della perfidia e della viltà italiana.

E sin d'allora si restò intesi che i perfidi e i codardi fummo noi, che il torto fu tutto nostro, che fummo ripagati della nostra moneta, che ben ci stette, e che i barbari ci fecero un segnalato favore a metterci un po' di nuovo sangue nelle vene.

A questi giudizii degli storici oltramontani si aggiungono i lamenti de' nostri, i quali attribuiscono l' inaudita catastrofe alle nostre discordie, che ci tolsero ogni virtù di resistenza.

Il buon Sismondi, che parla con tanta simpatia delle cose nostre, trasformando il rimprovero in elogio, assicura che il sentimento nazionale mancò agl' Italiani perchè erano mossi da un sentimento più alto, si sentivano cosmopoliti e furono benefattori dell' umanità con l' olocausto di sè stessi.

Nè la catastrofe giunse improvvisa, anzi ce n'era un inquieto presentimento, e non mancarono le solite profezie. Tutti rammentano con che eloquenza il Savonarola annunziava dal pergamo la venuta de' Barbari, e quale impressione fece allora la profezia di un Francescano, che fra l'altro annunziava il sacco di Roma. Sinistri segni sono mentovati dagli storici. La folgore cade a Firenze sul tempio di Santa Reparata; in una notte oscura fuochi sanguigni illuminano la villa Careggi. Gli spettri degli antichi Re di Aragona annunziano al loro successore la caduta del regno di Napoli. Le statue sudano sangue; i popoli spaventati credono vedere nel cielo eserciti che combattono. Una segreta inquietudine incalzava i cittadini fra le delizie e le voluttà di una vita scioperata.

Ci era dunque la coscienza oscura di una dissoluzione sociale e di una catastrofe prossima. E più che i giudizii degli stranieri e de' posteri è utile investigare le impressioni e i giudizii dei contemporanei.

I frati e i preti, e anche parecchi storici, pongono la fonte del male nella rilassatezza de' sentimenti religiosi e de' costumi.

<< Non si crede più a Cristo, dice Benivieni. Anzi si crede che tutto procede dal caso, massime le cose umane. Alcuni stimano che sieno regolate da influssi celesti. Si nega la vita futura, si schernisce la religione. Alcuni la reputano un trovato di uomini. Tutti, uomini e donne, tornano agli usi pagani, e si dilettano dello studio de' poeti, degli astrologi e di ogni superstizione. » Ci è in queste poche righe tutto Savonarola.

Altri stimano al contrario che il male è principalmente nella Corte di Roma e nelle pratiche e nelle consuetudini religiose, che hanno sfibrato gli animi e resili più disposti a perdonare le offese che a vendicarle. E non vedono altra via a rinvigorire le istituzioni e gli uomini, che seguire gli esempii lasciatici dall' antichità.

Di questo erano tutti persuasi, che il paese era corrotto, salvochè alcuni derivavano la corruzione dall' indebolito sentimento religioso, e gli altri ponevano appunto la sua sede nella religione così com' era interpretata e praticata dalla Corte di Roma. Quelli vedevano il rimedio nel ritirare la società a' suoi principii, con una riforma religiosa e morale che valesse a restaurare le credenze religiose ed emendare i costumi: la quale riforma, incalzati i preti da frate Savonarola e più tardi da frate Lutero, attuarono a modo loro nel Concilio di Trento. Gli altri al contrario vedevano il rimedio nella emancipazione della coscienza da ogni autorità religiosa, ciò che traeva seco l'abolizione del Papato, che essi giudicavano il principale nemico della libertà e dell'unità nazionale.

Erano due scuole che con diversi nomi si continuano anche oggi, e che oltrepassavano ne' loro fini e ne' loro

mezzi l'Italia, ed abbracciavano l'Europa cattolica. Si può dire che la loro storia è tutta la storia moderna, non finita ancora.

Nella quale storia l'Italia rappresentava una parte molto secondaria. Certo i primi concetti e i primi tentativi vennero da lei, ma rimasero concetti e tentativi isolati e scarsi di effetto, e quando l'incendio si dilatò e le contrarie opinioni accesero in tutta Europa ostinatissime contese e divisioni e guerre di popoli, tra noi non mancarono cittadini di molta virtù che con la penna o con le forti opere o co' martirii mantennero la loro fede, ma fu moto di pochi e divisi, che s' impresse appena alla superficie; sotto alla quale rimasero in calma sonnolenta e stupida le popolazioni. Anche oggi sono di quelli che credono il Cattolicismo e il Papato salute o perdizione d'Italia, ma sono opinioni oziose, che non lasciano traccia durabile sulle moltitudini; il Concilio ecumenico, che pure in altre parti di Europa solleva così vivi odii e speranze, presso di noi non suscita nè energiche opposizioni, nè gagliardi consensi.

La corruttela de' costumi era l' apparenza più grossolana del male che travagliava l'Italia e rendeva inevitabile la catastrofe. Quell' apparenza fu presa per il male esso medesimo, e gli uni ne davano colpa al paganesimo e agli studii classici, gli altri alla Corte di Roma, pietra di scandalo, e non pensavano che quella corruttela del Papato e quel paganeggiare delle classi intelligenti e degli stessi Papi erano anche parte del problema; fenomeni ed effetti che non spiegavano nulla, e volevano essere spiegati loro.

Ma gli uomini politici vedevano la quistione sotto aspetto più determinato. Poca speranza avevano ne'tardi frutti che potessero venire da una riforma religiosa e morale e non credevano a Papa nè a Cristo, e schernivano profeti disarmati. A loro era chiaro che l'Italia di

visa e debole d'armi mal poteva resistere a' barbari: qui era il pericolo, e qui ci voleva il rimedio. Molto li preoccupavano le discordie intestine fra' cittadini, fra le città, fra gli Stati, e cercavano un sistema di equilibrio, che desse satisfazione a tutte le classi, mantenendo ordine e concordia al di dentro, e legasse i grandi Stati italiani con reciproca malleveria contro gli assalti che venissero dal di fuori. Fa stupire quanti sottili trovati pullulassero in quei cervelli acuti per ordinare in modo lo Stato che si ottenesse il desiderato equilibrio, quando già lo straniero era a casa e lasciava per sua misericordia disputare se i partiti si avessero a vincere per le più fave o alla metà delle fave. Nè erano meno sottili i giudizii sulle condizioni e sulle forze degli Stati, sulle inclinazioni, le passioni e gl' interessi de' principi, e sulle varie combinazioni delle alleanze, con una finezza di osservazione e di analisi che desidero in molti documenti della diplomazia moderna. Strazia veder tanta sapienza con tanta impotenza. Vedevano le nazioni vicine salite a grande potenza per i buoni ordini e le buone armi, e soprattutto per avere raccolte tutte le membra dello Stato sotto un solo indirizzo. E tentarono qualcosa di simile in Italia. Indi la serenissima lega di Lorenzo, e le leghe e controleghe di Giulio, e fallito il tentativo di stringere in una forza sola gli Stati italiani, e avendo già lo straniero dentro, per cacciar via uno, chiamare gli altri. Indi le proposte di milizie nazionali, per uscir di mano a' condottieri, e certi ordini di governo misto che tenessero in qualche equilibrio gli ottimati e il popolo. Ciò che presso le altre nazioni era il naturale portato della storia, in Italia erano combinazioni artificiali d'ingegni sottili. E nulla riuscì. Leghe italiane poco stabili, perchè leghe di principi, e sulla base mobile degl' interessi. Leghe con forestieri fecero dell' Italia il campo chiuso di tutte le cupidigie e di tutte le insolenze,

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